rss
email
twitter
facebook

sabato 28 settembre 2013

Tra "divenire zombie" ed il desiderio di cambiamento (2ª Parte)


"Il mondo dei fantasmi è quello che 
non abbiamo finito di conquistare" 
(Henry Miller, Sexus) 

"Il solo mito moderno è quello degli zombie - schizo mortificati, 
buoni per  il lavoro, ricondotti alla ragione"
(Deleuze-Guattari, L'Anti Edipo)




Rick Genest, alias "Zombie Boy"


II) "Divenire zombie" come conseguenza della morte di Dio

Cosa vuol dire che l'epoca della "morte di Dio" è anche quella del "divenire zombie"

Vuol dire che nel mondo contemporaneo (o, meglio, nei mondi della contemporaneità), caratterizzato dalla frantumazione di ogni ideale e di ogni fede (o, all'opposto, dalla sua esaltazione ossessiva), l'essere umano tuttavia non si è ancora svincolato dalla dipendenza e dall'assoggettamento agli iper-concetti trascendenti ed ai miti nelle loro varie declinazioni religiose (Dio, Chiesa, ecc.), sociali (Famiglia, Università, Moda ecc.), politico-burocratiche (Stato, Partito, Democrazia, Istituzione ecc.), economiche (Capitale, Mercato, Sviluppo, Crescita, ecc.), metafisiche (miti poetici, artistici, neo-pagani, new age ecc.), che anzi continuano a dominare in una sorta di macabra e ripetitiva ritualità priva di ogni reale senso di appartenenza da parte dei singoli se non di facciata. 

Chiamerò "divenire zombie" questo processo di sopravvivenza post-mortem degli iper-concetti di tipo trascendente, in analogia al mito dello zombie della fiction, le cui origini sono in genere fatte risalire ad Haiti dove si narra che i lavoratori delle piantagioni di canna da zucchero venissero drogati e ridotti in uno stato di schiavitù e che ciò abbia contribuito a creare (o a rafforzare) il mito dei morti viventi delle credenze popolari. 

La nostra è una società iper-mediatica, dunque intrinsecamente e profondamente annodata alla fiction, ed è per eccellenza quella che riesce a rendere reale ciò che è finzione e viceversa a rendere finzione ciò che è reale in un gioco continuo di scambio dove è più che evidente che i confini fra realtà e fiction hanno perso ogni consistenza, e pertanto risulta essere lo spazio ideale per la creazione, la diffusione e la perpetuazione di fantasmi collettivi

Viviamo in uno spazio iper-tecno-capitalistico dove coesistono contemporaneamente, in quella che chiamiamo la rete globale, una infinità di credenze ed opinioni (l'impero della doxa) che si diffondono senza la possibilità nè la volontà di approfondirne la attendibilità e men che mai la verità

In questo spazio dai connotati più disumani che umani, la "morte di Dio", intesa, come già detto nel precedente post, sia letteralmente che come morte del Dio metafisico e di quello dei poeti (questi ultimi due però continuano ad esistere come "zombie"), si sta consumando in realtà da un lato come iper-cinismo fondato sulla potenza decodificante del capitale (una macchina "schizofrenica" che riesce ad adattarsi ed a proliferare epidemicamente a prescindere da fattori culturali specifici e regionali) e sulla sua funzione principale di "produzione di desiderio di consumo" e dall'altro come proliferazione di fantasmi e ri-presentazione degli iper-concetti trascendenti che il postmodernismo sembrava solo in apparenza aver decostruito definitivamente fino a rendere dei meri simulacri.
Credit: Auerback to the future 1, Sophie Derrick 

Se è vero (sul concetto di verità torneremo in seguito) che "Dio è morto", è però accaduto che esso è ritornato e si ripete come "morto vivente", ossia come zombie ipertrofico e multi-metamorfico: fondamentalismi religiosi, piazze gremite in San Pietro ad acclamare il Papa (che pur è fra i pochi a dire cose sensate nella loro "ovvietà" - come la ormai famosa frase sui gay - che però appare "innovativa" se pronunciata dalla bocca di un papa che viene dalla "fine del mondo", soprattutto dopo il "teologo" Ratzinger), recenti video surreali di leader politici condannati dalla magistratura ed acclamati dai propri "tirapiedi" e dal "popolino" adulante e rabbioso, nuove ed improbabili guerre fredde attorno a paesi medio-orientali dilaniati dalla guerra civile, scontri tragicomici fra pseudo-leader politici fondati su slogan populistici, una pervasiva cultura dell'immagine e della fiction, del marketing, della comunicazione, del consenso, del consumo ossessivo (tra cui droghe e farmaci) e delle statistiche, un'etica occidentalizzata dei diritti umani, guerre umanitarie, una bioetica da talk show, il proliferare del "neuro" e del "quanto" qualcosa come spiegazioni "tuttologiche" della "snack-culture", ovunque regna pressoché incontrastato uno zombie del pensiero che si manifesta come reale o addirittura come "unica realtà possibile" o, magari, come "verità".

E' come se la morte di Dio fosse in realtà stata una sorta di esplosione letale dalla quale si sono promanati una infinità di frammenti che continuano ad esistere nella forma di zombie contagiosi ed epidemici, tanto più pericolosi per il fatto che sono dei morti-viventi che è difficile se non impossibile poter uccidere un'altra volta senza che ritornino di nuovo (anche se nella fiction è possibile ucciderli tagliando loro la testa, anche qui con un significato metaforico nemmeno tanto nascosto).

Lo zombie è la forma di immortalità dell'iper-concetto, dell'Uno (come direbbe Badiou "l'Uno non è", e aggiungo io dell'Uno che non è, ma diviene come zombie, ossia come fenomeno di ripetizione acefala dello stesso).



Credit: Peeking, Shin-Young An
Come scrive lo psicanalista lacaniano Massimo Recalcati nel suo "L'uomo senza inconscio. Figure della nuova clinica psicanalitica" (2010), è il vuoto a pervadere quel che resta del soggetto contemporaneo (non il vuoto ontologico di Alain Badiou di cui parlavo nel post precedente, ma un vuoto fenomenologico-esistenziale) tanto che oggi si parla di clinica del vuoto in relazione a patologie sempre più diffuse come l'anoressia, gli attacchi di panico e le depressioni, tutte accomunate dalla predominanza della pulsione di morte e dalla entrata in scena prepotente del reale del godimento (la jouissance di Lacan, la volontà di possedere la Cosa di godimento) rispetto alle più classiche patologie del desiderio e della rimozione della clinica della nevrosi o della psicosi.

Sempre Recalcati nel suo "Ritratti del desiderio" (2012), dove elenca dieci tipologie di desiderio (invidioso, dell'Altro, desiderio e angoscia, desiderio di niente, desiderio di godere, desiderio dell'Altrove, desiderio sessuale, desiderio amoroso, desiderio di morte, desiderio dell'analista) parla del desiderio di niente e scrive:


"Il desiderio come desiderio di niente sembra invece sganciarsi da ogni relazione con l'Altro. Non è più desiderio dell'Altro, non è più in relazione con l'Altro, ma è desiderio che consuma sé stesso, desiderio, dunque, di nessun oggetto, desiderio di niente appunto.

