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sabato 11 gennaio 2014

Tra "divenire zombie" ed il desiderio di cambiamento (3ª Parte)


"Come passiamo dall’ambiente «naturale» a quello «simbolico»? Il passaggio non è diretto, non si può spiegare con una narrazione evolutiva continua: deve intervenire qualcosa tra i due momenti, una sorta di «mediatore evanescente», che non è né la Natura né la Cultura; questo inter-mezzo non è la scintilla del logos consegnata magicamente all’homo sapiens, che lo rende capace di formare il suo ambiente virtuale e simbolico supplementare, ma precisamente qualcosa che, sebbene non sia più natura, non è ancora logos, e deve essere «represso» dal logos – il nome freudiano di questo inter-mezzo è, naturalmente, la pulsione di morte."

(…)

Slavoj Zizek
"A un esame attento, appare evidente che, per Kant, disciplina ed educazione non operano direttamente sulla nostra natura animale, forgiandola in individualità umana: come spiega Kant, gli animali non possono propriamente essere educati, poiché il loro comportamento è predeterminato dagli istinti. Il che significa, paradossalmente, che per essere educato alla libertà (qua autonomia morale e auto-responsabilità) io devo già essere libero in un senso molto più radicale, «noumenico», anche mostruoso. Il nome freudiano di questa libertà mostruosa è, di nuovo, la pulsione di morte."

(Slavoj Zizek, Meno di niente. Hegel e l'ombra del materialismo dialettico, 2013)


L'idea del soggetto che è ampiamente consolidata nella nostra cultura occidentale è quella di un individuo finito, limitato, mortale, sostanzialmente "solo" ed in competizione con il "resto del mondo", che, abbinata alla assiomatica capitalistica ed a quella democratica meramente formale, produce una moltitudine di soggettività catturate da quella pulsione originaria che in psicanalisi viene denominata "pulsione di morte" e che è, come ben dice Zizek nel suo ultimo libro "Meno di niente" (2013), un movimento circolare che si auto-alimenta e si ripete come fine a sé stesso,"il nocciolo «inumano» dell’umano (...) il cui vero obiettivo non è il fine (l’oggetto), ma il tentativo ripetuto di raggiungere l’oggetto (per esempio, ciò che determina la soddisfazione nella pulsione orale non è il suo oggetto [il latte] ma l’atto ripetuto di succhiare). Allora possiamo concepire la curvatura, il suo movimento circolare, ontologicamente secondario, come un modo di volgere il fallimento del desiderio in appagamento." (cit.)

Credit: Euphoria #2 di Afsaneh Dehbozorgi
Tale "pulsione-curvatura", che non si contrappone ma è complementare al "desiderio-mancanza", è predominante nella nostra dimensione esistenziale quotidiana e genera nel suo eccesso continuo le patologie psico-socio-culturali tipiche di cui si accennava nel precedente post: ansia, depressione, anoressia, bulimia, disturbi psicotici che prevalgono su quelli più "classicamente" nevrotici.

La pulsione di morte, d'altro canto, possiamo considerarla una sorta di ripetizione "acefala" del non-morto e possiamo accostarla al concetto di zombie attraverso le seguenti parole sempre di Zizek:

"(...) al livello più elementare della nostra identità umana, siamo tutti zombie; le nostre «alte» e «libere» attività umane dipendono dall’affidabilità delle nostre abitudini da zombie – in questo senso, essere-uno-zombie è il grado-zero di umanità, l’inumano dell’umano o il suo nucleo meccanico. Il trauma che deriva dall’incontro con uno zombie, perciò, non è il trauma dell’incontro con un’entità straniera, ma il trauma di ritrovarsi dinnanzi al fondamento disconosciuto della nostra umanità".

Essa, inoltre, è strettamente legata al concetto di nichilismo, che è diventato una sorta di vuoto significante, genericamente associato alla negazione di ogni valore o senso, dove ognuno vede nell'altro il "nichilista di turno" senza nemmeno più sapere cosa intende per "nichilista".

