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venerdì 27 agosto 2010

Una riflessione sul "Web is dead" di Anderson (2^ Parte)

Segue qui la seconda parte della discussione:



Paolo Lapponi: ‎"Il sogno di Dziga Vertov si realizzerà ogni giorno di più, man mano che la creatività dei pirati informatici sarà capace di galoppare sull'ultima novità messa sul mercato dai padroni elettronici del pianeta."(Alberto Grifi, 2006) Alberto ci ha lasciati il 23 aprile 2007.

Claudio Cannella: Cari amici,
La mia complessa ed articolata risposta, che giunge tardi perché ha richiesto oltre il tempo di prepararla anche quello di concordarla con @Salvatore Pappalardo, altrettanto coinvolto di me in alcune delle cose che dirò, prende in esame diversi punti 
Fin dal corpo della nota che giusto in fondo dice: 
«Di certo avremo sempre delle pagine Web. Abbiamo ancora le cartoline e i telegrammi, o no? Ma il centro dei media interattivi – sempre di più, il centro di gravità di tutti i media – si sta spostando verso un ambiente post-HTML», assicurammo quasi 15 anni fa. Gli esempi dell'epoca erano un po' sciocchi - uno spazio in 3D da realtà virtuale alla Furry-MUCK, e «i titoli delle notizie inviati a dei cercapersone. 
A questa fa obbligo di ricordare che a quella data (1994-95 se l’aritmetica non è un’opinione ) il web commerciale era poco noto in Europa e per niente in italia al di fuori delle università ed enti di ricerca mentre in America sembrava già decotto.
Falsamente per altro come dimostra il fatto che le prime piattaforme “alternative” hanno impiegato 10 anni ad essere pensate (il brevetto sul social networking è del 2004 ) e che come ricorda @Franco Folini il dotnet e i web services [basati sulle intuizioni espresse in “la strada verso il domani “ da Bill Gates ] ancora 8 anni fa sono stati scartati perché richiedevano un cambio di mentalità e un investimento in formazione che anche in USA pochi erano disposti a fare [difatti anche XML ha preso il via effettivamente solo dopo l’avvento del macro centro collettivo di sviluppo in INDIA].
In Italia all’epoca si pretendevano invece i compilatori COBOL sotto linux /UNIX per avere le architetture distribuite senza dover formare il personale all’utilizzo delle adeguate tecniche di analisi e programmazione. 
E, adeguandosi al vizio strutturale che gli americani hanno sempre avuto [e che costituisce buona parte dell’innesco di questi due articoli], di misurare il valore delle persone e delle idee soltanto in dollari , possiamo anche ricordare che 
1. prima Yahoo ha fatto i soldi mantenendo un indice delle pagine web e dando servizi accessori [web mail z.b.] molto efficienti a prezzo zero e vendendo pubblicità per mantenersi; 
2. poi Google ha fatto e fa i soldi che ha con la ricerca web (e su quanto bene o male sia fatta e sui tentativi per migliorarla tornerò successivamente) che risulta comunque di qualità superiore a quella degli altri, per quanto male sia fatta. 
dice anche: 
Questo sviluppo – una marcia storica familiare, allo stesso tempo feudale e aziendale, in cui i meno potenti sono privati della loro ragion d'essere da chi ha più risorse, da chi è organizzato ed efficiente – è forse il più duro shock possibile per l'ethos paritario, permeabile e dalle basse barriere d'accesso dell'età di Internet. Dopo tutto, è una battaglia che sembrava combattuta e vinta - non solo facendo collassare giornali e case discografiche, ma anche AOL e Prodigy e chiunque costruisse un business sull'idea che un'esperienza controllata dovesse domare la flessibilità e la libertà del Web.
Questa dell’ethos paritario invece e della “libertà” e “flessibilità” della rete è una montatura nata nella sua interezza da una ambiguità semantica , generata da una omografia e dal fatto che come disse una volta un vecchio saggio “Inghilterra e USA sono due nazioni divise dall’uso della stessa lingua “ [e qui possiamo aggiungere anche l’Australia .] 
Infatti , vedete in inglese “gratuito “ si dice “free of charge” [ossia esente da prezzo , tariffa, balzello] e questo in America e Australia diventa semplicemente “free” cioè libero. 