Cosa significa? Significa che la natura del desiderio porta con sé non solo la necessità del legame con l'Altro, ma anche una incompatibilità di fondo. 
Il desiderio umano non è solo desiderio dell'Altro, non è solo ciò che si appaga simbolicamente nel desiderio dell'Altro, nel sentirsi riconosciuto, voluto, desiderato dall'Altro, ma è anche desiderio d'Altro, desiderio che sospinge al di là di ogni possibile oggetto, al di là di ogni possibile soddisfazione, compresa quella simbolica del riconoscimento. 
Il Don Giovanni si presta ad incarnare questa fuga perpetua e inquieta del desiderio: nessuna è mai abbastanza. L'umano è travolto dalla forza del desiderio come desiderio di niente. (...)
E' quella dimensione del desiderio che non s'incarna solo nell'isteria, ma anche nella spinta compulsiva al nuovo, al non ancora visto e al non ancora conosciuto, al di là dell'oggetto a disposizione. Il desiderio come desiderio d'Altro è desiderio non di "questo", di ciò che ho, di ciò che è presente, ma sempre di "altra Cosa", di una Cosa che non può mai essere presente. 
Per questo, secondo Lacan, i bambini dicono di volere la luna. 
Non un oggetto del mondo tra gli altri, ma qualcosa che dal mondo si vede ma che è fuori del mondo. Essi vogliono l'oggetto impossibile da avere, l'oggetto irraggiungibile, l'oggetto degli oggetti, l'oggetto di un altro mondo.
Nel desiderio come desiderio di niente, come desiderio d'altro, si tratta del desiderio come insoddisfazione perpetua, del carattere anarchico, impossibile da educare, irrequieto, intemperante del desiderio che si manifesta prepotentemente nella figura del Don Giovanni, il quale rincorre e seduce senza tregua le sue prede senza mai potersi fermare a una sola.(...)


La parabola dei ciechi (1568), Pieter Bruegel
Egli è il ritratto del desiderio come desiderio d'Altro, come desiderio di niente. Per questo il desiderio di Don Giovanni - nella sua fuga incessante - porta alla dissipazione ed alla morte. Lo sanno bene certe isteriche che alla fine della loro vita restano con un pugno di mosche: hanno sempre obbedito alla legge del desiderio d'Altro vivendo in una perenne inconcludenza.
Il desiderio d'Altro accompagna come un'ombra la dimensione vacua dell'utopia. (...)
Ma non è un caso che Lacan definisse l'utopia come una delle figure fallimentari del desiderio. Il rischio del desiderio utopico è, infatti, quello di non realizzarsi mai, di differire perennemente la sua soddisfazione, di restare perennemente insoddisfatto.
Il fantasma isterico che sostiene questo differimento perpetuo è che la realizzazione del desiderio coinciderebbe con la sua stessa morte. (...)
Il discorso del capitalista ha sfruttato in modo astuto il desiderio come desiderio di niente. (...) Il desiderio come desiderio d'Altro mostra che il niente abita sempre ogni oggetto del mondo. 
Da questa inconsistenza scaturisce l'astuzia del discorso del capitalista. 
Esso la sfrutta abilmente spostando la promessa da un oggetto all'altro, promettendo, per il tramite del nuovo oggetto, una salvezza che dovrà invece rivelarsi come mancata, deludente, per poter alimentare di nuova energia la corsa folle del desiderio.
Il discorso del capitalista fa finta di voler guarire la mancanza che affligge l'umano solo per sfruttare il più possibile l'esistenza di questa mancanza.
Per questa ragione Lacan riconosceva nell'iperattività un tratto decisivo di quel discorso.
La sua furia nichilistica tende a far trapassare il desiderio verso un godimento rovinoso che con l'illusione di perseguire il "nuovo" come terra promessa non fa altro che ripetere la stessa insoddisfazione."


Credit: Mind Trip, Naoto Hattori
E ancora, più avanti:

"Il desiderio come desiderio d'Altro, come desiderio di niente, assomiglia, secondo Lacan, a un'opera del fiammingo Brueghel dove una colonna di uomini ciechi segue una guida anch'essa cieca. Il desiderio di niente non è motore della vita, non è apertura alla vita, non è slancio e creazione, non è lavoro e progetto, ma costeggiamento di un precipizio, rischio di perdersi, di smarrirsi, pericolo della caduta nel vuoto."


La risposta a questo desiderio di niente, a questa mancanza senza oggetto, è quella di Don Giovanni che si trasforma in una macchina pura di godimento, mero collezionatore di corpi femminili, che in questo modo "prova a resuscitare l'illusione dell'eternità, della sospensione del tempo, dell'immortalità", esorcizzando "lo spettro sempre incombente della caducità. Lo scongiuro della morte appare allora come il vero significato dell'operazione seduttiva e dell'incubo fallico della prestazione".


Gli zombie del pensiero, dunque, ci costringono nelle gabbie di una realtà svuotata di ogni senso se non quello del godimento, nel senso psicanalitico sopracitato, riemergono con forza gettando il soggetto contemporaneo in una profonda angoscia che si nutre di sè stessa fino a desiderare l'annichilamento stesso del soggetto o una sua falsa salvezza attraverso la sottomissione più o meno consapevole allo zombie dominante o magari solo più conveniente.


E' del tutto evidente come la "morte di Dio" sia confluita nella volontà di godimento assoluto e fine a sé stesso che caratterizza la nostra contemporaneità, che proprio perchè impossibile (è uno zombie del pensiero, un fantasma) finisce per provocare più tensioni e patologie psico-fisiche che quell'agognato e "sacro" benessere che è invece una costante dell'immaginario delle democrazie -capitalistico-parlamentari (come le definisce Badiou): siamo, dunque, di fronte ad un vero e proprio delirio paranoico della contemporaneità in cui una certa predominanza della pulsione di morte sulla produzione desiderante si sfoga attraverso il processo paradossale (quindi, se vogliamo, anche "normale" dal punto di vista inconscio) del "divenire zombie", ossia della persistenza nella realtà di iper-concetti trascendenti (Dio, Partito, Mercato ecc.) che condizionano massivamente le nostre esistenze rendendoci asserviti e assoggettati allo status quo senza alcuna possibilità di modificarlo e condannandoci ad una mortificante eterna ripetizione dello Stesso.


In una frase: non siamo capaci di generare alcun tipo di cambiamento fecondo della realtà.

Credit: Vladim Stein
La nostra fragile e contraddittoria economia libidinale è, in estrema sintesi, incapace di generare una valida alternativa alla persistenza degli zombie del pensiero e del loro complesso rapporto con un inconscio devastato se non annullato da quello che Lacan, come abbiamo visto, chiamava il discorso del capitalista.

Divenire zombie, quindi, è la dimensione esistenziale del soggetto contemporaneo (o di quel che resta di esso) condannato al conformismo più grigio ed all'adeguazione più acefala alle forme mortifere delle democrazie capital-parlamentari occidentali o alle varie forme di totalitarismo, fondamentalismo e autoritarismo delle altre parti del mondo (in questo lo zombie è una sorta di figura mitica universale ed è vano, quanto ridicolo, difendere uno stato piuttosto che un altro solo perchè si oppone agli USA in quanto identificati ingenuamente con il Male Assoluto).