Gli iper-concetti da cui siamo offuscati da sempre (quello di Dio ne è l'emblema, ma lo sono anche il Mercato, il Partito, il Capitale, lo Stato ecc.) sono in tal senso la simbolizzazione del nostro "logos diviso all'origine" di questa pulsione originaria che è la pulsione di morte, intesa - proprio nel senso di Zizek - come "grado zero dell'umano" e contemporaneamente come "l'inumano dell'umano", che può portare all'auto-distruzione come estremo "godimento maligno", ma che d'altronde è anche la fonte di una "libertà mostruosa", tipicamente umana, di negare anche la stessa negazione, che potremmo riassumere nel famoso "eppur si muove" di Galileo (costretto a negare il sistema eliocentrico per non essere vittima dell'Inquisizione della Chiesa cattolica, ma che nell'immaginario tramandato come "personaggio concettuale" pronunciò la frase in esame).

Il legame profondo degli iper-concetti all'inconscio ed alla pulsione di morte è ancora ben sintetizzata da Zizek:

"Ciò che qui si annida sullo sfondo è il detto di Lacan la verité surgit de la méprise (la verità emerge dalla menzogna, NdA), o più precisamente, de la méprise du 'sss' (sujet supposé savoir, soggetto supposto sapere, NdA): non possiamo pervenire direttamente all’inesistenza del grande Altro, dobbiamo prima essere ingannati dall’Altro, perché le Nom-du-Père (Nome del Padre, NdA) significa che le non-dupes errent: chi rifiuta di soccombere all’illusione di 'sss' non coglie nemmeno la verità celata da questa illusione. Quanto detto ci riporta alla proposizione «Dio è inconscio»: «Dio» (come soggetto supposto sapere, come grande Altro, come il destinatario ultimo al di là di tutti i destinatari empirici) è una struttura di linguaggio permanente e costitutiva; senza di Lui siamo nella psicosi, senza il luogo di Dio-Padre il soggetto sprofonda in un delirio schreberiano. Dio come 'sss' è insuperabile, nella sua dimensione fondamentale di grande Altro, di luogo della Verità. Il grande Altro è quindi il livello zero del divino, è «appunto il luogo in cui, se mi concedete il gioco, si produce il dio – il dior – il dire (le dieu – le dieur – le dire). In men che non si dica, il dire fa Dio. E finché qualcosa si dirà, l’ipotesi Dio ci sarà».
Non appena parliamo, noi (inconsciamente, almeno) crediamo in Dio. È qui che incontriamo il «materialismo teologico» di Lacan allo stato puro: è la parola (la nostra, in definitiva) che crea Dio; tuttavia, Dio è là non appena parliamo (…)".

Credit: Dino Buzzati
Detto questo, possiamo continuare (riprenderò in futuro il materialismo dialettico di Zizek) con l'introduzione del concetto di soggetto, di evento e di cambiamento proposti dalla dialettica materialista di Alain Badiou - che ontologicamente egli definisce anche platonismo del molteplice - per cercare di concettualizzare delle alternative alle "semantiche" predominanti che vedono il soggetto come una "vittima della finitudine" che non ha altre alternative che nel godimento acefalo di tipo consumistico o in quello della attesa della vita eterna secondo le varie teologie religiose monoteiste o ancora nel raggiungimento del nirvana del buddismo (quindi l'annullamento dell'io, la negazione delle passioni mondane, per poi tramutarlo in compassione nella vita finalizzata a ridurne le sofferenze, che denota - se ci riflettiamo - un minimo di contraddizione in termini) o le molteplici varianti delle religioni di tipo panteista o politeista.

L'ontologia badusiana si fonda sul concetto di molteplicità, in particolare quella generica associata al concetto di verità, e su quella di vuoto, mediante una ridefinizione meta-ontologica della teoria degli insiemi (fondata da Georg Cantor) della matematica, secondo l'assiomatica ZFC (Zermelo-Fraenkel con l'aggiunta dell'assioma della scelta).

