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sabato 12 giugno 2010

Coincidentia oppositorum e altre riflessioni sulla (nostra) instabilità - 2^ Parte

L'entropia, come abbiamo visto nella ipotesi cosmologica di Ilya Prigogine, è il prezzo che l'universo ha "pagato" per venire ad esistenza a seguito di una rottura spontanea di simmetria del vuoto quantistico primordiale (il "free lunch").
Da quel momento, avvenuto circa 14 miliardi di anni fa, ha avuto origine la storia di questo universo in cui è apparsa la prima forma di Homo Sapiens appena 130.000 anni fa.


La dimensione storico-evolutiva è, dunque, estremamente importante in quanto è attraverso il tempo ed attraverso l'auto-organizzazione della materia e dell'energia e della relativa informazione prodotta e scambiata, avvenuta in condizioni talmente "precise" di "fine tuning" (nel modello standard della fisica delle particelle sono numerose le costanti alle quali i fisici hanno dovuto trovare un valore in maniera empirica e non previste a priori dal modello stesso) che qualcuno vi ha ravvisato i segnali evidenti di un principio antropico forte e tali altri di un "disegno intelligente", che da quell'origine "esplosivamente entropica" ci sono stati dei cambiamenti e delle evoluzioni così complesse che hanno portato fino a noi, ossia una specie particolare di essere vivente che consente all'universo di pensare e osservare sé stesso cercando di conoscersi. L'universo è dunque passato da uno stato di "caos" (uso questo termine per dare l'idea, ma è improprio) e di dinamica quantistica virtuale (particelle virtuali in continua trasformazione, creazione ed annichilazione ma non tali da "perforare" il vuoto primordiale) ad uno stato di esistenza reale con una freccia del tempo ed in espansione adiabatica, votato - per così dire - alla cosiddetta "morte termica" che lo riporterebbe, secondo questa cosmologia, allo stato primordiale per esplodere nuovamente e dare vita ad un nuovo universo con leggi probabilmente differenti.
Filosoficamente, come si è detto altrove, è un mix di semantica parmenidea (l'universo primordiale sarebbe un eterno) e di semantica eraclitea in cui tutto diviene e nulla è uguale nel tempo (i vari universi che verrebbero ad esistenza e le loro diverse leggi fisiche e chimiche).


In particolare, in questo universo che noi osserviamo è ravvisabile come dicevo una sorta di "principio di molteplicità" che si esplica molto chiaramente a livello biologico con la nascita della vita, ma che non di meno possiamo osservare sin dai primi istanti dell'universo in cui sono cominciati a comparire fotoni, protoni ed elettroni (materia ed antimateria, quest'ultima annichilita in massima parte), per poi arrivare fino alla attuale tavola periodica degli elementi che comprende circa 118 atomi (da dire che per alcuni sono 112) distinti in base al numero atomico, che si sarebbero formati dopo il periodo inflattivo dell'universo all'incirca 380.000 anni dopo il "big bang" (con il raffreddamento dell'universo sotto i 3000 gradi Kelvin) a cominciare da idrogeno ed elio.
Da una molteplicità inespressa ma "potenziale" del vuoto quantistico, che è tutt'altro che "vuoto", si è esplicata una molteplicità attraverso una forma di "unione" - più propriamente auto-organizzazione - di materia, energia ed informazione.
Il vuoto, dunque, che noi potremmo interpretare come un "Uno primordiale" è in realtà già molteplice per la sua continua attività di fluttuazione quantistica (immaginiamo la superficie dell'oceano prima che un'onda dia origine alla schiuma ed ogni onda è differente dall'altra) per cui tra vuoto e universo quello che cambia - in buona sostanza - è dovuto ad una transizione di fase (la rottura spontanea di simmetria) che dà origine ad una "nuova dinamica" di ciò che già esisteva in forma primordiale.
Cioè il vuoto, per quanto apparentemente "indistinto", è invece teatro di continua creazione, trasformazione ed annichilazione di particelle (chiamiamole così, potrebbero anche essere in futuro chiamate "modi del campo quantistico").
L'universo però, a differenza del vuoto, dà luogo a processi di auto-organizzazione (il tempo e quindi i processi e le leggi fisiche che conosciamo in realtà nascono con l'universo e non esistono "prima") e proprio grazie ad essi si può parlare di una evoluzione nel tempo che ha portato fino a noi ed alla nascita della coscienza umana.


