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sabato 22 dicembre 2012

Il mio contributo al XXIII° Carnevale della Chimica: “La Chimica del Futuro e il Futuro della Chimica”


Credit: Pollination, di Kareem Hamza

Ringrazio Paolo Gifh, il Chimico Impertinente, per l'invito che mi ha formulato anche quest'anno per il  XXIII° Carnevale della Chimica, al quale aderisco, come sempre ben volentieri ed a maggior ragione, visto che cade nel periodo natalizio e, quindi, può rappresentare una sorta di simpatico "diavolo e acqua santa".

Il tema di quest'anno è quello della Chimica del Futuro ed il Futuro della Chimica ed è, intuibilmente, come ogni tecno - futurologia, un argomento che si presta alle più varie e fantasiose speculazioni su un futuro sorprendente ed iper-tecnologico, che ci vedrà proiettati in una iper-realtà in cui la fusione sempre più spinta fra la tecnica (la technè come manipolazione fisica e biochimica della natura) e la biologia cambierà con ogni probabilità sempre più incisivamente la nostra vita e le relazioni sociali, politiche ed economiche nell'ambito di quella dimensione "post-umana" di cui la letteratura sociale, filosofica, scientifica e fantascientifica si sono forse già saturate.

La mia riflessione, pertanto, non verterà sulle "magnifiche sorti e progressive" della chimica del futuro, che certamente non mancheranno di stupirci e di migliorarci la vita, quanto un pò provocatoriamente sulla "chimica dell'esistenza" dell'Uomo del Futuro.

Cosa intendo per "chimica dell'esistenza" dell'Uomo del Futuro?

Credit: Le prisonnier, di Patrick Desmet 
Intendo, in breve, una riflessione sulla capacità che gli esseri umani hanno e potranno avere di "manipolare" (quindi, anche qui, una technè) non tanto e non solo gli elementi chimici, al fine di potenziare il proprio bios inteso come capacità psico-bio-chimica, quanto piuttosto il proprio bios come esistenza politica ed economica e con essa la propria esistenza di esseri singolari e sociali.

Dalla manipolazione degli elementi chimici e più in generale dalla tecnica ci aspettiamo, in genere e forse fatalisticamente, una riconfigurazione delle nostre esistenze e delle nostre relazioni grazie all'uso potenziante delle tecnologie.
Ne sono un esempio le tecnologie digitali della comunicazione, le bio e le nano tecnologie, e così via.

Qualcosa di meglio, insomma, siamo quasi tutti disposti a scommettere che accadrà a seguito dei progressi della tecnica e dalle pratiche sociali che conseguono dal suo uso, nonché siamo e saremo poi tutti pronti a discutere, anche veementemente, su "cosa" sia cambiato e "come".

Seguiamo, in definitiva, gli eventi così come sono determinati dalla Tecnica ed emergono tramite essa, dubitando magari sul suo "senso".

Credit: Talents, di Leszek Paradowski
Ci preoccupiamo forse molto meno, invece, di produrre noi stessi degli eventi in grado di modificare le nostre vite più in profondità, cioè quella che ho chiamato un pò provocatoriamente la "chimica dell'esistenza", facendo il verso all'espressione anglosassone "chemestry" nel senso di "intesa fra due persone", che qui estendo ad un concetto di intesa sociale, politica ed economica, in sintesi di cooperazione.
Quale potrebbe essere la "chimica dell'esistenza" dell'Uomo del Futuro? Come vogliamo che essa sia?

La "chimica dell'esistenza" già oggi, a ben vedere, si basa su processi di cooperazione in maniera molto più accentuata che in passato (dunque una "chemestry", una intesa di gruppo e fra gruppi, fra moltitudini e fra singolarità anche molto distanti fisicamente, culturalmente e geograficamente).

Tali processi cooperativi sono, per così dire, "impregnati" soprattutto dalle tecnologie digitali e della comunicazione e traggono origine da una accresciuta capacità cognitiva e da un moltiplicarsi delle conoscenze in possesso degli individui, che pertanto a loro volta producono sempre più conoscenza e la condividono in maniera sempre più libera e feconda.

Ad essere condivisi sono anche gli affetti ed i sentimenti, se non soprattutto, per cui i processi di cooperazione hanno un impatto immediatamente politico ed economico tanto che è più corretto definirli, come fanno non pochi studiosi, processi di produzione biopolitica.

Credit: Alexandra Manukyan
La produzione biopolitica emerge, in tal senso, come la "vera innovazione" della nostra epoca cosiddetta postmoderna.
Quella che possiamo definire come la macchina sociale biopolitica tende pertanto ad eccedere sempre di più la macchina tecnica, con la quale è pur sempre in stretta simbiosi, e quello che comincia ad essere prodotto sono "nuove forme di vita"  ed un nuovo socius e non solo "nuovi prodotti da consumare".

Questa "bio-produzione" è una vera esplosione di creatività e di desiderio di cambiamento che possiamo riscontrare se osserviamo con attenzione i segnali che provengono sia da quella grande macchina bio-cognitivo-digitale che è la Rete, sia dalla società globale nel suo insieme, anche se con altrettanta evidenza i segnali sono spesso contrastanti e non sempre positivi.

Questo chiaroscuro (o, se vogliamo, caleidoscopio) è però, riflettendoci, un buon indizio in quanto è sintomo di una vitalità della bio-produzione cognitiva e, quindi, di una sua molteplicità intrinseca non riducibile ad un vettore etero-diretto.

Tornando alla "chimica dell'esistenza", abbinata per "destino" alla chimica degli elementi ed alla loro manipolazione tecnica (natura e tecnica sono sempre state in stretta simbiosi per l'essere umano, non è una condizione solo postmoderna), direi che il suo futuro è legato alla nostra capacità di sviluppare sempre più e sempre meglio i processi di cooperazione e di ridurre al minimo necessario, fino all'estinzione, quelli di tipo competitivo nella loro accezione vetero-economicista, in modo da contrastare dall'interno (quasi come un sistema immunitario) altrettanti fenomeni di tipo reazionario ed oligarchico che tentano di sfruttare egoisticamente la nuova capacità produttiva di singoli, gruppi e moltitudini, che d'altro canto non si lascia ridurre e resiste alle vecchie logiche economiche reagendo con un processo di "work in progress" teso alla costruzione di un' "altra economia" ed un' "altra politica".

L'augurio ideale per questo XXIII° Carnevale della Chimica, che cade a ridosso delle festività natalizie, è dunque quello di una Chimica del Futuro abbinata e funzionale ad una nuova "Chimica dell'Esistenza" da saper costruire e donare a chi ci seguirà con una massiccia dose di "atomi di amore" da far finalmente circolare beneficamente nella rete dei nostri desideri in modo da realizzare delle nuove democrazie davvero in grado di valorizzare l'essere umano lasciando al suo passato la violenza ed ogni forma di sfruttamento.

Buon Natale a tutti e Felice 2013!

sabato 27 ottobre 2012

Macchine stranamente ribelli (1ª Parte)