Si tratta di una ontologia radicale in quanto postula che il linguaggio dell' "essere in quanto essere" (l'essere "in sé") è il linguaggio matematico e che, in generale, è il "matema" a poter nominare l'essere e a "suturarsi" ad esso meglio di qualsiasi altro linguaggio, in quanto l'essere è inconsistente, molteplicità di molteplicità irriducibile e permeato dal vuoto (il vuoto erra nell'essere, così come l'insieme vuoto esiste ed è incluso in qualsiasi insieme, cioè ne è sottoinsieme) e, quindi, presenta una sorta di "isomorfismo" con l'astrattezza letterale della matematica (in tal senso, non è un caso che il linguaggio della fisica sia matematico o anche quello della biologia teorica e, in generale, delle scienze cosiddette "dure").

Una conseguenza fondamentale dell'ontologia del molteplice badusiana è che l' "Uno non è" (così come il "Tutto non è"), ma è solo una struttura di conto, cioè quella che lui chiama il "conto per uno", in quanto l'essere è sempre molteplicità di molteplicità e non può mai essere "ridotto ad uno" se non da un punto di vista fenomenologico, cioè nel suo "apparire ed essere contato come uno" in base a leggi o regolarità strutturali dipendenti, come vedremo, dal particolare Trascendentale a-soggettivo di un certo mondo.

 Masked Woman Sitting by the Window- Jeff Bartels
L'essere, pertanto, è inconsistente in sé ("astratto" potremmo dire in termini matematici) e "diventa consistente" attraverso il "conto per uno", ossia nel suo strutturarsi fenomenologico in un mondo (è evidente qui una differenza ontologica - molto diversa da quella heideggeriana essere-ente - fra essere-apparire, cosa in sé-oggetto mondano, matematica-logica) ed è nominato, per questa inconsistenza, con un nome proprio: quello del vuoto (che in matematica è simboleggiato con ).

Infatti, in base alla teoria degli insiemi, il vuoto esiste (è un assioma, ma Badiou ne dimostra anche la "necessità" come "assioma originario") ed è al fondamento della costruzione di tutti gli altri numeri che possono essere espressi tramite di esso (da qui l'affermazione sopracitata che il vuoto erra nell'essere).

La novità è che l'essere in sé di Badiou, a differenza di quello di Kant, è pienamente conoscibile mediante l'Idea matematica e la teoria degli insiemi, che nominano proprio l'essere in quanto tale (mediante la teoria degli insiemi si possono generalizzare e descrivere tutte le altre teorie matematiche grazie al suo elevato grado di astrattezza), lasciando emergere quello che già Parmenide affermava ossia che "è infatti la stessa cosa pensare ed essere" (frammento 3).

Qui occorre precisare che se il linguaggio che nomina l'essere è quello matematico, ragion per cui la matematica diventa per Badiou l' unica ontologia "sottraendo" tale compito alla filosofia (che vedrà nella matematica una delle sue condizioni di verità, assieme alle altre scienze, all'arte, all'amore ed alla politica), ciò non significa che "l'essere è matematico", ma solo che il linguaggio matematico è quello che può parlare e suturarsi meglio degli altri all'essere in quanto tale grazie al suo elevato grado di astrattezza e di "letteralità" (come dice Badiou, in fondo, la matematica è un "pensare la lettera").

La costruzione ontologica innovativa e radicale di Badiou è, sulla scia di Lacan, quella di scindere la verità dall'essere in quanto tale (a differenza di Heidegger e della sua "ontologia della presenza" e della concezione della verità come "aletheia"), in quanto l'essere in sé non ha alcun Senso né alcuna Verità, ma è piuttosto "bucato" dalla verità da intendere come molteplicità di molteplicità essa stessa.