Come dicevo, la molteplicità è oltremodo evidente quando fa la sua comparsa la vita.
Anche qui l'antenato è comune, come è stato recentemente dimostrato dal biochimico Douglas L. Theobald (cfr. Le Scienze n. 502, giugno 2010, pag. 29) che utilizzando un modello quantitativo ha dedotto che la struttura più probabile dell'evoluzione a partire dalla prima sintesi proteica è quella ad albero e sono invece da escludere "sviluppi iniziali indipendenti e multipli, protrattisi fino ad oggi".
Se riflettiamo sul fatto che da quell'antenato comune è "esplosa" la vita nelle molteplici forme che conosciamo l'analogia con la nascita dell'universo è abbastanza intuitiva anche se da fare "cum grano salis".
Di più, come asserisce il genetista Marcello Buiatti , alla domanda "perchè la vita dura da più di tre miliardi di anni, la risposta è semplice: la vita ci è riuscita perché si fonda sulla diversità, sulla continua variazione dei componenti e della loro organizzazione. La vita è ordine che si nutre di disordine", si può affermare quindi che la diversità è un principio fondamentale che consente alla vita di evolvere e di perpetuarsi.
Ancora Buiatti ci dice:

"Le strategie esplorative sono quindi alla base della vita, che ha inventato una serie di meccanismi per generare variabilità, dal DNA ai processi semicausali di generazione delle sinapsi nei cervelli animali e soprattutto in quelli umani. Di variabilità c'è bisogno a livello di DNA, delle altre molecole, delle cellule, degli organismi, delle popolazioni, delle specie e anche degli ecosistemi".


Il concetto di ecosistema, poi, ci introduce ad un'altra riflessione fondamentale, ossia che la vita è profondamente interconnessa e che non esiste nulla di singolo in sé, ma tutti gli esseri viventi sono intimamente connessi tra loro (immaginiamo, ad esempio, le catene alimentari) e all'ambiente naturale.
Gregory Bateson, con un'idea pioneristica, addirittura immaginò nel suo "Mente e Natura" che il concetto di mente non fosse prettamente legato al cervello umano, ma che fosse da collegare alla "circolazione dell'informazione in un sistema che consenta a quel sistema di coordinare le azioni che le sue parti devono compiere per assicurare la sopravvivenza del tutto".
Ne consegue che:

"Una mente isolata non può sopravvivere. Condizione necessaria (ma non sufficiente) per la circolazione dell'informazione fra le sue parti è che essa sia attraversata da un flusso di energia ed eventualmente anche di materia che la tenga lontano dall'equilibrio termodinamico (...) Quando cessa questo flusso, cessa la circolazione d'informazione coerente e la mente muore".

E' evidente che in tale accezione semantica un ecosistema è una mente e che "la concezione della biosfera come una struttura gerarchica a molti livelli di menti coglie un aspetto ecologico del processo evolutivo" che non è solo genetico, ma appunto genealogico/ecologico (perchè le specie tendono ad essere stabili) e legato alla interazione non lineare del genoma con l'ambiente (il DNA da solo non produce alcunché se non è "attivato" dall'interazione con l'ambiente).
Un altro aspetto importante del pensiero di Bateson è quello di processo stocastico.
Come dice lui stesso nel citato "Mente e Natura":

"L'assunzione di base di questo libro è che tanto il cambiamento genetico quanto il processo chiamato 'apprendimento' (compresi i cambiamenti somatici indotti dalle abitudini e dall'ambiente) siano processi stocastici. In entrambi i casi, cioè, il flusso degli eventi è per certi versi aleatorio e in entrambi i casi c'è un processo di selezione non aleatorio che induce alcune delle componenti aleatorie a 'sopravvivere' più a lungo delle altre. Senza il caso non può esserci novità (...). In sostanza assumerò che il cambiamento evolutivo e il cambiamento somatico (compresi l'apprendimento ed il pensiero) siano fondamentalmente simili, che entrambi abbiano natura stocastica, sebbene, ovviamente, le idee (ingiunzioni, proposizioni descrittive, e così via) sulle quali si basa ogni processo siano di tipo logico totalmente diverso da quelle delle idee dell'altro (...) Siamo di fronte a due grandi sistemi stocastici in parte interagenti e in parte isolati fra loro. Un sistema è interno all'individuo e viene chiamato apprendimento; l'altro è immanente nell'ereditarietà e nelle popolazioni e viene chiamato evoluzione. Uno ha la durata di una vita singola; l'altro coinvolge molte generazioni di una molteplicità di individui".