Prendendo le mosse da Alain Badiou e dalla sua "Logiques des mondes" (2006, non tradotto ancora in italiano e sintetizzato da Badiou nel "Secondo Manifesto per la filosofia" del 2010), potremmo dire che il nostro mondo, i nostri mondi, sono caratterizzati da un Trascendentale (per semplificare estremamente immaginiamo una struttura d'ordine del tipo < =, a-soggettiva, in cui sono definite una funzione di identità e, quindi di differenza, massimi e minimi di esistenza, l'operazione di congiunzione e quella di involucro e la congiunzione è distributiva rispetto all'involucro: più tecnicamente un' algebra di Heyting) che non consente l'emergenza di quelli che Badiou chiama eventi, ossia rotture radicali dello status quo del sapere e dell' ordine costituito, che restano come mere potenzialità ontologiche la cui manifestazione fenomenologica è per lo più preclusa alle condizioni (trascendentali) attuali, a meno di tracce molto flebili se non evanescenti.

Cosa possiamo ideare per opporci al "dominio dei morti-viventi", quindi a questa particolare forma di immortalità degli iper-concetti, che seppur morti continuano a vivere come potenti zombie?

La proposta di Alain Badiou, che possiamo immaginare come una sorta di "soggetto anti-zombie", è quella che nel lessico dell'autore è definito come un soggetto immortale (legato per Badiou al concetto di verità che "buca" il sapere ed il linguaggio) e quindi immune o, quanto meno, resistente allo zombie, che deve però in qualità di singolo, come scrive Peter Sloterdijk, saper cambiare la propria vita.

Resta, però, come avrò modo di dire, il forte dubbio sulla reale possibilità di realizzare questo "nuovo soggetto" ipotizzato da Badiou.

Vedremo nel prossimo post di cosa si tratta parlando di soggetto, di evento e di cambiamento.

mercoledì 26 giugno 2013

Tra "divenire zombie" ed il desiderio di cambiamento (1ª Parte)


Barbs Popart - What Goes Around Comes Around
Nietzsche aveva ragione: Dio è morto.

Purtroppo, però, la conseguenza è stata che il "divenire-zombie" è la dimensione paradossale di esercizio del potere nella contemporaneità.

Lo scrivevo qualche tempo fa sul mio profilo Facebook in quelli che chiamo "pensieri caos-nessi" e credo sia giunta l'ora di andare più a fondo nella disamina di questo assunto che potrebbe apparire, se lasciato in forma di aforisma, una sorta di mero enunciato estetico.

Intanto, possiamo scindere la mia tesi in 3 concetti chiave sulla cui analisi mi soffermerò in questo post e nei prossimi:

1. "Dio è morto";

2. "Divenire zombie" come conseguenza della morte di Dio;

3. Il Potere come forma di persistenza e di relazione paradossale fra "l'essere morto di Dio" ed "il divenire zombie".

Questi tre concetti chiave devono, poi, essere abbinati ad un altro concetto, ossia quello di cambiamento, che al momento lascerò sullo sfondo e - come dichiarato nel titolo di questo post - analizzerò in un secondo momento più in dettaglio nell'accezione generica di "desiderio di cambiamento".

I)"Dio è morto"

La tesi che Dio è morto, enunciata da Nietzsche, deve essere esplicitata con riferimento all'identità di Dio, ammesso che possa averne una (questo è un punto fondamentale, come quello dell' "uno").

Se seguiamo quanto afferma Alain Badiou nel suo "Ontologia transitoria" (2008), sul quale mi baserò in questo post, possiamo individuare tre "dèi capitali": il Dio delle religioni, il Dio della metafisica ed il Dio dei poeti.

Possiamo partire, dunque, da queste tre manifestazioni fenomenologiche del "concetto" di Dio dalle quali, nel prosieguo, ci renderemo conto che, in realtà, Dio non è un concetto qualsiasi quanto piuttosto un super-concetto (ma potremmo definirlo anche un iper-concetto o un oltre-concetto) - tanto che Nietzsche lo ha dovuto letteralmente "sostituire" con il "super-uomo" o "l'oltre-uomo" - e, in quanto tale, non è mai definitivamente superabile in quanto contiene in sé una potenza generativa infinita dovuta al fatto che, a mio parere, l' "iper-concetto Dio" non ha alcuna identità (l' "Uno non è" secondo Badiou), ma è invece una manifestazione nell'ambito del pensiero di quello che, ontologicamente, in Badiou è chiamato "l'inconsistenza dell'essere-in quanto essere" (la molteplicità pura che ha come nome proprio il vuoto) e in Deleuze la differenza ed il desiderio.

Schizogenesis - Matthew Kowalski
In sintesi, in prima approssimazione, possiamo dire che l'iper-concetto di Dio si auto-genera in perpetuo, a partire da un lato dal vuoto, che permea il processo di soggettivazione dell'essere umano (il soggetto-vacuità, che necessita quindi di "produrre-per-dare consistenza" al vuoto originario del suo essere, quest'ultimo da non confondere con il concetto psicoanalitico di "mancanza"), e dall'altro dalla differenza, nel suo divenire "eterno ritorno e ripetizione della differenza", che si manifesta con la dimensione desiderante (c'è qui, evidentemente, una dualità vuoto-differenza che va approfondita).

Tornando ai tre "dèi capitali", possiamo senz'altro affermare, con Nietzsche e con Badiou, che il Dio delle religioni è morto e vediamo perché attraverso le parole di Badiou stesso:

"Ma persino Lacan, che non si può certo sospettare di compiacenze clericali, sosteneva che fosse propriamente impossibile farla finita con la religione. 
Ebbene, io sono convinto del contrario, e prendo alla lettera la formula 'Dio è morto'. E' accaduto, o come direbbe Rimbaud, 'ceci est passé'. 
Dio, non c'è più. Ed anche la religione non c'è più.
Vi è in questo, come Jean-Luc Nancy ha enunciato con forza, qualcosa di irreversibile, rispetto a cui si tratta solo di capire a causa di quale meccanismo soggettivo si possa con tanta facilità far finta che non sia successo niente, e credere che anzi la religione prosperi o, come si dice oggi, ritorni. 
Ma no.
Nulla ritorna, non bisogna credere agli spettri, il morto va alla deriva, solitario e dimenticato, nel suo sepolcro anonimo e senza luogo.
A condizione, beninteso, di sostenere che solo un Dio vivente è potuto morire, senza resurrezione possibile."

E prosegue:

"Che Dio sia morto vuol dire: non è più quel vivente che si può incontrare quando l'esistenza si immerge nella propria trasparenza. E che qualcuno dichiari alla stampa di averlo incontrato sotto a un albero, o in una cappella di campagna, non cambia nulla alla faccenda.
Poiché sappiamo che nessun pensiero può far valere i propri diritti a partire da tale incontro, così come, a chi dichiari di aver visto uno spettro, si accorda unicamente la considerazione positiva di una manifestazione sintomale.
In questo senso si deve dichiarare che la religione è morta, e che anche quando essa sembra mostrarsi nell'apparente dispiegamento dei suoi poteri, si tratta solo di un sintomo particolare, sintomo di commemorazione in cui la morte è onnipresente.
Quel che sussiste non è più la religione, ma il suo teatro
Solamente a teatro infatti, come nell' Amleto, pare che gli spettri possano avere qualche efficacia.
In questo teatro, spesso anche cruento, ci viene presentato ciò che ci si immagina potrebbe essere la religione se il Dio vivente, di cui nessuno ha la benché minima idea, non fosse morto.
Le obiezioni genericamente mosse contro il motivo della morte reale del Dio vivente, e dunque della religione, si rifanno, da una parte alla dottrina del senso, e dall'altra ai cosiddetti integralismi, che testimonierebbero della convinzione del ritorno religioso.
Non credo che queste obiezioni siano pertinenti."