Credit: La luz, di Ana Inigo Olea
Siamo macchine stranamente ribelli.
In una serie di post che, come è mia ormai abitudine consolidata, riguarderanno questo assunto, che in qualche modo è ontologico esistenziale, affronterò il concetto di "macchina" associato all'attributo "ribelle" che, a mio parere, caratterizzano la nostra vita in quanto processo complesso che si muove in quello che potremmo chiamare l'iper-spazio esistenziale costituito da dimensioni fisiche (es. spaziali, biologiche, neuro-cognitive, ecc.) e meta-fisiche (psichiche, culturali, sociali, economiche, politiche, artistiche ecc.).
Ma, in realtà, non siamo proprio ribelli sempre e comunque, anzi siamo piuttosto "stranamente ribelli" in quanto, per motivi non sempre chiari e anzi direi per lo più misteriosi, la nostra storia è costellata da una lunga sequenza di assoggettamenti, asservimenti, sfruttamenti e schiavismi quando non di impensabili olocaustigenocidi e guerre mondiali.
Quando parliamo di "macchina" la nostra cultura tecnologica ed industriale ci fa subito immaginare un dispositivo costruito dall'essere umano, quindi una téchne (dal greco τέχνη), che funziona secondo un meccanismo deterministico, prevedibile, calcolabile e controllabile.
Il concetto di macchina, dunque, è in prima battuta associato a quello di meccanica e quindi di processo meccanico in cui un progetto o un programma elaborato dall'essere umano determina il funzionamento della macchina stessa.
Quest'anno, tra l'altro, ricorrono i cento anni della nascita di Alan Turing (Londra, 1912 - Wilmslow, Cheshire, 1954) che, come è noto, ha elaborato il concetto della ormai "famosa" Macchina di Turing , che è una macchina ideale o astratta che viene utilizzata nella teoria della computazione e nello studio della complessità algoritmica e che è stata fondamentale per lo sviluppo dei computer e dell'informatica.
A tutt'oggi i computer quantistici allo studio si basano sulla logica digitale della macchina universale di Turing (anche se si parla sempre più di computazione Super-Turing e di Iper-computazione con riferimento, ad esempio, ai sistemi biologici complessi ed al cervello umano, dove si usa anche il termine di computazione analogica o naturale) e quindi il concetto di macchina, sia essa classica o quantistica, è ancora dominato da quello di processo calcolabile matematicamente di tipo algoritmico digitale (zero-uno, si o no).
Credit: Vasko Taškovski
Paragonarci ad una macchina, pertanto, se abbiamo come punto di riferimento la macchina definita da Turing - seppur in tutte le sue varianti (quantistica, deterministica, non deterministica ecc.), significherebbe assimilarci a degli esseri computabili digitalmente e quindi sostanzialmente significherebbe considerarci meccanici, privi di qualsiasi libertà sostanziale e senza concrete possibilità di poter costruire e modificare il proprio processo esistenziale, che risulterebbe pre-determinato o comunque auto-producentesi senza alcuna reale volontà da parte del soggetto (il processo di produzione della soggettività sarebbe deterministico).
Indubbiamente, c'è chi ritiene come i fisicalisti che l'universo sia una enorme macchina i cui processi seguono leggi fisiche meccaniche (classiche e quantistiche) che non consentono alcuna deroga o capacità di modifica, ma è anche vero che lo sviluppo sempre più fecondo della teoria della complessità ci ha dimostrato come i processi quantistici e quelli biologici siano irriducibili alla computazione digitale (non sono "zippabili" con un algoritmo) e che quindi l'emergenza radicale è un evento imprevedibile e di rottura di una catena causale formalizzabile da un unico modello.
In tal senso, la teoria dell'apertura logica (in merito vedasi Licata 2008) è una strada che apre nuovi spazi al concetto di complessità ed alla sua "misurabilità" in base a gradi/livelli gerarchici crescenti (l'essere umano, in tale modello, ha un livello di apertura logica elevato e maggiore rispetto ad un animale o una pianta o ad un computer digitale).
Come si vede, già in ambito scientifico il concetto di macchina sta subendo una modifica attraverso i concetti di sistema complesso, di metastabilità, di auto-organizzazione ed emergenza, in modo tale che se vogliamo usare il termine macchina, con particolare riferimento (ma non solo) all'essere umano, dobbiamo concettualizzarlo diversamente da quello di "meccanismo meccanico".
Già Deleuze e Guattari elaborarono provocatoriamente nell'Anti-Edipo (1972) e poi in Mille Piani (1980) (Guattari ne parlerà ancora in Caosmosi, 1992) un concetto di macchina che non era "meccanica" bensì "macchinica" : una macchina (anzi, in verità, molteplici macchine), cioè, che produce desideri, linguaggi, codici, immaginazione, sentimenti, affetti, percetti, pensieri e, in una parola, soggettività, nell'ambito di uno o più piani di immanenza o di consistenza.
Le macchine desideranti di Deleuze e Guattari sono in nuce delle macchine ribelli in quanto non sono meccaniche ma macchiniche, cioè producono novità, sono creative, desiderano produrre ed affermarsi e non ri-produrre strutture invarianti e rigide, assiomi o narrazioni che siano.
Le macchine desideranti, cioè, rifiutano di essere codificate una volta per tutte e di essere sottomesse ad una o più leggi meccaniche, fossero anche delle presunte leggi della psiche o dell'inconscio (Deleuze e Guattari ironizzano sul "teatrino dell'inconscio" e sulla struttura edipica del "segretuccio familiare").
Del resto la figura del Ribelle è antica e la troviamo ben rappresentata nella Bibbia: Lucifero o Satana, l'angelo che osò ribellarsi a Dio e che per tale colpa fu precipitato dal Cielo.
Ne consegue che già nell'immaginario religioso e popolare il Ribelle è una figura "diabolica" che decide di trasgredire alle leggi costituite (quindi vuole affermarsi oltre la legge), fossero anche quelle divine (i comandamenti sono emblematici in tal senso), e perciò decide di dividersi dalla massa e di seguire la propria strada singolare.
Essere ribelle, quindi, implica un desiderio di "mettere in dubbio" qualsiasi super-concetto, in definitiva qualsiasi Dio (il "Dio è morto" di Nietzsche è un atto di ribellione filosofica) e qualsiasi "comandamento" che non si senta come adeguato ai propri desideri più veri che sono invece gli unici degni di essere approfonditi.
La stranezza del nostro essere macchine ribelli e desideranti nel senso appena delineato sta nel fatto oggettivo che la nostra storia ci mostra come progressivamente gli esseri umani siano stati anziché dei ribelli piuttosto dei gregari e degli assoggettati, quando non asserviti e schiavizzati (a meno di quelle che Deleuze chiama minoranze non numerabili di cui parleremo).
E' come se l'essere-ribelle fosse una forma di potente desiderio sottoposto però ad una sorta di soglia di attivazione, che se non superata lascia manifestare prevalentemente l'essere-gregario e servile che, direi, caratterizza anche in massima parte la nostra società contemporanea divisa in Stati-nazione in declino e dominata dalla macchina globalizzata e globalizzante del capitalismo neo-liberista.
Credit: Nine elements, di Mikhail Nekrasov
L'essere-ribelle diventa pertanto e per lo più un evento contingente e legato ad una Soglia-Limite che, se superata, in qualche modo fa emergere questa capacità ontologica delle macchine desideranti che, altrimenti, tendono ad essere catturate ed assorbite, fino all'asservimento più brutale, da strutture di potere consolidate e da macchine astratte e seduttive come quelle del consumo e dell'accumulazione della ricchezza.
In questo piccolo viaggio, sarà interessante soffermarsi sul concetto di macchina nelle sue varie declinazioni, in particolare quelle proposte da Deleuze e Guattari (macchine desideranti, astratte, da guerra, nomadi ecc.) e su quello di ribellione in relazione, in particolare, ai concetti di libertà, di cooperazione, di competizione, di tradimento e di gregarietà in modo da riflettere sulla nostra condizione esistenziale di macchine stranamente ribelli, come se la ribellione (e la gregarietà) seguisse la dinamica/meccanismo di una sorta di "attrattore strano" - oggetto matematico-geometrico le cui dinamiche sono caotiche, non lineari, instabili e di dimensione frattale -, che all'incremento di "segnali ambientali" fino ad una soglia critica finisce periodicamente per emergere e prevalere determinando eventi (transizioni di fase, biforcazioni) di rilevanza sia "micro" (individuale, di gruppo) che "macro" (movimenti, rivolte ecc.).

domenica 13 maggio 2012

L'infinito tra metafisica e scienza (4ª Parte)

 La metafora fondamentale che, secondo Lakoff e Nunez, è all'origine della natura embodied del concetto di infinito è la metafora base dell'infinito (BMI, in acronimo), che andrò a delineare in questo post.