Questi due processi stocastici per Bateson hanno "logiche diverse" ma dalla loro interazione dipende la sopravvivenza della biosfera.
Il concetto di processo stocastico è molto interessante perchè abbina sia la casualità che il determinismo, ossia potremmo considerare un processo stocastico qualcosa di più "ordinato" rispetto alla casualità più "sfrenata" (immaginiamo il caos, ad esempio quello del "moto browniano"  che ha proprio una trattazione matematico-statistica con l'equazione di diffusione).
Come dice Ignazio Licata nel suo "Osservando la Sfinge" (pag. 202, ed. 2009):

"Il vocabolo stocastico è dunque quasi un sinonimo di aleatorio e casuale, ma se ne differenzia perchè il processo in questione ha comunque delle regole che permettono, se non una certa predizione, almeno fondate congetture" (Licata ne parla con riferimento all'approccio stocastico alla meccanica quantistica).

Sempre Licata aggiunge che:

"Nei processi stocastici l'aleatorietà dei processi in gioco ed il conseguente ricorso alla probabilità hanno un carattere assai meno radicale che nell'ordinaria accezione della meccanica quantistica e l'incertezza relativa ai risultati non è dovuta a qualche misteriosa casualità intrinseca dei processi naturali, ma ha piuttosto un carattere epistemico (dipende cioè dal nostro modo di costruire la conoscenza, nda)".


Tornando a Bateson, la componente aleatoria è quella digitale (ossia discreta) e riguarda le mutazioni casuali genetiche, mentre quella deterministica è quella analogica (ossia continua) e corrisponde "ad una fase epigenetica deterministica di selezione delle mutazioni compatibili con la struttura complessiva dell'organismo" (l'epigenesi, introdotta da Conrad Waddington, studia "le interazioni causali tra i geni e i loro prodotti che accompagnano il divenire del fenotipo"; il fenotipo è la materiale manifestazione fisica di un organismo), ossia molto in sintesi le relazioni causali fra geni ed ambiente che sono alla base della vita e del divenire degli organismi.


Inoltre, si aggiunge a questi due processi quello analogico e stavolta aleatorio della reazione imprevedibile dell'individuo all'ambiente.
Ci rendiamo conto che, come poi hanno fatto altri biologi come Stephen Gould e Niles Eldredge, in Bateson siamo lontani da un "ultra-dawinismo" come quello di Richard Dawkins basato su una sorta di dittatura del "gene egoista" che "vuole sopravvivere", ma siamo di fronte ad una molteplicità di livelli selettivi interconnessi la cui dinamica è stocastica (con Gould nella "La struttura della teoria dell'evoluzione" si arriverà anche a parlare oltre che di selezione degli individui anche della "selezione di specie", ossia di macroevoluzione in cui si studia la specie e non il singolo individuo; Gould, ideatore con Eldredge della "teoria degli equilibri punteggiati", ha introdotto anche il concetto di "exaptation" in base al quale ci possono essere mutazioni che danno luogo a "funzioni non previste", ossia effetti "secondari" che non dipendono dalla selezione naturale).
In questa semantica, che mi sento di condividere, non c'è più un genoma deterministico ma piuttosto una co-evoluzione tra genotipo, fenotipo e ambiente secondo processi stocastici interconnessi e non lineari.
Gli stessi neuroni del cervello sono a quanto pare, in base a quello che asseriscono le neuroscienze e taluni modelli basati sulle reti neurali, in uno stato stocastico che è fondamentale per i fenomeni di emergenza radicale (es. la creatività) che distinguono la computazione naturale e la coscienza umana da una macchina (digitale) di Turing.


Fine 2^ Parte

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Bibliografia:

M. Cini, Il Supermarket di Prometeo, Codice, 2006
I. Licata, Osservando la Sfinge, Di Renzo, 2009
Ilya Prigogine, Tra il tempo e l'eternità, Bollati Boringhieri, 2003
Gregory Bateson, Mente e Natura, Adelphi, 1984
Stephen Gould, La struttura della teoria dell'evoluzione, Codice, 2003



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sabato 5 giugno 2010

Coincidentia oppositorum e altre riflessioni sulla (nostra) instabilità - 1^ Parte