In Limbo - Odd Nerdrum
E' interessante notare come Badiou, qualche capoverso prima, affermi con grande lucidità che:

"Il punto cruciale, allo stesso tempo semplice ed arduo, rispetto alla portata della formula 'Dio è morto' si formula così: se si afferma che 'Dio è morto', il Dio a cui ci riferiamo era vivente, apparteneva alla dimensione della vita.
Di un concetto, di un simbolo o di una funzione significante si può dire che sono divenuti obsoleti, che sono stati contraddetti, che sono divenuti insufficienti.
Non si può dire che sono morti.
Ragion per cui qualora ci si approssimi alla questione rappresentata da Dio a partire dalle simbolizzazioni primordiali si finisce per concludere che Dio non è morto, o che è immortale." 

L'affermazione di Badiou che può morire solo "quel Dio" che è vivente è qui essenziale in tutta la sua apparente semplicità: infatti, come dicevo sopra, se intendiamo Dio come "Iper-Concetto" siamo evidentemente obbligati a concludere che, in quanto tale, non potrà mai morire finché esisterà l'essere umano ed il suo legame pensante all'inconsistenza dell'essere (ossia del vuoto), per esprimermi con i termini usati dall'ontologia di Badiou.

Approfondiamo meglio la questione.

Possiamo affermare che "il Dio della religione è morto" se e solo se lo intendiamo come Dio vivente e poi morto. La questione è del tutto letterale. Diciamo che riguarda, in tal senso, principalmente le religioni monoteiste che affermano la venuta di Dio sulla Terra (già accaduta per i cristiani o annunciata come per l'ebraismo) nella forma di messia e tocca molto meno quelle religioni in cui il concetto di Dio è più vicino, al ben più insidioso, Dio della metafisica.
Molto banalmente, non siamo obbligati a credere che ciò che è morto possa tornare a vivere se non per fede (questo è un punto che mette in difficoltà, a mio avviso, la stessa ontologia di Badiou, dove la fedeltà/decisione/assioma ha una posizione fondamentale, ma che comunque ha il pregio di essere una ontologia materialista dove, forse, l'unico Dio-iper concetto è proprio l'assioma della sceltasia in senso matematico che in senso politico, e la sua intima connessione con il concetto di infinito, quello di molteplicità e quello di differenza).

Credit: Vladimir Kush
Come dicevo, è invece molto più insidioso "liquidare come morto" il Dio della metafisica in quanto tale Dio è un iper-concetto che si metamorfosa storicamente nel pensiero metafisico - che è filosofico, ma soprattutto politico-economico - e che intrattiene con il Dio delle religioni un rapporto tanto incestuoso quanto pericoloso e intrinsecamente produttivo di violenza.

Leggiamo ancora Badiou:

"Al riguardo è decisivo distinguere ciò che viene designato dal termine 'Dio' nella formula 'Dio è morto', punto in cui questa parola si connette alla religione, e ciò che con questa stessa parola si intende nella speculazione metafisica.
Uno dei tanti meriti di Quentin Meillassoux è quello di aver stabilito, in una prospettiva ontologica ed etica di grande originalità, che il Dio della metafisica è sempre stato la componente essenziale di una macchina da guerra razionalista contro il Dio vivente della religione.
Alla metafisica infatti, come già Pascal obiettava a Descartes, non conviene in realtà che un Dio morto, un Dio già morto o morto da sempre, un Dio con cui nessuna religione può nutrire la propria fede, quand'anche la religione, per assoggettare un pò gli spiriti più innammorati della ragione, cercasse di dichiararsi compatibile con un tale Dio.
Ciò che al fondo essa non è.
Poiché il rischio religioso è fare di Dio un vivente, con il quale cercare di vivere e, vivendo con lui, produrre senso per la vita nella sua totalità, morte compresa.
Mentre il rischio metafisico sta invece nel vedere nella parola 'Dio' solo la consistenza probante di un concetto, e,  a partire da questo concetto, nel garantire che le verità hanno un senso.
Il termine 'Dio' è un anfibologia, perché se si considera Dio come un vivente, questo termine indica il senso totale della vita e, se si considera Dio in quanto da sempre già morto, esso indica il senso possibile della verità.
In rapporto a Dio è vero che la religione è vivificante e la metafisica mortificante.
La grande opera di mortificazione metafisica di Dio comincia, con magnificenza, sin dai Greci. Muove certo dalla questione del senso, della donazione di senso, o della totalizzazione del senso, ma lo fa, al contrario dell'anti-filosofo Kierkegaard, senza considerare gli affetti e lo sprofondamento esistenziale in tale donazione.
Da questo punto di vista il Dio di Aristotele (il supremo motore immobile, nda) è esemplare."

Il Dio della metafisica (intesa come metafisica classica, diciamo fino ad Heidegger escluso che per Badiou, invece, aderisce ad un altro Dio: quello che è nominabile come il Dio dei poeti, al quale in verità aveva aderito già Nietzsche) pertanto è quello che si insedia come Principio e Origine (il concetto di onto-teologia di Heidegger ne dà una visione parzialmente condivisibile e radicale nel suo considerare con tale nome anche, e soprattutto, la stessa scienza) e che, in quanto tale, dà senso e verità all'esistenza dell'essere umano ed alle sue (presunte) decisioni (presunte, in quanto pre-determinate dal senso "dispensato" dagli iper-concetti).

Se vogliamo essere ancora più radicali, potremmo asserire che lo stesso pensiero postmoderno, nella sua critica ad ogni "grande narrazione" (leggasi, nel mio lessico, iper-concetto), finisce esso stesso per essere una grande narrazione sui generis e, quindi, nel negare ogni verità afferma l'esistenza dell'inesistenza di ogni verità (che rischia di essere una affermazione assoluta) e quindi è esso stesso "fedele" (continuo ad usare il lessico di Badiou, che qui mi sembra fecondo) ad un iper-concetto: siamo nella circolarità del pensiero, tanto invocata per la sua fecondità da Heidegger quanto "biasimata" per il suo intrinseco "non senso" da Wittgeinstein che vedeva nei "giochi linguistici" l'essenza della filosofia e della metafisica, e dalla quale sembra quasi impossibile poter uscire tanto che il pensiero postmoderno continua ad avvilupparsi su sé stesso nelle varie declinazioni del pensiero "più o meno debole", ma concretamente incapace di dare risposte alle domande più urgenti della contemporaneità (equità sociale, giustizia, democrazia reale ecc.).
Purgatorio - Fred Duignan

Se è certo che 'il Dio delle religioni è morto', dunque, possiamo dire che il 'Dio della metafisica', che concepiremo in maniera estensiva come caratterizzante anche (e forse soprattutto) il pensiero contemporaneo così come è permeato da iper-concetti come quelli dell'assiomatica economica capitalistica o di quella politica-democratica rappresentativa, non è morto ma che è "in decostruzione" con esiti, come vedremo (o, se volete, come osserviamo anche tutti i giorni), paradossali.