Credit: Endorfinas - Francisco Campla
In particolare, Badiou partendo dal concetto di insieme generico e da quello di procedura di forcing (vedi punto 5. del link) elaborati dal matematico Paul Cohen nel 1963 per dimostrare l'indipendenza dell'ipotesi del continuo dal sistema assiomatico ZF, costruisce il suo concetto meta-ontologico di verità (cioè filosofico) come molteplice generico e come procedura infinita che va sottoposta ad indagine in modo da ispezionarne e rilevarne l'origine evenemenziale, in quanto la verità di Badiou, "bucando" l'essere in quanto tale, emerge da quello che lui chiama l'Evento, che matematicamente è definito dal filosofo come un iper-insieme ossia un insieme che appartiene a sè stesso e che viene detto anche "non ben fondato" in quanto per esso non vale l'assioma di regolarità o di fondatezza (una tipologia di insieme che non è contemplato dalla teoria degli insiemi standard, ma che invece è utile, ad esempio, nell'informatica).

Possiamo, in estrema sintesi, dire che un insieme generico G è un insieme infinito che ha tutte le proprietà che vogliamo rispetto ad un modello M di ZFC e la cui esistenza si dimostra attraverso il “forcing”, che - sempre in sintesi - lo approssima attraverso delle condizioni (G in realtà non ha predicati, è “sottratto ad ogni predicato” nel linguaggio e, pertanto, può – e deve - in linea di principio averne “qualsiasi” rispetto ad un insieme dato. Le condizioni lo forzano ad "essere in un modo piuttosto che in un altro").

Tale insieme generico consente, nel caso della teoria degli insiemi ZFC, di estendere il modello M di ZFC e di creare un modello M[G] per il quale, nella costruzione originaria di Cohen, l'ipotesi del continuo non è valida. Da ciò consegue che l'ipotesi del continuo in M è indecidibile o, che è lo stesso, che essa è indipendente dagli assiomi di ZFC.
Più in generale, quindi, l'insieme generico e la procedura di forcing consentono di verificare le condizioni di verità di un modello della teoria degli insiemi.

L'insieme generico di Cohen viene da Badiou assimilato all' indiscernibile di Leibniz (in quanto esso ha "tutte le proprietà che vogliamo", è sottratto all'autorità della lingua, è "indicibile" se non sotto condizione e quindi non ha una unica formula che lo definisce, ma potenzialmente infinite formule).

E' evidente qui come viene costruita la meta-ontologia badusiana,  sulla base della ontologia matematica, in cui possiamo distinguere fra:

1. l' Essere in sé: che è nominato dalla teoria matematica degli insiemi standard, che è la vera e propria ontologia;
2. l'Evento: che è una rottura dell'ordine dell'essere dovuta all'esistenza di molteplicità generiche che ne determinano una intrinseca "casualità irreversibilmente sottratta ad ogni nominazione" (cit. "Manifesto per la filosofia", A. Badiou, 2008), di cui invece si deve occupare la filosofia.

Leggiamo lo stesso Badiou dal "Manifesto per la filosofia" (2008):

"La categoria centrale è qui quella della molteplicità generica. Essa ha la funzione di fondare il platonismo del molteplice consentendo di pensare una verità sia come risultato molteplice di una procedura singolare, sia come buco o sottrazione nel campo del nominabile. 
Essa rende possibile assumere un'ontologia del molteplice puro senza rinunciare alla verità e senza dover riconoscere il carattere costitutivo della variazione linguistica. 
Essa è inoltre l'ossatura di uno spazio di pensiero in cui si lasciano raccogliere e situare come compossibili le quattro condizioni della filosofia (scienza, arte, politica, amore, NdA).
Poesia, matema, politica creativa e amore, nel loro stato contemporaneo, non saranno in effetti nient'altro che regimi di produzione effettiva, in situazioni molteplici, di molteplici generici che traducono in verità tali situazioni.
Originariamente il concetto di molteplice generico è stato prodotto nel campo della ricerca matematica. Venne infatti introdotto da Paul Cohen, all'inizio degli anni sessanta, per risolvere dei problemi molto tecnici rimasti in sospeso per quasi un secolo, che vertevano sulla "potenza", o quantità pura, di alcune molteplicità infinite.
Possiamo dire che il concetto di molteplice generico è il punto terminale della prima tappa di quella teoria ontologica che, a partire da Cantor, porta il nome di "teoria degli insiemi". Ne L'essere e l'evento ho esposto in modo completo la dialettica fra l'elaborazione matematica della teoria del molteplice puro e le formulazioni concettuali che possono oggi rifondare la filosofia. Tutto ciò in base all'ipotesi generale che il pensiero dell'essere-in-quanto-essere trova compimento nelle matematiche e che, per recepire e rendere compossibili le proprie condizioni, la filosofia deve determinare "quel che non è l'essere in quanto essere" e che corrisponde alla mia definizione di evento.
Il concetto di genericità è introdotto per rendere conto degli effetti, interni a una situazione molteplice, di un evento che la supplementa (ricordiamo che in matematica l'insieme generico "supplementa" il modello della teoria degli insiemi e serve a crearne una estensione sulla quale si verifica la verità o meno di un assioma/condizione del modello, NdA).
Esso definisce lo statuto di alcune molteplicità che si inscrivono simultaneamente in situazione e al tempo stesso v'intessono in modo consistente una casualità irreversibilmente sottratta ad ogni nominazione. Questa intersezione molteplice tra la consistenza regolata di una situazione e l'alea dell'evento che la supplementa è per l'appunto il luogo di una verità della situazione.
Questa verità rileva da una procedura infinita, e tutto ciò che si può dire di essa è soltanto che, supponendo il compimento della procedura, "sarà stata" generica o indiscernibile".