Intanto, si potrebbe ipotizzare che il concetto di infinito derivi dalla negazione logica di quello di finito, cioè qualcosa che non è finito e che non ha un confine, ma questa spiegazione non tiene conto della ricchezza di concetti matematici come l'infinito attuale e, ad esempio, il fatto che siano stati ideati numeri come quelli irrazionali (pi greco, il numero di Eulero e, ecc.), i transfiniti o i numeri complessi, quest'ultimi tra l'altro fondamentali per teorie fisiche come la teoria quantistica dei campi, che è ad oggi tra le più avanzate e feconde per la modellizzazione della struttura dello spaziotempo a livello microscopico. Dunque, è importante cercare di capire e di analizzare le idee matematiche che concettualizzano insiemi infiniti, sia nel senso di "infinitamente grandi" che di "infinitamente piccoli", dove sono interessati evidentemente i concetti di limite, di somma infinita o magari di intersezione infinita.
Per LN è intanto cruciale partire da quello che nel post precedente è stato definito come sistema aspettuale, che è il sistema concettuale umano che elabora le azioni, alcune delle quali possono essere a) continue o b) iterative e che sembrerebbe essere legato ai sistemi di controllo motorio secondo gli studi di Srini Narayanan.
In particolare, si è visto che ci sono 2 sistemi aspettuali principali: quello imperfettivo, che concettualizza l'azione come non avente completamento (es. respirare) e quello perfettivo che concettualizza le azioni come aventi un completamento (es. saltare).
I verbi perfettivi, come ad es. saltare, possono essere iterati (es. Mario saltava e saltava e saltava...) e sono, secondo LN, concettualizzati come azioni continue e in termini cognitivi sono caratterizzati dalla metafora I PROCESSI CONTINUI INDEFINITI SONO PROCESSI ITERATIVI.
Tali azioni sono legate al concetto di moto, in particolare a quello di moto ripetuto e "la fusione di un'azione continua con azioni ripetute dà origine alla metafora tramite la quale le azioni continue sono concettualizzate come azioni ripetute" (cit.): questa metafora è alla base del concetto matematico di infinito potenziale.
Molto più interessante è, invece, il concetto di infinito attuale, che è una sorta di "cosa infinita, ma compiuta" e LN ipotizzano che "l'idea di infinito attuale in matematica sia metaforica e che i vari esempi di infinito attuale facciano uso del processo metaforico ultimo di un processo senza fine. Letteralmente, il risultato di un processo senza fine non esiste: se un processo non ha fine non ci può essere alcun 'risultato ultimo'. Tuttavia, il meccanismo della metafora ci permette di concettualizzare il 'risultato' di un processo infinito nell'unico modo in cui possiamo concettualizzare un processo, ossia in termini di un processo che in effetti ha una fine. Noi ipotizziamo che tutti i casi di infinito attuale (gli insiemi infiniti, i punti all'infinito, i limiti di somme infinite, le intersezioni infinite, gli estremi superiori) siano casi particolari di una sola metafora generale, nella quale i processi che continuano indefinitamente sono concettualizzati come aventi una fine ed un risultato ultimo. Chiamiamo questa metafora la Metafora Base dell'Infinito, o BMI per brevità; il suo dominio obiettivo è quello dei processi senza fine, che i linguisti chiamano processi imperfettivi. L'effetto della BMI è quello di aggiungere un completamento metaforico al processo in corso, in modo da considerarlo con un risultato: una cosa infinita".


Fonte: Lakoff-Nunez (2005)

Nello schema a fianco riportato si può notare la struttura della metafora BMI, che è quella di un dominio sorgente fatto da processi iterativi ordinari, ossia con "un numero indefinito (ma finito) di iterazioni, con un completamento ed uno stato risultante" (cit.).

Secondo LN, l'effetto cruciale della metafora BMI - che collega il dominio sorgente a quello obiettivo - è "quello di aggiungere al dominio obiettivo il completamento del processo e il suo stato risultante. Questa aggiunta metaforica viene indicata in grassetto nella formulazione della metafora seguente. E' proprio quest'ultima parte della metafora che ci permette di concettualizzare il processo in corso in termini di processo completato (e quindi anche di produrre il concetto di infinito attuale)". (cit.)

Con questa metafora che, in estrema sintesi, ha la funzione di "chiudere il cerchio" con un risultato finale unico (uno "stato all'infinito"), LN poi spiegheranno i processi di creazione metaforica dei numeri irrazionali, transfiniti, complessi, iper-reali ecc. e le relazioni, apparentemente astratte, come quella di Eulero, vista nel post precedente, cioè .

Secondo LN, sarà un'applicazione multipla della BMI a generare in maniera iterativa i vari concetti ed idee matematiche, combinandosi con quelle che abbiamo chiamato le miscele concettuali.

Un esempio di questo processo iterativo, stavolta non matematico, lo abbiamo nel concetto classico di essere filosofico, che è una categoria "onnicomprensiva" di tutto ciò che è:

Fonte: Lakoff-Nunez (2005)

Anche qui si nota come la metafora alla base del processo iterativo porti da un dominio obiettivo indefinito ad un risultato particolare e unico che è la "categoria generale dell'essere" (parliamo in termini di filosofia classica, escludendo l'essere concettualizzato come "senso").

Un'altro caso interessante della BMI è quello della cd. "chiusura generativa" per le operazioni che "generano insiemi infiniti. Per esempio, supponiamo di iniziare con l'insieme che contiene l'intero 1 e l'operazione di addizione; aggiungendo 1 ad esso al primo stadio, otteniamo 2, che non è l'insieme originario. Ciò significa che l'insieme originario non era 'chiuso' rispetto all'operazione di addizione. Per spingerci verso la chiusura, possiamo allora estendere quell'insieme per includere 2, mentre allo stadio successivo eseguiremo l'operazione binaria di addizione su 1 e 2, e di addizione su 2 e 2, per ottenere i nuovi elementi 3 e 4; estenderemo poi l'insieme precedente includendo 3 e 4, e così via. Questo processo definisce una successione infinita di estensioni di insiemi. Se ora applichiamo la BMI, otteniamo la 'chiusura' rispetto all'addizione, ossia l'insieme di tutte le estensioni risultanti". (cit.)

Eccola in 2 slides:

Fonte: Lakoff-Nunez (2005)
Questa è la seconda parte della slide:

Fonte: Lakoff-Nunez (2005)
Dunque, vediamo come la funzione della BMI sia quella di chiudere un processo iterativo fornendo un risultato finale unico.

Tornando all'esempio della funzione di Eulero  , LN la spiegano, molto in sintesi, facendo riferimento ai concetti di variazione (derivata della velocità, "e è la base di una funzione esponenziale che ha un tasso di variazione esattamente uguale alla funzione stessa", "e^x è la funzione che manda le somme nei prodotti, che manda 2,718281 ... in 1, coincide con la sua derivata e varia esattamente in proporzione a sé stessa"), di periodicità (correlazione con le funzioni trigonometriche di seno e coseno, "LA RICORRENZA E' CIRCOLARITA'"), di rotazione (l'effetto della moltiplicazione per i  nel piano complesso) e dell'uso iterato della BMI abbinata alle miscele concettuali.

In particolare, "l'uguaglianza  è vera solo in virtù di un gran numero di connessioni profonde tra molte branche. E' vera per ciò che significa! E significa ciò che significa a causa di tutte quelle metafore e quelle miscele facenti parte del sistema concettuale di un matematico che comprenda il suo significato. Far vedere perché tale uguaglianza sia vera per motivi concettuali equivale a fornire un'analisi delle idee di uguaglianza, di cui vediamo le condizioni minimali:
LE RICHIESTE PER UN'ANALISI ADEGUATA DELLE IDEE MATEMATICHE DI UN'UGUAGLIANZA, UNA DEFINIZIONE, UN ASSIOMA O UN TEOREMA:

a. la struttura di metafora e di miscela che rende veri un'uguaglianza, una definizione, un'assioma o un teorema in relazione a quella struttura;
b.  le relazioni concettuali tra gli elementi che compaiono in, o sono presupposti da, un'uguaglianza, una definizione, un assioma o un teorema;
c. le idee espresse mediante i simboli in un'uguaglianza, una definizione, un assioma o un teorema;
d. il fondamento dei concetti utilizzati nell'analisi delle idee. 

Un'analisi delle idee dovrebbe chiarire che la 'verità' di un'uguaglianza, una definizione, un assioma o un teorema dipende da ciò che essi significano. Ossia la verità è relativa alla struttura concettuale, che di certo include una vasta rete di metafore e miscele che chiamiamo la rete delle idee. Così  non vale nella geometria euclidea o nell'aritmetica dei numeri reali per un'ovvia ragione: quei domini matematici non hanno la struttura concettuale adatta a dare significato all'uguaglianza e ancor meno a renderla vera" (cit.).

Ne consegue che per LN numeri come e, π , i, 0, 1 sono principalmente dei concetti, che hanno "un significato concettuale in un sistema di importanti concetti comuni che non sono matematici, come la variazione, l'accelerazione, la ricorrenza e l'autoregolazione. Essi non sono semplici numeri: sono aritmetizzazioni di concetti. Quando vengono inseriti in una formula, questa incorpora le idee espresse dalla funzione, come l'insieme delle coppie di numeri complessi che determina matematicamente in virtù di tali idee. Poiché l'aritmetizzazione funziona tramite le metafore concettuali, se si comprendono le metafore di aritmetizzazione, le inferenze concettuali vengono espresse in termini aritmetici." (cit.)