Infatti, se alla morte del 'Dio delle religioni' si sta contrapponendo il proliferare degli integralismi contemporanei, alla morte del 'Dio della metafisica' si contrappone la persistenza metamorfica del potere esercitato in maniera autoritaria e vessatoria da parte della politica e dell'economia, supportato ovviamente come sempre (anche se in forme sempre più fluide e contraddittorie) da quello religioso.

In sintesi, nel nostro continuo appellarci ai "politici", allo "stato", alla "democrazia" come forme "esterne" e gerarchizzate non facciamo che avallare la persistenza del 'Dio della metafisica' e, quindi, decretare ogni giorno in più la nostra sudditanza ad un Principio regolatore trascendente.

Il potere, cioè, e la sua conquista, è intimamente connesso alla questione del 'Dio delle religioni è morto' (gli integralismi sono la risposta a questo evento) e a quella del 'Dio della metafisica è morto' (l'economia capitalistica e le forme democratiche di tipo rappresentativo vigenti sono la dimensione "vivente", ma come affermerò in realtà nella forma di "divenire zombie", di tale morte-in divenire del Dio metafisico).

Ancora Badiou:

"Quanto agli integralismi contemporanei, sosterrò che il considerarli come il ritorno del religioso non porta da nessuna parte. Si tratta di formazioni contemporanee, di fenomeni politico-statali del nostro tempo e, diciamolo pure: si tratta di invenzioni, ormai chiaramente improduttive su di un piano propriamente religioso, ma virulente nello spazio che esse stesse si sono assegnate, quello della conquista del potere.
In realtà bisogna pensare i fenomeni che vengono solitamente chiamati integralismi come una delle forme soggettive, sarei tentato di dire come uno dei tipi soggettivi, in cui si enuncia precisamente la morte di Dio.
Questo tipo corrisponde a quello che io chiamo soggetto oscuro (qui si potrebbe aprire una similitudine con il polo paranoico - segregativo di Deleuze nell'Anti-Edipo, nda), perché l'enunciato di verità di cui esso rappresenta l'attivazione è attivo solo in quanto enunciato sbarrato, nascosto, inconscio.
Per questo la sua unica risorsa è mortificare ciò che lo costituisce, cosa di cui nessuno psicanalista si stupirebbe.
Da questo l'affermazione disperata e sanguinaria di una religione finta e mortifera, il cui principio reale, soggettivamente nascosto, è, da un capo all'altro, la morte di Dio."


The Conscious Stream - Peter Rock

Il paradosso, in questo caso, è la produzione mortifera in nome di Dio, ma che in realtà è in "nome della morte di Dio".

Per quanto riguarda il 'Dio della metafisica' "in decostruzione", sempre Badiou afferma che:

"Non consegue, però, l'ho già detto, che anche il Dio della metafisica sia morto.
Su questo punto bisogna partire da quella che io definirei l'aporia di Heidegger. Come si spiega che il pensatore che determina la metafisica in quanto onto-teologia, come occultamento della questione dell'essere attraversa quella dell'ente supremo, finisca per affermare, nella sua dichiarazione testamentaria, che solo un dio ci può salvare? Evidentemente questo è possibile, ancora una volta, solo se la parola 'dio' si presta all'equivoco.
Il solo Dio che ci può salvare non è certo il Dio-Principio in cui si concentra l'oblio dell'essere nella metafisica occidentale. Si converrà ugualmente sul fatto che neppure si può trattare del Dio vivente delle religioni, la cui morte, sia pure con qualche contorsione, Heidegger, seguendo Nietzsche, accetta. E' dunque necessario che oltre al Dio storicamente morto delle religioni, e al Dio da decostruire della metafisica, Dio che del resto può assumere, nell'umanesimo post-cartesiano, il nome stesso di uomo, bisogna dunque che si affacci al pensiero un terzo Dio, o un principio divino d'altro ordine.
Un tale Dio, o tali dèi, o un tale principio divino, in effetti esistono.
Sono il frutto di una creazione romantica, e segnatamente di Hölderlin. Ragion per cui lo chiamerò Dio dei poeti. Non si tratta nè del soggetto vivente della religione, sebbene si tratti di vivere vicino a lui, ma nemmeno del Principio della metafisica, sebbene si tratti di trovare presso di lui il senso sfuggente della Totalità.
E ciò a partire da cui il poeta si dà l'incantamento del mondo, e che se perso espone all'inoperosità. Un tale Dio non si può dire né vivo né morto, nè che lo si possa decostruire a piacimento come un concetto affaticato, saturato o sedimentato.
L'espressione poetica fondamentale atta a descriverlo è: questo Dio si è ritirato, lasciando il mondo in preda al disincanto."

Giustamente, a mio parere, Badiou vede in questa evocazione salvifica del Dio dei poeti da parte di Heidegger una forma di pensiero nostalgico (e, come sappiamo, intrinsecamente anti-scientifico nella sua critica all'espressione della scienza nella Tecnica moderna attraverso il linguaggio del "matema", che deve per Heidegger essere abbandonato a favore del "poema"), che manca il bersaglio clamorosamente nei confronti della necessità di un nuovo pensiero contemporaneo, ateo-materialista e impegnato nella creazione di un nuovo concetto di comune (qui entrano in gioco anche Negri e Hardt, ma lo vedremo in seguito) e di convivenza biopolitica.

Riassumendo: morte del dio religioso, decostruzione del dio metafisico e rottura con il ritiro del dio dei poeti sono le tre forme principali della "questione della morte di Dio", che continuerò ad affrontare nel prossimo post dove si comincerà a delineare la dimensione del nostro attuale "divenire zombie".

sabato 23 febbraio 2013

Macchine stranamente ribelli (4ª Parte - Mille Piani)


Credit: Tommy Ingberg – Get in Line
Se L'Anti Edipo è animato dalle "macchine desideranti", la seconda parte della riflessione di Deleuze e Guattari su capitalismo e schizofrenia, ossia Mille Piani, è invece pervasa dalla incessante azione produttiva delle "macchine astratte". Il concetto di macchina astratta non è semplice da comprendere (le stesse macchine desideranti sono macchine astratte) in quanto contiene in sé una duplice natura: quella di essere al tempo stesso reale ed astratta (un pò come un quadro astratto e le sue mille possibilità di espressione e contenuto).

La macchina astratta è reale in quanto produce i concatenamenti macchinici di cui abbiamo parlato (e di cui la ribellione e la gregarietà sono una componente importante), che possono essere sia concatenamenti di enunciati che concatenamenti di corpi (nel senso stoico di qualsiasi materia formata), ma è al tempo stesso astratta in quanto è una macchina (in realtà ci sono molteplici macchine astratte e lo vedremo) di tipo diagrammatico ed analogico-inferenziale, che agisce concatenando materia e funzione come un a priori - condizione di possibilità che interviene su espressione e contenuto quando sono ancora indistinti e, per così dire, contemporaneamente sia segno che particella (un "segno-particella" o "particola"), innescando il processo macchinico della loro suddivisione e di contestuale e continuo interscambio di flussi di quanta di deterritorializzazione relativa.