Anima omnis in sanguine est- Saturno Buttò 2012
Poi Badiou elenca tre criteri ai quali deve "obbedire" una verità (ricordo che le verità sono molteplici):

"1. Poiché deve essere verità di un molteplice, e questo senza ricorso alcuno alla trascendenza dell'Uno, occorre che sia una produzione immanente a questo molteplice. Una verità sarà una parte del molteplice iniziale, della situazione di cui è verità;
2. Poiché l'essere è molteplice, e occorre che la verità sia, una verità sarà un molteplice, quindi una parte molteplice della situazione di cui è verità. Beninteso, non potrebbe essere una parte "già" data o presente. Essa sarà il risultato di una procedura singolare. Questa procedura, infatti, non potrà essere avviata se non da un supplemento, da qualcosa in eccesso rispetto alla situazione, ossia da un evento. Una verità è il risultato infinito di un supplemento casuale. Ogni verità è "post-evenemenziale". In particolare, non c'è verità "strutturale" o oggettiva. Degli enunciati strutturali riscontrabili nella situazione non diremo mai che sono veri, ma soltanto che sono veridici. Non rilevano dalla verità, ma dal sapere;
3. Poiché l'essere della situazione è la sua inconsistenza, una verità di questo essere si presenterà come molteplicità qualunque, parte anonima, consistenza ridotta alla presentazione come tale, senza predicato né singolarità nominabile. Una verità sarà così una parte generica della situazione, dove "generica" indica che essa ne è una parte qualunque, che non dice nulla di particolare sulla situazione, se non per l'appunto il suo essere molteplice in quanto tale, la sua fondamentale inconsistenza.
Una verità è questa consistenza minima (una parte, un'immanenza senza concetto) che svela nella situazione l'inconsistenza che ne costituisce l'essere. Ma dato che inizialmente ogni parte della situazione è presentata come singolare, nominabile, regolata in base alla consistenza, la parte generica che è una verità dovrà essere prodotta. Essa costituirà l'infinito orizzonte molteplice di una procedura post-evenemenziale, che chiameremo procedura generica.
Poesia, matema, politica creativa, e amore sono proprio i diversi tipi possibili di procedure generiche. Quel che producono (l'innominabile nella lingua stessa, la potenza della pura lettera, la volontà generale come forza anonima di ogni volontà nominabile, e il Due della sessualità come ciò che non è mai stato contato come uno) in situazioni variabili non è mai altro se non una verità di tali situazioni sotto forma di un molteplice generico, di cui nessuno può dedurre il nome né discernere in anticipo lo statuto.
A partire da un tale concetto di verità, come produzione post-evenemenziale di un molteplice generico della situazione di cui è verità, siamo in grado di riannodare la triade costitutiva della filosofia moderna: essere, soggetto e verità.
Riguardo all'essere in quanto essere diremo che le matematiche costituiscono storicamente il solo pensiero possibile, dato che sono, nella potenza vuota della lettera, l'inscrizione infinita del molteplice puro, del molteplice senza predicato, e che tale è il fondo di quel che è dato, colto nella sua presentazione. Le matematiche sono l'ontologia effettiva.
Riguardo alla verità, diremo che essa è sospesa a questa donazione di supplemento singolare che è l'evento e che il suo essere, molteplice come l'essere di tutto ciò che è, è quello di una parte generica, indiscernibile, qualunque, che enuncia il proprio essere effettuando il molteplice nell'anonimato della propria molteplicità.
Riguardo al soggetto, infine, diremo che esso è un momento finito della procedura generica. In tal senso, è significativo dover concludere che non esiste soggetto se non nell'ambito dei quattro tipi di genericità.
Ogni soggetto è artistico, scientifico, politico o amoroso. Cosa che del resto ciascuno sa in base all'esperienza, perché al di fuori di questi registri c'è solo esistenza o individualità, ma non soggetto.
La genericità, cuore concettuale di un gesto platonico rivolto al molteplice, fonda l'inscrizione e la compossibilità delle condizioni contemporanee della filosofia. Della politica creativa, quando esiste, sappiamo, quanto meno dal 1973, che essa non può essere oggi se non egualitaria, antistatale, in grado di riversare nello spessore storico e sociale la genericità dell'umano e la decostruzione delle sue stratificazioni, il disfacimento delle rappresentazioni differenziali o gerarchiche, l'attuazione di un comunismo delle singolarità. Della poesia sappiamo che essa esplora una lingua inseparata, accessibile a tutti, non strumentale, una parola che fonda la genericità della parola stessa. Del matema sappiamo che esso coglie il molteplice scevro da ogni distinzione presentativa, la genericità dell'essere molteplice. Dell'amore, infine, sappiamo che, al di là dell'incontro, esso si dichiara fedele al puro Due che fonda e che fa una verità generica del fatto che ci siano uomini e donne. La filosofia è oggi il pensiero del generico come tale (...)".