Quindi, i numeri e l'infinito sono "umani, troppo umani" e rappresentano la simbolizzazione matematica dei nostri interessi e delle nostre esperienze, né più né meno del linguaggio ordinario con il quale condividono la natura squisitamente embodied basata, secondo i nostri, sulle metafore e sulle miscele concettuali.

Con buona pace, o almeno così mi sentirei di dire, dei platonici che pensano che la matematica sia già scritta in una realtà iperuranica e che gli esseri umani la scoprano man mano con la loro mente.

Quello che abbiamo chiamato il romanzo della matematica è bene, pertanto, che sia considerato non più un teatro platonico, ma una fabbrica di concetti fondati nell'esperienza e nella sua concettualizzazione metaforica del tutto umana.

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Riferimenti :
Su Wikipedia : http://it.wikipedia.org/wiki/Da_dove_viene_la_matematica

domenica 22 aprile 2012

L'infinito tra metafisica e scienza (3ª Parte)

Credit: Christian Wery

Dopo aver trattato brevemente l'infinito in termini di concetti filosofici e di funzioni scientifiche, è interessante averne una visione secondo una interessante ipotesi cognitiva, in base alla prospettiva della "embodied cognition", formulata da George Lakoff e Rafael E. Nunez con il loro libro "Da dove viene la matematica. Come la mente embodied dà origine alla matematica" (2005).
Prima di parlare dell'ipotesi di lavoro - perchè è di questo che si tratta - di Lakoff e Nunez, occorre precisare che la prospettiva della cognizione incorporata (embodied cognition) è quella, se vogliamo anche molto semplice se non banale (ma non troppo se occorre spesso precisarlo), che qualsiasi produzione linguistica e simbolica dell'essere umano deriva dal suo "essere corpo immerso in un ambiente" e che quindi la capacità astrattiva del nostro pensiero non può che derivare dalla nostra esperienza quotidiana di tipo relazionale e, evidentemente, dalle capacità biologiche di questo nostro "corpo immerso nel mondo" (in co-appartenenza e co-evoluzione con esso), tra cui in particolare quelle offerte dal cervello.
Dunque, partendo dal presupposto che il linguaggio è una qualità e capacità emergente dell'essere umano e che ha una necessaria origine biologica derivante dall'accoppiamento strutturale mente-mondo, l' "ipotesi forte" - per così dire - di Lakoff e Nunez è quella di attribuire alla metafora concettuale un posto di primo piano nel rendere possibile la concettualizzazione astratta del nostro pensiero assieme ad altri importanti meccanismi che sono stati individuati dai nostri autori in: a. schemi immagine, b. schemi aspettuali, c. miscele concettuali.
Quello che occorre avere presente in questo modello cognitivo, a mio parere interessante, è che non asserisce alcuna "verità incontrovertibile" e non si propone alcuna dimostrazione necessaria di tipo "matematico", trattandosi di un metodo empirico di affrontare i meccanismi cognitivi che presiederebbero al nostro pensiero e al nostro linguaggio, in questo caso quello matematico.
Pertanto, sarebbe ingenuo da parte dei critici formulare facili obiezioni identificando nella teoria della embodied mind una sorta di "teoria del tutto" della mente contro-argomentando che non ci sono prove evidenti dei meccanismi neurali che sarebbero alla base del pensiero astratto matematico e non, come se fosse possibile oggi o in futuro disporre di una sorta di "macchina leggi pensieri" in grado di poter dimostrare la "vera natura del pensiero" rispondendo con certezza alla domanda "che cosa è il pensiero?" e magari decifrando nel dettaglio  in base ai dati del "brain imaging" cosa stiamo pensando anche se non ne siamo consapevoli o magari trovare i "correlati neurali" che sono alla base dell'invenzione di una nuova teoria matematica rivoluzionaria.
Questa precisione sperimentale da "hard science" non è applicabile tout court alle neuroscienze cognitive vista la estrema complessità della mente e, avendo letto il libro di LN (Lakoff-Nunez) per intero, posso affermare che non è affatto nelle loro intenzioni asserire che il loro modello sia quello "vero", ma come ogni modello si propone, con argomentazioni che partono da premesse essenziali - accettabili o meno -, di descrivere il funzionamento di un processo osservabile (le teorie matematiche e le logiche simboliche, modali ecc. sono osservabili in quanto linguaggio).
D'altro canto, la stessa matematica parte da assiomi e, senza voler scomodare troppo Goedel, sappiamo che essa è un "sistema necessariamente aperto" in quanto non ci sono sistemi completi e decidibili in sé, ma ogni sistema apre ad un livello "meta" che lo può incorporare, ma che a sua volta è incompleto, e così via ... all'infinito...

Credit: "Destiny" di Nubret Pascale
Alla luce di quanto precede, la mia trattazione del modello LN dell'infinito matematico e della sua origine embodied è da intendersi nel fatto che ritengo la loro focalizzazione sulla metafora una prospettiva molto interessante e feconda, che ovviamente non esaurisce la complessità della mente e dei linguaggi che essa produce.
Andiamo a dare una definizione veloce e sintetica dei concetti principali del modello LN :

1. Schemi immagine: identificano le relazioni spaziali e ce ne sarebbero di 3 tipi primitivi: lo schema Sopra, quello Contatto e quello Sostegno.
Lo schema Sopra è orientativo, quello Contatto è di tipo topologico, mentre lo schema Sostegno è dinamico in relazione ad una forza.
Tra gli schemi immagine ce n'è uno molto importante ed è lo schema Contenitore, che possiede 3 parti: un Interno, un Confine e un Esterno.
E', poi, importante distinguere tra Figura e Sfondo, dove lo sfondo è detto in linguistica cognitiva Riferimento (nella frase "l'auto è nel garage" il garage è lo sfondo) e la figura (l'auto) è detta Tracciatore.
Nel modello LN gli schemi immagine hanno una "doppia natura", ossia sono sia percettivi che concettuali, consentendo quindi di fare da ponte tra la visione e il linguaggio-ragionamento.

2. Schema Aspetto: evidenziato dagli studi di Srini Narayanan, che ha mostrato una correlazione fra i nostri sistemi neurali di controllo motorio ed il pensiero matematico, riscontrando la seguente sovrastruttura: a. prontezza, b. inizio, c. il processo principale, d. possibile interruzione e ripresa, e. iterazione o continuazione, f. scopo, g. completamento, h. stato finale.
E' importante dire che questo processo non è "algoritmico-computazionale" in senso classico, ma complesso e sensibile al contesto ed alle risorse, oltre che può essere concomitante ad altri processi ed alle relative informazioni.

Come dicono LN: "Narayanan ha osservato che questo schema generale di controllo motorio ha la stessa struttura di ciò che i linguisti chiamano aspetto, ossia il modo generale di strutturare gli eventi. Qualunque cosa noi percepiamo o pensiamo, sia come un'azione o come un evento, viene concettualizzata tramite questa struttura. In generale noi ragioniamo sugli eventi e sulle azioni usando tale struttura e le lingue del nostro pianeta hanno tutte quante i mezzi, nelle loro grammatiche, per codificare tale struttura. Ciò che ci dice il lavoro di Narayanan è che la stessa struttura neurale impiegata nel controllo di schemi motori complessi può anche essere usata per ragionare sugli eventi e sulle azioni".

LN chiamano questa struttura Schema Aspetto, assumendo quindi che "i sistemi neurali di controllo dei movimenti del corpo hanno le stesse caratteristiche necessarie per l'inferenza razionale nel dominio dell'aspetto, ossia la struttura degli eventi".
LN, inoltre, identificano 2 strutture aspettuali riferite ai verbi: l'aspetto imperfettivo, che si focalizza sulla struttura interna del processo principale (es. verbi come "vivere", "respirare", "morire") e l'aspetto perfettivo che "concettualizza l'evento come un tutt'uno senza guardare alla struttura interna del processo, ma focalizzandosi sul completamento dell'azione", laddove il completamento può essere interno (es. saltare e atterrare) o esterno al processo (es. volare e atterrare per un uccello) e "ciò non ha nulla a che vedere con il funzionamento del mondo reale, ma con il modo in cui noi lo concettualizziamo e lo strutturiamo attraverso il linguaggio".