L'elaborazione del concetto di macchina astratta, da parte di DG, prende le mosse dalla semiotica di Hjelmslev  in cui c'è una griglia linguistica i cui elementi sono MATERIA (come "continuum"), ESPRESSIONE e CONTENUTO, FORMA e SOSTANZA, per poi distaccarsene in quanto l'origine di tale griglia non è, a loro avviso, linguistica (Deleuze e Guattari sono "post-strutturalisti"), ma socio-politica, e quindi essa inerisce ad una pragmatica che i nostri assimilano alla schizoanalisi.

Credit: Emanuela Harris Sintamarian - Every Object is Modify by Onlooker 
Dunque, riassumendo, possiamo dire che la macchina astratta è una macchina empirico-trascendentale, nel senso che è reale (ma non concreta) ed è un "a priori", cioè una condizione di possibilità (non è un' invariante, ma è sempre invece empiricamente e storicamente determinata, cioè singolare) per i concatenamenti macchinici che essa produce e che la effettuano (senza macchina astratta non si producono concatenamenti).

Il suo “status” di astrazione (che può essere assoluto o relativo) implica che non è una struttura, ma è piuttosto un diagramma di materia e di funzione (quindi uno "schema analogico astratto" non formato e di “tipo inferenziale”), che concatena espressioni e contenuti (potremmo parlare di una sorta di macchina analogica ad apertura logica, facendo riferimento al concetto elaborato della scienza della complessità) a partire da quando sono ancora “segno-particella” (indistinti).


Quando l'astrazione è assoluta, essa produce il Piano di Consistenza (macchine astratte di consistenza che producono il CsO e quindi un nuovo piano di immanenza), ma non solo: ci sono anche altri tipi di macchina astratta, cioè le macchine astratte di stratificazione (significanza, soggettivazione, interpretazione, organizzazione) e le macchine astratte surcodificanti o assiomatiche (es. il Capitalismo, lo Stato, il Partito) in cui l'astrazione è relativa.

Credit: Benoit Curti

Il diagramma, lo ripetiamo, agisce sulla materia e usa la funzione (la materia come “continuum” e “massa amorfa”, la funzione come “macchina iconico-analogica inferenziale”), come ad es. una formula algebrica o una topologia geometrica da cui si deducono altre proprietà algebriche e geometriche, anche se qui l'astrazione è già "stratificata"; il diagramma agisce su espressione e contenuto contemporaneamente e prima che si “dividano”.
Un esempio è la “carta topografica”, dove la materia non è formata “fisicamente” e la funzione non è formata “semioticamente” (non si può parlare, al livello diagrammatico, né di sostanza né di forma di espressione e di contenuto, ma solo di tratti o di punte di contenuto e di espressione che si commutano, confondono e coinvolgono a vicenda: il segno e la particella sono “segni-particelle - particole” in uno stato di deterritorializzazione assoluta).


Dalla macchina astratta dipende la natura dei concatenamenti, che si esplica su un doppio asse: quello orizzontale con un doppio segmento di contenuto e di espressione in cui al segmento di contenuto è associato il concatenamento macchinico di corpi, azioni e passioni (trama e mescolanza dei corpi), mentre al segmento di espressione è associato il concatenamento collettivo di enunciazione (trasformazioni incorporee, atti linguistici); quello verticale ha un segmento di territorializzazione (lati territoriali) e un segmento di punte di deterritorializzazione.
Il concatenamento è, dunque, tetravalente e la sua macchinicità dipende dalla macchina astratta, sempre singolare ed immanente.

E' importante notare che espressione e contenuto sono funzionalmente indipendenti, ma si presuppongono reciprocamente (relazione di isomorfismo).
L'espressione non rappresenta il contenuto, ma agisce su di esso, interviene, in modo tale che i segni lavorano le cose ed al tempo stesso le cose si estendono e si dispiegano attraverso i segni.
Credit: Christophe Kiciak - Exodus

Le forme di contenuto e le forme di espressione sono inseparabili da un movimento di deterritorializzazione che le trascina e la loro presupposizione reciproca (isomorfismo) può essere vista come una comunicazione che avviene per coniugazione dei loro quanta di deterritorializzazione relativa in cui il contenuto agisce sull'espressione e viceversa (una sorta di interazione che si esplica come in un “campo quantistico” in cui espressione e contenuto si modificano continuamente a vicenda restando sempre “entangled”, ma generando continue differenze).

In questa griglia di analisi, la materia è il corpo liscio del corpo senza organi, l'espressione è l'insieme delle strutture funzionali, il contenuto l'insieme delle materie formate e sia l'espressione che il contenuto sono composte da sostanza e forma e DG ribadiscono più volte che la distinzione fra espressione e contenuto è reale, mentre quella fra sostanza e forma è mentale o modale.

La macchina astratta, intesa come macchina di stratificazione e di surcodificazione, da' luogo ad una sorta di geologia morale caratterizzata da una doppia articolazione degli strati in cui la prima articolazione vede un  prelievo di flussi particellari molecolari o quasi-molecolari metastabili (sostanze) alle quali impone un ordine statistico (forme) di collegamenti e successioni (la “stratificazione”) e una seconda articolazione in cui si produce una sistemazione di strutture stabili, compatte e funzionali (forme) in composti molari dove queste strutture (sostanze) si attualizzano (il “corrugamento”).

Ne consegue che oltre ai seguenti quattro tipi di semiotica (in questa sede si esula da un loro dettaglio, ma si rinvia ad una intuizione del lettore o, auspicabilmente, ad un approfondimento sul testo originale):

A. significante (dispotico-paranoica, macchine imperiali, statuali, dispotico-barbariche, capitalistiche); B. pre-significante (tribù “selvagge”, rituale, macchine territoriali); C. contro-significante (macchine nomadi, macchine da guerra, il Numero, il Segreto); D. post-significante (soggettivazione, passionale-autoritaria, macchine di individuazione ed assoggettamento, ma anche di fuga e di tradimento), 

per Deleuze e Guattari ci sono anche quattro componenti della pragmatica-schizoanalisi, ossia quelle:
A. generativa; B. trasformazionale; C. diagrammatica; D. macchinica.

Le semiotiche sono sempre miste (cioè simultaneamente pre-significanti, significanti, contro-significanti e post-significanti) e la pragmatica è quella che "consisterebbe in questo: fare il calco delle semiotiche miste nella componente generativa; fare la carta trasformazionale dei regimi, con le loro possibilità di traduzione e di creazione, di gemmazione sui calchi; fare il diagramma delle macchine astratte chiamate in causa a qualsiasi titolo, come potenzialità o come effettive apparizioni; fare il programma dei concatenamenti che distribuiscono l'insieme e permettono al movimento di circolare, con le sue alternative, i suoi salti e le sue mutazioni" (cit.).