E questo ha alimentato un duplice equivoco :
da un lato “tutto ciò che può trovarsi in rete deve essere gratis”(ossia a me il lavoro degli altri deve poter essere fruibile senza alcun costo mentre il mio lavoro deve essere pagato molto subito e puntualmente da chi lo riceve )- il che a sua volta ha spersonalizzato gli utenti spostando il business non sulla offerta di prodotti e servizi ma sulla raccolta di pubblicità tanto più efficace quanto più grande [ancorchè essenzialmente indifferenziato ] è il target di utenza potenzialmente raggiungibile .
dall’altro libero significa che deve non solo garantire l’accesso al mezzo e ai contenuti ma essere esente da controlli , prevenzione e repressione di chi commette reati. 
Perciò ora comincio a discutere quanto avete detto cominciando col ricordare a @tutti che INTERNET è il nome di uno strato [il quarto] dell’architettura ISO OSI e che questo strato è l’ultimo che si preoccupa della comunicazione da macchina a macchina presentando appunto a ciascuna rete le richieste complete e nel formato giusto e garantendo l’integrità dei dati. I tre strati superiori sono di competenza “locale “.
E mentre “chi sta connesso con chi “ “chi è autorizzato a fare che “ e “chi paga chi per cosa e quanto “ sono compiti usualmente implementati da componenti di sistema e nel web sono svolti da http e da FTP [e un tempo anche dal cassato e defunto gopher] tutto ciò che riguarda le interfacce con la specifica macchina e con lo specifico utente sono svolte dalle applicazioni[apps] chiamate browser che operano sulla base di HTML e simili [ora i successori sostituti di html sono asp, php , java flash e director tutti con ODBC e i suoi equivalenti se e dove serve e cioè dovunque ].
E a questo proposito devo ricordare che per proprietà di linguaggio e possibilità di comprensione reciproca la navigazione del web che @gianluigi definisce “ interattiva tramite i link “ non è affatto tale altrimenti sulla stessa base potresti definire interattivo anche lo zapping davanti al televisore ma solo al massimo “paradigmatica” e non lineare [ossia a salti e basata sulle affinità concettuali e contenutistiche ] come opposto di “sintagmatica” [ossia sequenziale basato su come i contenuti sono messi in fila da chi li rende disponibili ] . 
Tuttavia @gianluigi mi trova CONCORDE nell’affermazione che insieme alla possibilità di visualizzazione uniforme [interpiattaforma sia HW che SW ] ma simultanea [nell’ambito della risoluzione e delle dimensioni dello schermo ovviamente ], questa fosse la trovata principale del web.
A queste hanno fatto seguito l’embedding e poi le pagine dinamiche [che però sono rimaste nulla affatto interattive in quanto l’utente poteva al massimo scegliere il contenuto ma non generarlo o modificarlo ] 
In questo senso le apps che invece lo consentono massicciamente sono una forte e buona evoluzione
Però devo ricordare a @Franco che anche queste innovazioni sono state vissute in termini di guerra fra le piattaforme che allora erano molto meno aperte e che erano essenzialmente il Netscape di aol e IE della microsoft. 
Dice poi @Paolo Lapponi:
Appartengo a una generazione che iniziò ad utilizzare la rete più di 20 anni fa nella PA italiana in istituti di ricerca di medicina e biologia …” ma sono costretto a controbattere che quella rete aveva poco a che vedere col web che è arrivato dopo , anche io a metà anni 80 producevo tecnologia HW e standard per la comunicazione dati ma ribadisco alla gente questa roba non arrivava [anche grazie alla idiozia di certi dirigenti tecnici e industriali italiani].
A @Cristian Contini che dice “Il web, va detto, usa ancora la metafora decisamente limitata e superata della pagina cartacea stampata, per quanto interattiva e multimediale (le "pagine web") cosa che il sistema delle app (grazie grazie grazie Apple per il lavoro di cambio di paradigma) scardina e rifrulla come nuovi modi di fruire gli stessi dati” faccio invece notare due cose : 
1. che Apple quel “cambio di paradigma” lo ha imposto valendosi di HW proprietari e di SW che come prima cosa al loro ingresso in un calcolatore rendevano inservibili quelli di altri produttori a cominciare dalle dll di media player e anche attualmente i SW di Apple tentano di fagocitare e quindi essenzialmente rendere infruibile qualsiasi forma di contenuto se non nei modi e con gli HW forniti da Apple [almeno mi risulta che la routine di sincronizzazione dell’iphone e dell’ipod effettua la sincronizzazione con un calcolatore cancellando tutta la musica presente sul calcolatore ma non sull’ipod ]. 
questa pratica commerciale è criminale quindi ringraziare qualcuno per averla applicata non mi pare opportuno.