L'ontologia di Badiou è una ontologia di tipo sottrattivo che si contrappone alle ontologie della presenza come quella di Heidegger, in quanto sottrae la verità alla "griglia del senso" (cit.) e considera la filosofia "un atto insensato e per ciò stesso razionale" (cit.), sottratto all'interpretazione della mera esperienza ma, invece, dedicato alla verità come molteplice generico che destabilizza l'ordine del sapere e dell'essere.

Leggiamo ancora questo passo fondamentale:

"Le operazioni sottrattive attraverso cui la filosofia coglie le verità "fuori senso" rilevano da quattro modalità : l'indecidibile, che si rapporta all'evento (una verità non è, ma avviene); l'indiscernibile, che si rapporta alla libertà (il percorso di una verità non è vincolato, ma casuale); il generico, che si rapporta all'essere (l'essere di una verità è un insieme infinito sottratto a ogni predicato nel sapere); l'innominabile, che si rapporta al Bene (forzare la nominazione di un innominabile genera il disastro).
Lo schema di connessione fra le quattro figure del sottrattivo (indecidibile, indiscernibile, generico e innominabile) specifica una dottrina filosofica della Verità. Tale schema stabilisce un ordine tra il pensiero del vuoto e le verità colte attraverso di esso".


Credit: Fren Hendrik
Nel libro "L'essere e l'evento" (1995) Badiou ha elaborato la sua ontologia sottrattiva della verità, ma il suo pensiero mancava di una "fenomenologia" che è poi stata elaborata con " Logiques des mondes. L'Etre et l'événement : Tome 2" (2006, tr. inglese 2009, tr. italiana ad oggi mancante), in cui, come dicevo in precedenza, viene definita pienamente la differenza ontologica fra essere e apparire come differenza fra matematica e logica, e dove viene elaborata dal filosofo francese una Grande Logica che nel suo intento dovrebbe poter includere le varie logiche particolari e consentire di descrivere le relazioni fra l'essere ed i mondi fenomenologici strutturati.