Ci rendiamo dunque conto di come la ribellione e la gregarietà siano parte di un complesso processo macchinico in cui operano una molteplicità di macchine astratte (di consistenza, assiomatiche e di surcodificazione, di stratificazione, di deterritorializzazione) ed in cui c'è un'interazione contemporanea fra regimi di segni e pragmatica, che trovano una loro origine innanzittutto nella dimensione socio-politica, e che non sono mai scindibili nettamente.
Credit: Linnea Strid – Look at me, I’m talking to you

Un esempio, che può chiarire in parte il concetto di macchina astratta, è la macchina astratta Grillo-Movimento 5 Stelle nell'attuale panorama politico italiano di cui possiamo individuare le seguenti componenti:

1. è una macchina singolare ed immanente, nel senso che è emersa nel contesto storico e socio-politico tipicamente italiano;

2. è una macchina di deterritorializzazione assoluta, ma ancora di un tipo di deterritorializzazione  negativo e stratico (si oppone allo "status quo", alla "casta", alla macchina Berlusconi, alla macchina Bersani, nega, ma non ha ancora elementi positivi e produttivi) , "che si manifesta nella soggettivazione (ratio et passio) (cit.)";

3. si esprime attraverso una semiotica mista, cioè sia pre-significante (elemento "tribale", rituale), significante (una macchina dispotico-barbarica-paranoica con un capo carismatico), contro-significante (una macchina da guerra che si oppone in quanto tale allo Stato, al Capitale, al Partito, una macchina nomade al tempo stesso delocalizzata sul Web ed itinerante sul territorio) e post-significante (una macchina passionale-autoritaria che produce soggettività, ma anche assoggettamento, linee di fuga radicali e tradimenti);

4. si da' con una pragmatica che miscela le 4 semiotiche sopraccitate, che tende a trasformare  per crearne di nuove (ad es. la democrazia diretta on line) e, nel fare questo, aziona una molteplicità di macchine astratte (da guerra, nomadi, di deterritorializzazione ecc.) che "connettono materie semioticamente non formate con materie fisicamente non formate" (infatti quale è il programma della Macchina Grillo? Esso è piuttosto un diagramma, cioè ancora un "segno-particella" che attende di dividersi in espressioni e contenuti formati), che però genera concatenamenti macchinici reali sia sul Web che sul territorio fisico (l'inorganizzazione desiderante è comunque prevalente sulla struttura organizzativa);

5. è una macchina rizomatica, che si avvale della Rete come suo "strumento naturale" di risonanza e di riproduzione;

6. è una macchina desiderante che fa sgorgare i flussi molecolari repressi dalle organizzazioni molari (Stato, Mercato, Partito), che aggrega gli interessi pre-consci e consci di quel nuovo soggetto biopolitico che Negri ed Hardt chiamano moltitudine, ma di cui non bisogna dimenticare le ambiguità tipiche del livello inconscio di cui è, in definitiva, massima espressione ed in cui c'è, come abbiamo detto, una oscillazione continua fra il polo schizo-nomadico (orientato dalla ribellione) e quello paranoico-segregativo (orientato dalla gregarietà).

La macchina Grillo-M5S, che è una macchina di deterritorializzazione assoluta (ma negativa), può innescare un processo di riterritorializzazione attorno a sé stessa di cui oggi possiamo solo immaginare ipotetici concatenamenti futuri, che però dipenderanno in buona parte dal risultato elettorale imminente.
Credit: Raphael Guarino

Quello che ancora manca, invece, nello scenario socio-politico italiano è la produzione di una macchina astratta di consistenza, cioè una macchina produttiva di un nuovo piano di immanenza (e di un nuovo Corpo senza Organi) sul quale fare ripiegare nuovi codici e territorialità (come potrebbe essere, ad esempio, l'ipotesi del comune e della moltitudine biopolitica di Negri-Hardt).
Non ci è dato ad oggi sapere se questa macchina sia in una fase embrionale di costruzione e quali saranno le sue caratteristiche quando emergerà (perchè, a mio parere, emergerà).

Resta il fatto che, come suggeriscono a più riprese Deleuze e Guattari, bisogna fare sempre attenzione alle linee di fuga di deterritorializzazione assoluta in quanto si ha pur sempre bisogno di forme organizzative e di cooperazione e le linee di fuga sono, lo ribadiamo, sempre bipolari: ossia contengono sia il desiderio di vita che il desiderio di morte e distruzione, che può diventare fine a sé stesso.

Dopo l'esito elettorale, su cui non mi pronuncio e che non mi stupirei che possa riservare sorprese inattese, continueremo il nostro viaggio attorno alle "macchine astratte" e cominceremo, in seguito, a parlare di comune e moltitudine attraversando la filosofia politica di Negri e Hardt.

Buon voto a tutti.

sabato 26 gennaio 2013

Macchine stranamente ribelli (3ª Parte)


Credit: Face facts - Shilah Sayer
La gregarietà e la ribellione, alla luce di quanto detto precedentemente, sono dei concatenamenti macchinici risultanti dal complesso intreccio della produzione desiderante con la produzione sociale, ossia dell'attività delle macchine desideranti al livello molecolare ed a quello degli aggregati molari e statistici, che si esplica in funzione antitetica ed al tempo stesso grazie a quell' "attrattore strano" (e limite per accumulazione) che è il Corpo senza Organi (che successivamente sarà anche associato, anche se non identificato, al piano di consistenza ed alle macchine astratte, di cui parleremo).

Il CsO, pertanto, funge da attrattore sia al livello della produzione desiderante che a quello della produzione sociale, laddove il capitale ed il socius, sono corpi senza organi particolari e relativi, stratificati da decodificazioni, deterritorializzazioni e successive surcodificazioni e riterritorializzazioni (e così via...).

Questi due corpi senza organi striati (capitale e socius) agiscono come "quasi-cause" (“a priori”) della produzione sociale e politico-economica sulla cui superficie d'iscrizione le registrazioni della produzione desiderante (sia molecolare che molare) movimentano le tre sintesi che abbiamo visto, ossia le sintesi connettive di produzione (e....e), le sintesi disgiuntive di registrazione di tipo “schizofrenico” (sia … sia) e, infine, le sintesi di congiunzione in cui emergono le soggettività, i gruppi soggetto ed i gruppi assoggettati.  

Occorre precisare che tale attività inconscia, reale e di tipo macchinico (quindi senza struttura, inorganizzata, ma concatenata) riguarda contemporaneamente e simultaneamente sia le singole soggettività che i gruppi sociali  (gruppi-soggetto e gruppi-assoggettati) e, in generale, le moltitudini, in modo tale che quella che noi chiamiamo "persona" sia in realtà al tempo stesso molecolare e molare così come la società è al tempo stesso attraversata da flussi molecolari ed organizzazioni molari.

Credit: Still alive - Juan Medina
L'inconscio desiderante produce investimenti libidinali sociali che oscillano, come già si è detto, fra due poli, quello paranoico- segregativo (binario-biunivoco, esclusivo, paranoico, razzista, fascista, reazionario, autoritario-dispotico e quindi legato alla gregarietà) e quello schizo - nomadico (polivoco, rivoluzionario, inclusivo, molteplice, schizofrenico, produttore di linee di fuga, di sentieri di esodo, quindi legato alla ribellione).
Tali investimenti di libido inconscia sono differenti da quelli di tipo pre-conscio e conscio, dove emergono razionalmente gli interessi di classe e politici, ed in questo campo di immanenza si gioca il delirio socio-politico che diagrammatizza da un lato investimenti inconsci reazionari  e dall'altro programmi consci rivoluzionari e ribelli o, viceversa, investimenti inconsci rivoluzionari e programmi consci reazionari e fascisti.