Il cardinale tedesco, ma anche filosofo, teologo, astronomo e matematico, Nikolaus Krebs von Kues - meglio conosciuto come Niccolò Cusano o anche Niccolò da Cusa - ci aveva già "ammonito" molto tempo fa nel suo "De docta ignorantia" (1440) che non è possibile che una conoscenza parziale dell'universo (e di Dio) e che, dunque, "la possibilità di conoscenza si basa sulla proporzione, dinamica ma persistente (nda), fra noto e ignoto". 
Nel suo pensiero è implicito che l'ignoto non potrà mai essere svelato del tutto e che quindi l'essere umano, per quanto "dotto", è destinato ad essere sempre ignorante della "realtà del tutto".
In questo assunto ritroviamo il famoso filosofo greco Socrate ed il suo altrettanto celeberrimo "So di non sapere".
Nel pensiero di Cusano emerge e viene utilizzato il concetto matematico-geometrico di infinito mediante il quale, in maniera analogica, viene espressa la congettura che Dio - e lui solo in quanto infinito - è l'unione di tutti gli opposti esistenti, che sono pertanto "contenuti" ed "impliciti" in lui.
Per poter conoscere il tutto, occorrerebbe passare dalla logica del finito a quella dell'infinito laddove non esiste più, secondo Cusano, il principio di non contraddizione e quello di identità e tutto è unito nel profondo (vero e falso, bene e male, ecc.), ma questa possibilità è per sempre preclusa all'uomo che può, invece - in quanto essere finito - , solo formulare congetture oppure - potremmo dire noi in chiave moderna - può solo costruire modelli di conoscenza e di rappresentazione del mondo in continua evoluzione ed in un costante tentativo di svelare la "resistenza del mondo".
Non è una novità, tutto sommato, questo modo di pensare se riflettiamo sul fatto che la filosofia orientale cinese del Tao ed i relativi concetti di Ying e Yang  risalgono almeno al 500 a.C.

Il Tao è però un principio, un "Dio impersonale", e quindi si differenzia dal Dio creatore cristiano a cui si riferiva Cusano, anche se tale principio è comunque all'origine della creazione dell'universo e del suo manifestarsi in un dualismo (maschio-femmina, luce-oscurità, attività-passività, vita-morte, corpo-mente, ecc.) tanto evidente quanto illusorio, poiché in realtà gli opposti sono necessari l'uno all'altro e quindi sono intrinsecamente uniti e non divisibili.
Questa premessa mi serve per introdurre una riflessione sui rapporti umani, sul rapporto uomo-ambiente  e sul rapporto con il sé di ognuno di noi, che vado a "svelare" (gioco un pò coi termini) di seguito.
All'origine dell'universo, come ci dice il fisico Ilya Prigogine nel suo "Tra il tempo e l'eternità", potrebbe esserci stata una "esplosione entropica", ossia dobbiamo immaginare che da quello che viene chiamato universo primordiale o arcaico, in perenne fluttuazione ed intrinsecamente instabile (che sostanzialmente era il vuoto quantistico), improvvisamente è apparsa (si è generata) una particella con una massa di circa cinquanta volte la "massa di Planck", che ha innescato "un meccanismo di cooperazione altamente non lineare" che ha determinato la rottura del vuoto quantistico e quello che viene chiamato "big bang".
Questa esplosione entropica, dovuta alla "natura del vuoto quantistico primordiale", giustificherebbe il cosiddetto "free lunch", ossia la creazione dell'universo a "costo energetico zero", in cui come dice Prigogine :

 "si estrae dal serbatoio di energia negativa che costituisce la geometria dello spaziotempo descritta dalle equazioni di Einstein l'energia positiva necessaria alla materializzazione delle particelle virtuali. Questa trasformazione dell'energia negativa del campo gravitazionale in energia 
positiva di materia ha per conseguenza una curvatura dello spaziotempo che a sua 
volta causa la materializzazione di altre particelle, e così via".

Saremmo in qualche modo figli di questa lacerazione (immaginiamo una sorta di "parto quantistico") del vuoto quantistico, che ha dato origine alla freccia del tempo e con essa all'entropia fino ad arrivare alla vita ed alla coscienza di noi esseri umani.