A tal proposito, LN asseriscono che: "Le idee aspettuali ricorrono in tutta la matematica. Una rotazione di un certo numeri di gradi, per esempio, è concettualizzata come un processo con un punto iniziale e un punto finale. La nozione originale di continuità di una funzione era concettualizzata in termini di processo continuo di moto, ossia un processo senza punti finali intermedi. L'idea stessa di processo algoritmico di calcolo coinvolge un punto iniziale, un processo che può essere oppure no iterativo e un completamento ben definito (...). Tutte le nozioni di infinito ed infinitesimo usano concetti aspettuali".

3. Schema Sorgente-Percorso-Obiettivo: è lo schema immagine principale che ha a che fare con il moto. Esso è formato dai seguenti elementi o ruoli: a. un tracciatore che si muove, b. una posizione per la sorgente (punto di partenza), c. un obiettivo (la destinazione fissata per il tracciatore), d. un percorso dalla sorgente all'obiettivo, e. la traiettoria reale del moto, f. la posizione del tracciatore in un dato istante, g. la direzione della traiettoria in quell'istante, h. la posizione finale del tracciatore, che può essere o no quella fissata.
Si tratta di uno schema topologico. Tale schema, dicono LN, "è onnipresente nel pensiero matematico. La nozione stessa di grafo orientato, p.e., è un caso dello schema Sorgente-Percorso-Obiettivo. Le funzioni nel piano cartesiano sono spesso concettualizzate in termini di moto lungo un percorso, come quando una funzione viene descritta con le parole 'sale', 'raggiunge' un massimo, e 'scende' di nuovo. Una delle funzioni più importanti dello schema SPO nel linguaggio naturale è ciò che Len Talmy ha chiamato moto fittizio. In una forma di moto fittizio, una linea è pensata in termini di moto che traccia quella linea, come nella frase 'La strada corre lungo il bosco' o 'Lo steccato sale sulla collina'. In matematica ciò accade quando pensiamo a due linee che 'si incontrano in un punto' o al grafico di una funzione che 'raggiunge un minimo in zero'."

4. Composizione concettuale: è la possibilità per gli schemi immagine di combinarsi in modo complesso. LN in proposito fanno l'esempio dello Schema Dentro A (schema dentro e schema A), dove:
a. Schema Dentro: è "uno schema Contenitore con l'Interno delineato e preso come Riferimento";
b. Schema A: uno "schema Sorgente-Percorso-Obiettivo, con l'Obiettivo delineato e preso come Riferimento;
c. Corrispondenze: Interno-Obiettivo e Esterno-Sorgente;

e poi dello Schema Fuori Da, dove troviamo:

a. Schema Fuori: uno schema Contenitore, con l'Esterno delineato e preso come Riferimento;
b. Schema Da: uno schema SPO, con la sorgente delineata e presa come Riferimento;
c. Corrispondenze: Interno-Sorgente e Esterno-Obiettivo.

5. Metafora concettuale: "è un processo centrale nel pensiero quotidiano. La metafora non è un mero abbellimento: essa è lo strumento basilare che rende possibile il pensiero astratto. Uno dei principali risultati della scienza cognitiva è che i concetti astratti sono compresi tipicamente in termini di concetti più concreti, attraverso le metafore. Questo fenomeno è studiato scientificamente da più di due decadi ed è oggi generalmente ben fondato, come qualunque altro nella scienza cognitiva (sebbene i dettagli particolari d'analisi siano ancora aperti per ulteriori ricerche). Uno dei risultati principali è che le mappe metaforiche sono sistematiche e non arbitrarie".

Credit: Katherine Blackwell

La metafora per LN è, quindi, una struttura concettuale. 
LN fanno l'esempio degli affetti emotivi in frasi come "Lei si scaldava nei miei confronti" oppure "Mi lanciò uno sguardo glaciale" per mostrare come le percezioni caldo-freddo vengano usate per descrivere i sentimenti, oppure come l'importanza sia espressa in termini di grandezza in "questa è una grande questione", "è un gigante del business", la somiglianza è concettualizzata in termini di vicinanza fisica in "le nostre opinioni sono distanti anni luce", "abbiamo gusti vicini", le difficoltà sono concettualizzate come "fardelli" come in "sono stato scaricato dalle responsabilità" e la struttura organizzativa è concettualizzata come struttura fisica come in "la teoria è piena di buchi", "è un progetto solido" ecc..

Le metafore concettuali, come detto anche nella serie di articoli sul pensiero metaforico in politica, sono "usate inconsciamente, senza sforzo e automaticamente nel dialogo quotidiano: sono parte dell'inconscio cognitivo. Molte di esse sorgono spontaneamente dalle correlazioni nella nostra esperienza comune, soprattutto nella nostra esperienza di bambini."

LN aggiungono poi che :"le correlazioni (delle metafore) all'esperienza sono casi particolari del fenomeno della fusione. La fusione è parte della conoscenza embodied: essa consiste nell'attivazione simultanea di due aree distinte del nostro cervello, ciascuna relativa a diversi aspetti della nostra esperienza, come l'esperienza fisica del calore e l'esperienza emozionale dell'emotività. In una fusione, i due tipi di esperienza avvengono in modo inseparabile. L'attivazione di due o più parti del cervello dà origine ad una singola esperienza complessa, ossia un'esperienza di affetto-con-calore, diciamo, o un'esperienza di difficoltà-con-un-fardello-fisico. E' per mezzo di tali fusioni che vengono sviluppati i contatti neurali tra domini, contatti che spesso sfociano in una metafora concettuale, in cui un dominio è concettualizzato in termini dell'altro."

Le metafore si strutturano all'interno di mappe concettuali metaforiche, che sono formate da domini sorgente e domini obiettivo collegati da una struttura inferenziale che consente di associare ad una sorgente concreta (es. spazio fisico) un obiettivo astratto (es. stato d'animo) come nella metafora concettuale "Gli stati d'animo sono posizioni" (es. "sono al limite della rabbia").

Secondo LN : "gran parte del nostro ragionamento astratto quotidiano viene generato tramite mappe metaforiche fra domini. Per la verità, molto di ciò che viene spesso detta inferenza logica è in realtà inferenza spaziale, proiettata su un dominio logico astratto."

In particolare, si comprende la posizione di LN quando dicono che "sosterremo che la metafora concettuale è il meccanismo cognitivo  cruciale dell'estensione dell'aritmetica di base ad applicazioni sofisticate dei numeri. Inoltre, sosterremo che una comprensione sofisticata dell'aritmetica stessa richiede metafore concettuali che fanno uso di domini sorgenti matematici non numerici (p.e. la geometria e la teoria degli insiemi). Sosterremo ancora che la metafora concettuale è anche il meccanismo cognitivo principale nel tentativo di fornire alla matematica i fondamenti teorico-insiemistici e nella comprensione della stessa teoria degli insiemi. Infine, dovrebbe diventare chiaro che gran parte dell'astrazione della matematica più specialistica sia una conseguenza della stratificazione sistematica di una metafora sull'altra, spesso nel corso di secoli. Ogni strato metaforico, come vedremo, porta una struttura inferenziale sistematicamente da domini sorgente a domini obiettivo, struttura sistematica che viene persa nei vari strati, a meno che sia rivelata da un'analisi metaforica dettagliata. Buona parte di questo libro è dedicata a tale scomposizione metaforica dei concetti matematici sofisticati. Poiché questo genere di studi non è stato mai effettuato prima d'ora, non saremo in grado di fornire una base di evidenze sperimentali così estesa come quella costruita in decenni di studi sulle metafore concettuali nel linguaggio e nel pensiero quotidiani. Per tale ragione, ci limiteremo nel nostro studio a casi che sono relativamente chiari, casi cioè, in cui sia netta la distinzione fra dominio sorgente e dominio obiettivo, dove le corrispondenze tra i domini siano state efficacemente stabilite e dove le strutture inferenziali siano ovvie."