Si spiega, pertanto, con questa dinamica macchinico-delirante l'apparente contraddizione, che già Spinoza cercava di spiegare con il suo Trattato politico e la sua "immanenza", dovuta al fatto che le masse si battano per la propria schiavitù anziché ribellarsi ai propri tiranni, siano essi persone fisiche o, più in generale, macchine astratte assiomatiche come quelle prodotte dal capitalismo neo-liberista (es. "macchina Reagan" negli anni ottanta del secolo scorso) o dalla democrazia rappresentativa (es. "macchina Bush",  "macchina Berlusconi", ecc.).


La ribellione, in tale scenario, si manifesta al livello dei flussi molecolari mentre la gregarietà emerge al livello molare ed organizzativo, entrambi innanzittutto inconsci e poi solo in sub-ordine consci: questo intreccio intrinsecamente schizofrenico, caotico e frattale, è alla base di quella che ci sembra la perenne mancanza di memoria della Storia e la ripetizione dei suoi orrori, delle sue violenze e dei suoi sfruttamenti, che vengono paradossalmente riprodotti anche solo ad un livello di "simulacra" (immaginiamo, ad esempio, il paradosso irrazionale dell'esistenza di giovani "neo-nazisti"), ma che in realtà è l'espressione del delirio bipolare inconscio e delle sue oscillazioni caotiche che trovano sfogo al livello sociale a prescindere da precedenti storici (la storia "è delirata" a livello inconscio).



Credit: Jeffrey Richter – The Connection
Come dicono i nostri autori:
"L'investimento libidinale non riguarda il regime delle sintesi sociali, ma il grado di sviluppo delle forze o energie da cui queste sintesi dipendono. Non riguarda i prelievi, stacchi o resti operati da queste sintesi, ma la natura dei flussi e dei codici che le condizionano.
Non riguarda gli scopi e i mezzi sociali, ma il corpo pieno come socius, la forma di sovranità o la forma di potenza in sé stessa, che è sprovvista di senso e di scopo, poiché sensi e scopi ne derivano e non il contrario.
Gli interessi ci predispongono magari a questo o a quell'investimento libidinale, ma non si confondono con esso. Ancor più, è l'investimento libidinale inconscio ad indurci a cercare il nostro interesse da una parte piuttosto che dall'altra, a drizzare i nostri scopi su tale strada, persuasi come siamo che proprio là stanno le nostre possibilità di successo, dal momento che l'amore ci spinge."

I "tagli rivoluzionari" di classe avvengono al livello conscio e pre-conscio, ma il livello inconscio è totalmente avulso da simili differenze (classe, interesse ecc.) ed è "agitato" da energie libidinali di natura completamente diversa dove il principio di non contraddizione non ha alcun valore e tanto meno il senso o lo scopo.


Accade quindi che una forma di potenza si associ ad una di violenza per la loro identica assurdità e la violenza si possa esercitare in virtù di scopi e sensi condivisi dagli stessi elementi asserviti ed assoggettati: "lo Stato , il Capitale si auto-giustificano in tal modo: flussi che scorrono sul corpo poroso del socius dove il desiderio desidera la propria repressione - 'essere il poliziotto di sé stessi e degli altri ecco quello che fa arrapare; e non si tratta di ideologia, ma di economia (libidinale)' " (cit.).


Credit : eve#2 - Markus Keck
In estrema sintesi, l'investimento libidinale del campo sociale porta a cercare gli scopi nella macchina repressiva e quindi accade spesso che un investimento preconscio rivoluzionario conservi una libido inconscia reazionaria ancorata al vecchio corpo, ai suoi codici ed ai suoi flussi (è così che la macchina capitalistica resuscita l' Urstaat dispotico, la macchina imperiale ed autoritaria).


Come si accennava sopra, è importante la distinzione fra gruppo assoggettato (un gruppo rivoluzionario può nascere già come “gruppo assoggettato”) in cui il desiderio è subordinato al socius come supporto fisso e gruppo soggetto in cui, invece, la produzione desiderante prevale sul socius e sul suo corpo liscio senza organi nel senso sopra specificato; occorre, però, osservare che nella realtà c'è una oscillazione fra i due tipi di gruppo, come c'è sempre oscillazione fra i due poli del delirio.

C'è uno stretto legame fra economia politica ed economia libidinale (la libido ha valenza politica e la politica valenza libidinale) ed è questo legame che andrebbe indagato sempre meglio e più a fondo.


La coscienza svolge una funzione repressiva sull'inconscio e sulle sue linee di fuga, che quando emergono - ed emergono costantemente - lo fanno in maniera delirante e schizofrenica nonché non di rado antitetica agli interessi consci (il desiderio che desidera la sua repressione).


Le macchine desideranti, pertanto, con il loro uso e la più totale mancanza di senso e di scopo, si concatenano sul CsO senza struttura e significante ma solo, come vedremo, con un diagramma di materia e funzione, che si esplica con forma, sostanza, espressione e contenuto in termini pragmatici e, quindi, non soltanto linguistici.



Credit: István Sándorfi – “Le pardon”
Secondo i nostri ci sono tre grandi piani di strutturazione: a. Edipo (in generale, la legge, il significante, la castrazione) come riterritorializzazione immaginaria dell'uomo privato; b. la riterritorializzazione che è prodotta nelle condizioni strutturali del capitalismo; c. il capitalismo che riproduce/risuscita l'arcaismo del simbolo imperiale e del despota scomparso.

Ne consegue che la strutturazione avviene sul piano immaginario e simbolico in antitesi alla inorganizzazione reale del desiderio, che si produce, registra e congiunge sul piano di (non) consistenza, che è positivo, molecolare e che non manca di nulla; è il piano come “essere oggetto naturale e sensibile” dove il reale è l' “essere oggettivo del desiderio”: è il piano dell'inconscio orfano (da sempre senza-Padre) che non conosce leggi, strutture, insiemi. 

Esso è macchinico, produttivo, non figurativo, ma astratto (la figura – schiza è il suo figurale) ed è caratterizzato dal "sesso non umano" inteso come la sessualità “a priori” che ha nella riproduzione lo strumento che l'inconscio usa per auto-prodursi (l'inconscio come soggetto, il corpo organizzato come oggetto della riproduzione; una sorta di rovesciamento della biologia...).

Questa economia libidinale inconscia ha trovato nel capitalismo neo-liberista una forma di schizofrenia relativa che le consente una continua illusione di fuga (fantasmi collettivi), che in realtà non è altro che una paranoica "fuga dalla fuga", una gabbia ed una assiomatica fatta di blocchi e di interruzioni di flussi desideranti reali, che producono le "entità schizofreniche" e psicotiche da ospedalizzare e curare, magari sin dalla giovane età (pensiamo, ad esempio, ai casi di stragi perpetuate da giovani folli ed armati negli Usa).


Nel prossimo post cominceremo a vedere come quell'attrattore che è il CsO sia, secondo DG, "animato" da macchine astratte che si effettuano in concatenamenti macchinici di enunciazione (forme e sostanze di espressione) e di corpi (forme e sostanze di contenuti) e, quindi, come il reale (il piano del desiderio) sia al tempo stesso caratterizzato da un elevato, se non assoluto, grado di astrazione (assoluto quando si arriva al CsO), mentre il livello sociale, culturale e politico sia solo relativamente astratto, in maniera cioè insufficiente a cogliere la realtà stessa nella sua dimensione desiderante e quindi si caratterizzi per la citata e paranoica "fuga dalla fuga" che si esplica in forme di rigida segmentarizzazione sociale e culturale.