La metafora del "parto quantistico" la trovo particolarmente utile, per quanto decisamente antropocentrica, in quanto rende l'idea di una "naturalità della nascita dell'universo" così come il parto è naturale e funzionale al perpetuarsi della vita.
Quella dell'esplosione entropica di Prigogine, unita alla nascita di un universo del tipo di de Sitter (di tipo ipersferico) è una delle ipotesi più interessanti, a mio avviso, della cosmologia quantistica contemporanea anche perchè attraverso il concetto di espansione adiabatica (ad entropia costante) ci porta suggestivamente ad ipotizzare un "eterno ritorno" allo stato di vuoto quantistico (per effetto della morte termica dell'universo e di una sua riconfigurazione allo stato arcaico) per poi ri-esplodere a seguito della sua instabilità.
Non mi dilungo sulle incredibili similitudini con la filosofia orientale, dal Tao al Buddismo all'Induismo, ampiamente trattate da Capra nel sul "Tao della fisica", ma direi che sono davvero evidenti anche nell'idea di una circolarità e ciclicità del tempo (tempo relativo, perchè il tempo assoluto si intuisce che non è definibile come ci dice la stessa teoria della relatività) e nel suo eterno ripetersi.
Alla base di queste esplosioni entropiche (parlo al plurale perchè è ipotizzabile che ce ne siano di continuo e che diano origine ad altrettanti universi con leggi anche molto diverse dal nostro), c'è un principio fondamentale della fisica delle particelle che è il "principio di simmetria" e il relativo principio di "rottura spontanea di simmetria".
Senza addentrarmi nei dettagli, che sono però interessanti per chi vuole approfondire, il classico esempio di rottura di simmetria che viene fatto è quella della matita in bilico: finché la teniamo per la sommità la sua posizione è simmetrica ma intrinsecamente instabile in quanto basta lasciarla e la matita cadrà al suolo raggiungendo una posizione "imprevedibile", ma stabile.
Analogamente, come dice il fisico Lee Smolin nel suo "L'Universo senza stringhe", accade per la fisica delle particelle:

 "Questo meccanismo di rottura spontanea della simmetria può riguardare 
le simmetrie tra le particelle in natura; quando riguarda le simmetrie che, 
in base al principio di gauge (un altro principio fondamentale che, in sintesi, è alla base dell'unificazione delle interazioni nucleari forte, debole e dell'interazione 
elettromagnetica, nda), danno origine alle forze della natura, rende diverse 
le loro proprietà.  Le forze si differenziano; possono avere intensità 
e raggi d'azione diversi. Prima che la simmetria si rompa, 
tutte e quattro le forze fondamentali agiscono a distanza infinita, 
come l'elettromagnetismo, ma successivamente
 alcune avranno un raggio d'azione finito, come le due forze nucleari".

Da questo abbinamento della "rottura spontanea di simmetria" e delle "teorie di gauge", continua Lee Smolin, è stato ideato dai fisici Francois Englert e Robert Brout (1962) e indipendentemente poco dopo da Peter Higgs il "meccanismo di Higgs" (Lee Smolin ironicamente ci dice che quindi dovremmo parlare di "fenomeno EBH" in onore ai tre fisici e non solo all'ultimo che lo ha ideato, ossia Higgs) di cui oggi si cercano (e si spera di trovare!) conferme tramite il potente acceleratore di particelle LHC e la ricerca del "bosone di Higgs", che nascerebbe dalla rottura spontanea di simmetria del campo di Higgs spiegando in tal modo la massa delle particelle.

L' analogia che possiamo utilizzare da quanto detto è l'idea di fondo che da un'origine in cui tutto è unificato (massima simmetria, ma anche grande instabilità) si sono verificate delle rotture di simmetria che hanno determinato la nascita (il parto...) dell'universo e la sua progressiva evoluzione in cui si afferma una sorta di  "principio di molteplicità" (dall'uno alla "massima" differenziazione possibile) in cui si assiste ad una tendenza all'auto-organizzazione, a fenomeni emergenti (come la vita) ed alla complessità.
In particolare, l'aspetto degno di nota in questa immagine fornita dell'universo arcaico è quello della "coesistenza di caos e simmetria", che prima o poi si "rompe naturalmente" per effetto dell'instabilità intrinseca delle fluttuazioni del vuoto. L'instabilità è dunque una caratteristica atavica dell'universo secondo questa semantica, addirittura prima ancora che esso sia stato generato da un big bang (l'esplosione entropica) e causa stessa del big bang e che, come rifletterò nel prossimo post, è alla base della vita, della nostra società e della nostra mente, contestualmente al nostro desiderio e bisogno di trascenderla in vista di conseguire un equilibrio e di ritrovare una "simmetria perduta" (l'unione con il tutto, l'armonia con il sé).

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