6. Miscele concettuali: è la combinazione di due strutture cognitive distinte, con determinate corrispondenze tra di esse. "Nella matematica il cerchio di raggio unitario ne costituisce un esempio semplice: viene sovrapposto un cerchio al piano cartesiano, fissando le seguenti corrispondenze: a. il centro del cerchio è l'origine (0,0) e b. il raggio del cerchio è 1. Questa miscela ha conseguenze che seguono da queste corrispondenze, insieme con la struttura inferenziale di entrambi i domini. Per esempio, il cerchio unitario interseca l'asse x in (1,0) e in (-1,0) e interseca l'asse y in (0,1) e (0, -1). Il risultato è più di un semplice cerchio che ha una posizione fissa nel piano e la cui circonferenza è una lunghezza commisurabile ai numeri sugli assi x e y. Un cerchio nel piano euclideo, dove non ci sono assi né numeri, non avrebbe queste proprietà. Quando le corrispondenze fissate in una miscela concettuale sono date da una metafora, noi la chiameremo Miscela Metaforica. Un esempio che discuteremo in modo esteso più avanti è la Miscela Numeri-Retta, che utilizza le corrispondenze stabilite dalla metafora I NUMERI SONO PUNTI SU UNA RETTA. Nella miscela vengono create nuove entità, ossia i Punti-Numero, entità che sono contemporaneamente numeri e punti su una retta. Le miscele, metaforiche e non metaforiche, sono pervasive della matematica".

7. Simbolizzazione: dicono LN che "comprendere un simbolo matematico significa associarlo ad un concetto, a qualcosa di significativo della conoscenza umana, fondato in ultimo sull'esperienza e creato attraverso meccanismi neurali".


Fonte: Identità di Eulero

La cosa importante è che secondo LN:

"il significato dei simboli matematici non è nei soli simboli e nelle loro manipolazioni tramite regole; e nemmeno nell'interpretazione dei simboli in termini di modelli insiemistici, che sono essi stessi non interpretati. In ultimo, il significato matematico è come il significato quotidiano: è parte della conoscenza embodied. Questo fatto ha delle conseguenze importanti per l'insegnamento della matematica: non è sufficiente l'apprendimento automatico e ripetitivo, in quanto esclude la comprensione. Analogamente, non è sufficiente derivare assiomi formali attraverso regole puramente formali della dimostrazione, in quanto anche ciò può escludere la comprensione. Il punto non è essere in grado di dimostrare che e elevato a pi-greco moltiplicato i (numero immaginario) è uguale a -1, ma piuttosto di essere in grado di dimostrarlo sapendo cosa significa 'e elevato a pi-greco moltiplicato i' e sapendo perché è uguale a -1, sulla base di cosa significa e elevato a pi-greco moltiplicato i e non semplicemente sulla base della dimostrazione formale. In breve, ciò che viene richiesto è un'adeguata analisi delle idee matematiche, per mostrare perchè e elevato a pi-greco moltiplicato i è uguale a -1, data la nostra comprensione delle idee coinvolte".

Capiamo come dunque l'obiettivo di LN sia ambizioso e forse anche "troppo ambizioso" (c'è un tono a volte troppo sicuro, ma glielo perdoniamo identificandolo come "segno di entusiasmo" e passione per la ricerca), ma contenga però una prospettiva davvero stimolante, ossia quella di poter descrivere il pensiero astratto in termini di meccanismi metaforici neurali e quindi linguistici derivanti dall'esperienza quotidiana, delineando quindi uno strettissimo rapporto fra percezione e astrazione, come per altro gli studi sui neuroni specchio hanno messo in luce negli ultimi anni.

Vista una certa prolissità dell'introduzione, vedremo nel prossimo post come attraverso la Metafora Base dell'Infinito (BMI, in breve), che è l'argomento che ci interessa, si può spiegare in maniera non esaustiva, ma molto feconda, come anche il concetto matematico di infinito sia radicato nella mente embodied e derivi dall'accoppiamento mente-mondo senza dover fare alcun riferimento a una "matematica astratta" di tipo platonico che pre-esisterebbe al pensiero umano e al mondo in cui esso è immerso, platonismo che è inquadrabile in quello che Lakoff chiama IL ROMANZO DELLA MATEMATICA, che come tutti i romanzi ideali è bene che venga riportato nella Terra dove siamo gettati da sempre.

sabato 11 febbraio 2012

L'infinito tra metafisica e scienza (2ª Parte)

Dopo una pausa mediamente lunga (a volte servono), continuo il discorso sull'infinito, che nel frattempo mi sono reso ulteriormente conto, se non lo avessi saputo già, essere molto vasto e che quindi, riflettendoci un pò su, ho deciso di esemplificare attraverso la comparazione fra l'infinito matematico dei numeri transfiniti di Georg Cantor e l'infinito filosofico a mio parere ben rappresentato dal pensiero di Gilles Deleuze per il quale mi riferirò soprattutto al suo "Che cos'è filosofia?" (1991, 1996 trad. it.) scritto assieme a Felix Guattari e alla "Logica del senso" (1969, 1975 trad. it.).

Foto: Floriana Barbu
Infine, nel prossimo post - quello conclusivo - affronterò brevemente una interpretazione dell'infinito elaborata da George Lakoff nel suo "Da dove viene la matematica. Come la mente embodied da' origine alla matematica" (2000, 2005 trad it.), scritto assieme a R.E. Nunez, nel quale il linguista cognitivo tenta una spiegazione dell'origine dei concetti matematici attraverso la sua teoria delle metafore neurali.
Tale interpretazione ha portato a diverse critiche soprattutto da parte di filosofi della matematica come Gabriele Lolli, che ha visto nel libro di Lakoff una forzatura di impronta eccessivamente "riduzionista" imputando a Lakoff  una vena di "arroganza epistemica" (prospettiva critica a mio avviso eccessivamente dura e che sminuisce invece delle intuizioni interessanti, ma lo vedremo nel prossimo post).
Per la trattazione dei numeri transfiniti mi avvarrò di 2 testi divulgativi che sono alquanto "metabolizzabili" anche da un lettore di media cultura matematica e, in particolare, "Di tutto di più. Storia compatta dell'infinito" (2003, 2005 trad. it.) di David Foster Wallace (più noto come scrittore) e "L'infinito" (2005) di John D. Barrow.
Seguirò, in particolare, l'idea di Gilles Deleuze sulla differenza essenziale fra pensiero scientifico e pensiero filosofico, laddove il primo si basa sulla costruzione di funzioni mentre il secondo sulla costruzione di concetti.
Le due modalità del pensiero (una terza è l'arte e poi una quarta è la logica), ossia scienza e filosofia,    si muovono secondo il filosofo francese su due piani di immanenza diversi, che possono incontrarsi e anche "ibridarsi", ma che restano sostanzialmente differenti.
Le funzioni elaborate dal pensiero scientifico "si presentano come proposizioni in sistemi discorsivi. Gli elementi delle funzioni si chiamano funtivi" (Deleuze, 1996 cit.) e, aggiungo io, sono caratterizzate dal fatto che devono essere formalizzabili e calcolabili attraverso l'uso del numero.
Le funzioni, come sappiamo, correlano fra loro variabili e domini numerici dando come esito numeri o altre funzioni.
Il concetto, invece, secondo Deleuze non ha né può avere nulla di scientifico (al massimo si può ispirare alla scienza, concettualizzando le funzioni) ed è costruito dal filosofo-pensatore come ritaglio del caos su un piano di immanenza che egli stesso instaura o che è stato instaurato da altri pensatori e che lui "affina" (es. neo-platonici, neo-kantiani, post-fenomenologi, ecc.), diventando così un evento "incorporeo" di superficie e apportatore di senso.

Foto: Allegory of cognition, Dina Bova
Dice infatti Deleuze:
"Il concetto dice l'evento, non l'essenza o la cosa. E' un Evento puro, un' ecceità, un'entità (...) Il concetto si definisce tramite l'inseparabilità di un numero finito di componenti eterogenee percorse da un punto in sorvolo assoluto, a velocità infinita. I concetti sono superfici o volumi assoluti, forme che hanno come solo oggetto l'inseparabilità delle variazioni distinte. Il sorvolo è lo stato del concetto o la sua propria infinità, quantunque gli infiniti siano più o meno grandi a seconda della cifra delle componenti, delle soglie e dei ponti. E proprio in quanto il pensiero opera a velocità infinita (anche se più o meno elevata) il concetto è un atto di pensiero. Il concetto è dunque al tempo stesso assoluto e relativo (...)" (1996 Deleuze cit.)

e ancora:

"La relatività e l'assolutezza del concetto sono come la sua pedagogia e la sua ontologia, la sua creazione e la sua autoposizione, la sua idealità e la sua realtà. Reale senza essere attuale, ideale senza essere astratto... Il concetto si definisce attraverso la sua consistenza, endo-consistenza ed eso-consistenza, non ha una referenza: è autoreferenziale, pone se stesso e il suo oggetto nel momento stesso in cui è creato. Il costruttivismo unisce il relativo e l'assoluto. 
Per finire, il concetto non è discorsivo e la filosofia non è una formazione discorsiva, perché essa non concatena proposizioni. E' la confusione del concetto (prodotto dalla filosofia, nda) e della proposizione (prodotto della logica, nda) che fa credere all'esistenza di concetti scientifici e che porta a considerare la proposizione come una vera intensione (ciò che la frase esprime); allora il concetto filosofico appare spesso come una semplice proposizione priva di senso. 
Questa confusione regna nella logica e spiega l'idea puerile che essa si fa della filosofia" (1996, cit.).