Ne parleremo nel prossimo post, dove in relazione alla teoria badusiana del cambiamento le seguenti definizioni verranno esaminate meglio e dove si accennerà alla teoria del soggetto che per Badiou è di tipo essenzialmente "metafisico" (formalizzata con dei matemi di "tipo lacaniano") e distinta in tre tipi essenziali (soggetto fedele alla verità evenemenziale, soggetto reattivo e soggetto oscuro):

Credit: Logics of Worlds, A. Badiou
"We have called modification the simple becoming of a world, seen from the standpoint of an object of that world. Since it is internal to the established transcendental correlations, modification does not call for a site.
We will call fact a site whose intensity of existence is not maximal.
We will call singularity a site whose intensity of existence is maximal.
We now have at our disposal three distinct degrees of change: modification, which is ontologically neutral and transcendentally regular; the fact, which is ontologically supernumerary but existentially (and thus logically) weak; singularity, which is ontologically supernumerary and whose value of appearance (or of existence) is maximal."

(da Logics of worlds, Alain Badiou, 2006, trad. inglese 2009)

"Abbiamo chiamato modificazione il semplice divenire di un mondo, osservato dalla prospettiva di un oggetto di quel mondo.
Nella misura in cui è interna alle correlazioni del trascendentale di quel mondo, la modificazione non richiede un sito.
Chiameremo fatto un sito la cui intensità di esistenza non è massima.
Chiameremo singolarità un sito la cui intensità di esistenza è massima.
Adesso abbiamo a nostra disposizione tre distinti gradi di cambiamento: la modificazione, che è ontologicamente neutra e normale; il fatto, che è ontologicamente straordinario ma esistenzialmente (e logicamente) debole; la singolarità che è ontologicamente straordinaria ed il cui valore di apparire (o di esistenza) è massimo."

(traduzione mia)

(…)

"The ontology of a site can thus be described in terms of three properties:
1. A site is a reflexive multiplicity, which belongs to itself and thereby transgresses the laws of being.
2. Because it carries out a transitory cancellation of the gap between being and being-there, a site is the instantaneous revelation of the void that haunts multiplicities.
3. A site is an ontological figure of the instant: it appears only to disappear."

"L'ontologia di un Sito può essere descritta nei termini di tre proprietà;
1. Un sito è un molteplice riflessivo (un iper-insieme, NdT), che appartiene a sé stesso e che pertanto trasgredisce le leggi dell'essere;
2. Poiché fa emergere un transitorio annullamento dello scarto fra essere ed apparire, un sito è la rivelazione istantanea del vuoto che erra nel molteplice.
3. Un sito è una figura ontologica dell'istante: appare solo per svanire."

(traduzione mia)

(…)

"Since it is characterized by a maximal intensity of existence, singularity lies farther than fact from mere immanent modification. If we are now obliged to distinguish between weak singularities and strong singularities, it is in terms of the links of consequence which the vanished site establishes with the other elements of the object that had presented it in the world. 
In brief, we can say that existing maximally for the duration of its appearance/disappearance confers on the site the power of a singularity—but that the force of a singularity lies in making its consequences, and not just itself, exist maximally. 
We reserve the name ‘event’ for a strong singularity [singularité forte]."

"Poiché è caratterizzata da una massima intensità di esistenza, la singolarità si distanzia più del fatto dalla mera modificazione immanente.
Se siamo obbligati a distinguere fra singolarità deboli e singolarità forti, ciò è dovuto alla rete di conseguenze che il sito evanescente ha instaurato con gli altri elementi dell'oggetto (un molteplice del mondo, NdT) che ha fatto apparire nel mondo.
In breve, possiamo dire che esistendo massimamente per la durata della sua apparizione/sparizione ciò conferisce al sito il potere di una singolarità, ma che la forza di una singolarità risiede nel realizzare massimamente le sue conseguenze e non in sé stessa.
Riserveremo il nome di "evento" a tale singolarità forte."

(traduzione mia)