2. che questo cambio di paradigma era stato ventilato e proposto fino dal 1997 e poi 2002 da una azienda italiana con un documento [registrato in SIAE per data certa a febbraio del 2002] di cui posto l’excerpt come nota in http://www.facebook.com/notes/claudio-cannella/il-paradigma-postindustriale/492802724615.
E che tutti coloro che hanno letto quel documento con l’eccezione del solo @Paolo Manzelli , non l’hanno compreso e tanto meno accettato oppure l’hanno attivamente rifiutato costringendoci poi a seguire come pecore la scia degli americani che avendo i mezzi l’hanno imposto dopo con questo tipo di pratiche.
A @Graziano Terenzi che dice “Per me il vero problema resta la contrapposizione tra contenuti liberi o meno. Tra l'accesso gratuito o no.” Domando anzitutto "l’accesso a che cosa ???" perché se si tratta accesso alla rete il problema che la rete richiede una struttura fatta o di doppini e centrali o di ripetitori e hotspot e comunque di satelliti e tutti questi apparati hanno un costo di fabbricazione , installazione e manutenzione , al di là dei balzelli applicati dai governi per darti il permesso di installarli e dei danni arrecati dai monopoli pubblici o almeno apparentemente tali sull’argomento e questi costi o li paga l’utente in forma di tariffe o li paga il contribuente sotto forma di tasse , tertium non datur. 
E se con “libero” intendi che questo accesso non deve essere negato sulla base della etnia, della religione , del censo o della fede politica o delle attitudini sessuali, sono d’accordo con te , ma se intendi gratuito allora esiste un problema tattico.
Se invece si tratta di contenuti la domanda non è diversa : “tu vuoi il frutto del mio lavoro gratis , sei disposto a darmi gratis il frutto del tuo nella misura in cui io di volta in volta ne ho bisogno ma continuando a produrlo a tuo carico anche se io smetto per qualche motivo di consumarlo “??? E l’ignorantissimo pizzicarolo il pane e formaggio ce lo dà gratis tutte le mattine se nessuno paga nessuno ??? 
Analogamente se contenuto “libero” significa non soggetto a censure da parte di terzi per motivi di fede religiosa o politica allora sono d’accordo , ma se intendi che non deve esistere nessun controllo o vigilanza, ti rammenterò che nei Codici dello stato italiano esistono reati civili (furto, truffa , diffamazione calunnia danno di immagine, falsa pubblicità nel commercio) e penali (falsa dichiarazione di identità ,pedofilia, abusi sessuali , lesioni e omicidio) e l’istigazione a commetterli o l’apologia di chi li ha commessi sono a loro volta reato. 
Questo tipo di cose (alludo a quei gruppi come “tutti i cattolici al rogo” o come “uccidiamo i bambini down” o ancora “tutte le donne sono troie da bruciare” che come sai ci sono stati su FB), devono non solo essere bandite dalla rete ma i loro promotori e amministratori essere passibili di denuncia e di sentenza che li esclude dall’accesso , e due volte tanto se ingannano i potenziali aderenti assumendo inizialmente titoli diversi. A @Bianca Decio che dice :
non dimentichiamo la facilità d'uso delle applicazioni: conosco persone che sono in grado di girare su facebook ma non sul web! “ Suggerisco di domandare a queste persone che sanno girare su FB se sono in grado di rintracciare anche col semplice titolo un post avuto in bacheca tramite un contatto intorno ad una data X , perché vedi il web raramente viene girato partendo da una pagina fissa , sempre più frequentemente invece da una specifica esigenza conoscitiva, però vi ricordo che twitter sta implementando questo sistema come dimostra il lavoro di @Chiara Passa [che invito @mario a taggare ] sia in termini di prestazione primaria sia in termini di API .
a @Franco che dice “ A mio parere i fattori che spaventano/allontanano i neofiti (e cazzeggiatori) dal web… : (4) il pessimo lavoro fatto da Google nel separare il grano dal loglio ritornando alle nostre search links spazzatura in gran quantità.” 