Gilles Deleuze
Occorre precisare che per Deleuze il piano di immanenza è una intuizione attraverso la quale esso viene instaurato o "proseguito" originalmente - nel senso predetto - dal filosofo (il piano di immanenza viene costruito anche dall'artista con i "percetti" e gli "affetti" e dallo scienziato con i "funtivi" e i "prospetti", che sono però differenti dal concetto filosofico), mentre i concetti filosofici sono delle "pure intensioni", ossia dei significati senza referenza nello "stato di cose" (di cui si occupa la scienza con le sue proposizioni logiche - i prospetti - e matematiche, i funtivi), ma si incorporano e si effettuano negli stati di cose ritagliando l'evento, che per sua natura è "incorporeo" (qui per incorporeità non dobbiamo intendere una sorta di natura metafisica extra-sensoriale, ma la natura dinamica di superficie dell'evento, che è pur sempre "materiale"), ma dotato di senso.

Cerchiamo di definire ancora un pò meglio il piano di immanenza, in modo da non lasciare eccessive perplessità o incomprensioni.

Il piano di immanenza è un taglio nel caos ed è la risposta che un filosofo, uno scienziato, un'artista - in modi diversi - tentano di fornire alla domanda "Che cosa significa pensare?".
Deleuze, in relazione al piano d'immanenza filosofico ed ai concetti di cui è popolato, dice con una immagine molto esemplificativa che:

"I concetti sono come le onde multiple che si alzano e si abbassano; ma il piano di immanenza è l'onda unica che li avvolge e li svolge. Il piano avvolge i movimenti infiniti ricorrenti che lo percorrono, mentre i concetti sono le velocità infinite di movimenti finiti che ogni volta percorrono soltanto le proprie componenti. Da Epicuro a Spinoza, da Spinoza a Michaux, il problema del pensiero è la velocità infinita che ha però bisogno di un ambito che sia in sé infinitamente in movimento, il piano, il vuoto, l'orizzonte (...) I concetti sono l'arcipelago, l'ossatura, una colonna vertebrale, piuttosto che un cranio, mentre il piano è la respirazione che bagna queste isole.
I concetti sono superfici o volumi assoluti, difformi e frammentari, mentre il piano è l'assoluto illimitato (mi viene in mente una analogia, diciamo una suggestione dell'immaginazione, con l'àpeiron di Anassimandro) informe, né superficie né volume, ma sempre frattale". (1996, cit.)

Il piano di immanenza è, inoltre, l'immagine del pensiero, "l'immagine che esso si da' di cosa significhi pensare, usare il pensiero, orientarsi nel pensiero... Non è un metodo (...) Non è neanche un insieme di conoscenze sul cervello ed il suo funzionamento (...) Non si tratta neanche dell'opinione che si ha del pensiero, delle sue forme, dei suoi scopi e dei suoi mezzi in questo o quel momento. L'immagine del pensiero implica una severa ripartizione di fatto e di diritto". (1996, cit.)

Dunque, il piano di immanenza, l'immagine del pensiero, inerisce "soltanto ciò che il pensiero può rivendicare di diritto. Il pensiero rivendica il movimento che può andare all'infinito. Ciò che il pensiero rivendica di diritto, ciò che seleziona, è il movimento infinito o il movimento dell'infinito, che costituisce l'immagine del pensiero. Il movimento dell'infinito non rinvia a coordinate spazio-temporali che definirebbero le posizioni successive di un mobile e i riferimenti fissi delle loro variazioni. Orientarsi nel pensiero non implica né un riferimento obiettivo né un mobile che, concepitosi come soggetto, vorrebbe l'infinito e ne avrebbe bisogno. Il movimento ha preso tutto e non c'è posto per un soggetto ed un oggetto che possono essere solo dei concetti. In movimento è l'orizzonte stesso: l'orizzonte relativo si allontana quando il soggetto avanza, ma per quanto riguarda l'orizzonte assoluto, piano di immanenza, noi ci siamo già da sempre" (cit.)

Foto: Oldman, di Darius Klimczak
Ritengo che a questo punto cominci a delinearsi il punto al quale volevo arrivare attraverso il pensiero di Deleuze, ossia che il pensiero - nella sua modalità filosofica - rivendica l'infinito, ossia potremmo dire che è nell'essenza del pensiero orientarsi in un movimento infinito e di selezionare un movimento dell'infinito (ricordo qui anche i miei post sul regresso all'infinito e sulla necessità di arrestarlo, tratti dal libro di Paolo Virno "E così via all'infinito" , 2010).

La genialità di Deleuze nel concettualizzare l'infinito filosofico rispetto a quello matematico e scientifico si esplicita quando dice che:

"Il problema della filosofia è di acquisire una consistenza, senza perdere l'infinito in cui il pensiero è immerso (il caos che da questo punto di vista ha un'esistenza tanto mentale quanto fisica), è un problema molto diverso da quello della scienza che cerca di dare delle referenze al caos, a patto di rinunciare ai movimenti e alle velocità infinite e di operare prima di tutto una limitazione di velocità: ciò che è primario nelle scienze è la luce o l'orizzonte relativo. La filosofia invece procede presupponendo o instaurando un piano di immanenza: le sue curvature variabili conservano i movimenti infiniti che ritornano su sé stessi in uno scambio ininterrotto, ma senza cessare di liberarne altri che si conservano. Ai concetti resta così il compito di tracciare le ordinate intensive di questi movimenti infiniti, come se si trattasse di movimenti finiti che formano a velocità infinita dei contorni variabili inscritti sul piano. Operando un taglio nel caos il piano di immanenza fa appello ad una creazione di concetti". ( cit. )

La scienza, dunque, a differenza della filosofia tenta di creare un "fermo immagine" in modo da arrestare il movimento infinito del pensiero e di rappresentarlo attraverso le sue proposizioni logiche e le sue funzioni di calcolo con lo scopo di dare una referenza agli "stati di cose" che osserva e che contribuisce così a "creare".

Per fare un esempio recentissimo, io spiegherei così l'entusiasmo che ha provocato l'esperimento italiano sui neutrini che sembrerebbe aver dato la possibilità del superamento del limite della velocità della luce: il fermo immagine, improvvisamente, dava segni di nuova apertura verso il movimento infinito del pensiero, ovviamente con tanto di scetticismo da parte dell'establishment scientifico del tutto motivato e parte essenziale del metodo scientifico stesso.
Eppure l'entusiasmo è stato enorme, anche eccessivo e "pimpato" (per dirla con un neologismo preso dal verbo "to pimp" che ad esempio descrive l'elaborazione delle automobili fatta soprattuto negli Usa) dai media e dall'ormai onnipresente "Supermarket di Prometeo".

Il superamento della velocità della luce sarebbe in tal senso il superamento del limite fisico per eccellenza, cioè quello che da quando Albert Einstein ha elaborato la teoria della relatività ci"blocca", ci "confina" per così dire in uno spaziotempo relativo e nel quale siamo incommensurabilmente "lenti" e "piccoli" rispetto alle dimensioni del cosmo.
Che poi forse non sapremmo che farcene nell'immediato del fatto che i neutrini siano iper-luminali è tutta un'altra questione, ma ciò che importa è l'apertura verso l'infinito, l'immagine che improvvisamente può dilatarsi che porta ad un inevitabile entusiasmo.

Georg Cantor
Arriviamo adesso a Georg Cantor ed ai suoi "famosi" numeri transfiniti, che pongono il più ampio problema dell'infinito matematico per così dire diviso fra l'infinito potenziale aristotelico e quello attuale, cioè in sé e per sé.

Un esempio di infinito potenziale è quello classico dei numeri interi (positivi e negativi, del tipo ...., -n, ...-1, 0, 1, 2, ..., n, n+1,  ....) per i quali preso qualsiasi numero positivo n possiamo aggiungere ad esso una unità e ottenere il suo successivo n+1 (per i negativi è lo stesso aggiungendo -1).
Il problema è che però non "esistono" solo i numeri interi (meglio dire che sono costruibili oltre ai numeri interi anche altri insiemi numerici), anzi la teoria dei numeri parte da loro per arrivare a costruire enti matematici che possiamo considerare in prima battuta "sempre più infiniti" fino a "perderci" nella infinita infinità dei numeri transfiniti di Cantor.

Ma andiamo con calma.

Innanzitutto, occorre considerare che per parlare di numeri transfiniti bisogna conoscere il concetto di insieme e il fatto che un insieme può essere finito o infinito: un insieme finito, banalmente, è quello costituito da un numero finito di elementi, che per semplicità consideriamo numeri, come ad esempio {0,1,2,3} è un insieme finito composto da 4 elementi, mentre un insieme infinito è composto da infiniti elementi ed in prima battuta possiamo considerare quello dei numeri interi, ossia {-n, ...0, 1,2,...n, n+1, ....}.

Il problema con gli insiemi infiniti sorge a partire dai numeri razionali del tipo {-1/n, ...0, 1/2, 1/3, ...1/n, ...}, poi con i numeri reali come √2 (radice di 2) o π (pi greco) e quelli complessi (del tipo a+ ib dove l'unità immaginaria i è quella tale che i al quadrato è uguale a -1) e rispondere alla domanda se, come sembrerebbe intuitivamente, l'infinito dei numeri reali è in qualche modo "maggiore" di quello dei numeri razionali e di quello dei numeri interi.

La genialità di Georg Cantor fu in primis quella di saper dimostrare che l'insieme dei numeri razionali può essere messo in corrispondenza "uno a uno" (biunivoca) con quella dei numeri interi al quale egli diede il nome di insieme numerabile e simboleggiò con la lettera ebraica aleph e il pedice 0, cioè aleph-zero אo. Dunque, nonostante una intuizione in senso diverso, numeri interi e razionali hanno la stessa "infinità" (che tecnicamente si chiama cardinalità) che viene detta numerabile.

Ma non finisce qui: successivamente Cantor introdusse il concetto di insieme delle parti P(S) o insieme potenza , attraverso il quale riuscì a dimostrare "che la gerarchia ascendente degli infiniti non ha fine"  (Barrow, 2005).
In sintesi, come dice John D. Barrow :

"Se si ha un qualsiasi insieme infinito, si può generarne un altro infinitamente maggiore considerando l'insieme che contiene tutti i suoi sottoinsiemi e che è detto insieme potenza del primo."

La dimostrazione di Cantor si avvale della cosiddetta induzione matematica, cosa che gli comportò le critiche del suo mentore e professore Leopold Kronecker, il quale non considerava corretta questa procedura in quanto dava la possibilità di esistenza ad una infinità incontrollata di entità matematiche, ma non consentiva una loro costruzione "perfetta" di tipo assiomatico-deduttiva.
Ne nacque anche una ostilità fra i due (Cantor era un "platonico" mentre Kronecker un costruzionista), che potrebbe essere anche stata all'origine della depressione e poi della follia in cui cadde Cantor successivamente.
Fonte: Mario Esposito, elaborazione personale

L'insieme potenza P(S) ha la particolarità di essere del tipo 2 exp S (2 alla S), cioè se un insieme S ha N elementi il suo insieme delle parti è del tipo 2 exp N (cioè 2X2 .... X2, N volte); in particolare, partendo dall'insieme aleph-zero אo (che abbiamo visto essere quello numerabile e che possiamo mettere in corrispondenza "uno a uno" con i numeri interi) si può considerare il suo insieme delle parti P(אo), che si dimostra avere una cardinalità maggiore di אo, poi si può costruire l'insieme P[P(אo)] e così via all'infinito generando algoritmicamente ed in successione una infinità di infiniti crescenti e di numero cardinale maggiore del precedente che lo ha generato.

I numeri אo, .., אi, ....,  אn, ... sono detti numeri transfiniti e hanno una cardinalità (intuitivamente una densità dell'infinito) tendente all'infinito, cioè non ci sono per essi limiti alla "grandezza dell'infinito" e soprattutto ogni infinito successivo è "più grande" del precedente e ad esso incommensurabile.

La "storia" dei numeri transfiniti però non finisce qui.

Cantor avrebbe voluto dimostrare che l'insieme dei numeri reali R è uguale ad aleph-uno, cioè che esso è 2 exp אo e che, pertanto, la retta dei numeri reali è continua e ogni suo punto è un numero reale (corrispondenza uno ad uno tra punti della retta e numeri reali).
Purtroppo non vi riuscì (qualcuno dice che questo contribuì a portarlo alla follia) e fino ad oggi nessuno ci è riuscito tanto che l'ipotesi del continuo continua ad essere tale, cioè si suppone (o postula) che R=2 exp אo, ma non ne esiste alcuna dimostrazione.

La questione dell'ipotesi del continuo è singolare in quanto ad esempio come scrive David Foster Wallace:

"Ma sono i platonici matematici (a volte chiamati realisti, cantoriani e/o transfinitisti) ad essere sconvolti dall' indecidibilità dell'ipotesi della continuità, il che è interessante se si considera che i due platonici moderni più famosi sono Georg Cantor e Kurt Goedel, che insieme sono responsabili per almeno due terzi di tutto questo sconcerto.
La posizione platonica viene riassunta bene da Goedel in un commento alle dimostrazioni sua e di Cohen dell'indipendenza della ipotesi della continuità: 

' Solo chi (come gli intuizionisti) nega che i concetti e gli assiomi della teoria classica degli insiemi abbiano un qualche significato potrebbe essere soddisfatto da una soluzione del genere, non chi ritiene che essi descrivano una qualche realtà ben determinata.

Kurt Goedel

Perché in realtà la congettura di Cantor (l'ipotesi della continuità, nda) deve essere vera o falsa e la sua indecidibilità a partire dagli assiomi oggi noti può significare solo che questi assiomi non contengano una descrizione completa della realtà'.

In altre parole, per un platonico matematico le dimostrazioni dell'ipotesi della continuità dimostrano in realtà che la teoria degli insiemi deve trovare un corpus di assiomi fondamentali migliore del ZFS (Zermelo-Fraenkel-Skolem) o quanto meno che dovrà aggiungere altri postulati che siano - come l'Assioma della scelta - "evidenti in sé"  e Coerenti con gli assiomi classici.

Nel caso vi interessi, personalmente Goedel ritiene che l'ipotesi del continuo sia falsa e che vi sia di fatto un ∞ di ∞ zenoniani annidati fra Aleph-zero e c (l'insieme dei numeri reali) e che prima o poi si troverà un principio che lo dimostri. Goedel e Cantor sono entrambi morti in manicomio, lasciandosi alle spalle un mondo senza una circonferenza finita.
Un mondo che oggi ruota in un nuovo tipo di vuoto, tutto formaleLa matematica continua ad alzarsi dal letto." (Wallace, 2005)


Che lezione possiamo trarre da questa breve storia dei numeri transfiniti?

Intanto, che l'infinito matematico è pensato, come direbbe Deleuze, come funzione con i suoi relativi "funtivi": l'esempio dei numeri transfiniti è emblematico con la sua costruzione algoritmica degli insiemi delle parti sempre "più infiniti".
Inoltre, i numeri transfiniti pongono con forza il problema dell'infinito attuale e della sua effettiva "liceità ontologica" fra gli enti della matematica, soprattutto per il fatto che i conti si fanno materialmente con i numeri razionali, soprattutto oggi che si usano i computer e che la stessa fisica pensa sempre di più lo spaziotempo in termini di "discreto" e di "quanti".

Non è questa la sede per entrare in questa discussione, ma è chiaro come emerga subito quel divario fra il pensiero astratto matematico di cui i numeri transfiniti sono un esempio e forse l'Esempio per eccellenza e quello "stato di cose" di cui la fisica e le altre scienze vogliono farsi i garanti attraverso una descrizione funzionale del Referente.

L'Infinito, dunque, sembra essere sia in ambito filosofico, ma anche in ambito scientifico (e artistico, ma non ne abbiamo parlato) il terreno sul quale si gioca l'attività del pensiero, anche se con modalità diverse, in un continuo processo in cui la filosofia tenta nuove aperture di senso nell'ambito del movimento infinito del piano di immanenza e della velocità infinita dei concetti e in cui la scienza procede, invece, per "zoom" e "fermo immagine".

In tale processo (infinito?), la filosofia sarà l'artigianato del senso, mentre la scienza quello della natura.