Suggerisco di leggere un altro documento proposto dalla stessa azienda nel 2000 [PRIMA CHE GOOGLE ESISTESSE] ad un convegno e poi dal 2002 in avanti [data certa ulteriore] a varie riprese ed infine brevettato come manufatto industriale presso UIBM con domanda e priorità del 2003 ma concessione nel 2008. 
Potete trovarlo qui : www.facebook.com/notes/claudio-cannella/motore-di-ricerca-esperto-semantico-autoselezionante-anno-2000/492797124615.
Mi impende infatti l’obbligo di farvi notare come oltre alla separazione del grano dal loglio richiesta in questo paragrafo da @Franco dei contenuti questo documento ed il relativo manufatto contenessero in nuce non solo le prestazioni di web semantico su cui ancora non c’è alcuna realizzazione e nessun accordo , ma anche l’idea del social networking che facesse della rete quell’uso “buono” [ a fini di conoscenza] secondo @mario sicuro (esente dai rischi sottolineati ai punti 2 e 3 dall’intervento di @Franco” ) ed al contempo “etico e paritario” secondo i desiderata di @graziano , naturalmente nella forma di una famiglia di applications gestita da un protocollo e da un sistema di crittografia proprietari che impedissero l’accesso ai non autorizzati e al di fuori dei livelli di autorizzazione concessi .
Esisterebbe anche un’altra coppia di documenti emessi nel 1999-2000, diffusi tramite campagna di proposizione alla stampa [con solo una pubblicazione e mezzo] nel 2002 e aggiornati nel 2005 che eventualmente vi proporrò singolarmente se vi sarete interessati .
Infine vi invito a considerare attentamente un punto proposto quasi incidentalmente da @mario quando dice “c'è l' "illusione" di essere tutti più "vicini", ma dove invece il fenomeno è che siamo tutti sulla stessa app proprietaria (monitorati e merce di scambio inconsapevole).
I due punti degni di nota sono infatti “monitorati “:
tutto il contenuto che produciamo , anche per il solo fine di fornircelo e metterlo in ordine è conservato in un DB e può essere non solo richiesto per fini di sicurezza o di eventuali sanzioni ma anche e in ciò consiste almeno una parte del “merce di scambio inconsapevole” editato revisionato e pubblicato a nostra insaputa sotto il nostro nome ma magari malamente decontestualizzato o sotto nomi e pseudonimi altrui , mentre le nostre anagrafiche e preferenze, e questa è l’altra parte, possono essere vendute [FB ha un impegno ufficiale a non farlo ma non è come le leggi dei medi e dei persiani incise nella pietra , se pensate che in America ci sono stati dei MUNICIPI che hanno venduto i db anagrafici a imprese di sondaggi demoscopici e di pubblicità(posso tentare di recuperare i relativi articoli di giornale) ] per incrementare le entrate pubblicitarie.
Per finire a @Gianluca Garrapa che dice “ la patologia del denaro rende arcaica ogni possibile idea” faccio osservare che “arcaica” nel lessico della lingua italiana significa “irrimediabilmente e insopportabilmente antiquata e quindi da dismettere a vantaggio di altre forme più adeguate “ e questo rende poco comprensibile la tua frase.
La tua espressione “patologia del denaro” però mi trova concorde in almeno tre punti 
1. tutto il denaro è patologico da quando ha perso il suo valore di unità di misura per lo scambio ed è diventato oggetto di scambio direttamente lui stesso perdendo ogni ancoraggio con quantità verificabili sperimentalmente e non solo attraverso teorie econometriche. 
2. l’aspetto più patologico e più completamente inutile del denaro è la moneta coniata o battuta che poi conduce all’abuso di strumenti monetari per controllare l’economia senza contare le varie forme di circolazione parallela e quasi sempre illegale. 
3. nel nostro paese poi viene usato per reprimere [invece che per incoraggiare] la libertà di pensare e inventare. 
Direi che tanto possa bastare.
saluti, Claudio


Paolo Lapponi: grazie Claudio, però anche i commenti (almeno il mio) arriveranno tardi, qui c'è da leggere e riflettere a lungo ... ma non credo ci sia fretta ... semmai, au contraire, prima di dire sciocchezze ... a bientot :-))


Mario Esposito: Allora, prendo spunto da due autori - ossia Lawrence Lessig (2001, 2005) e Yochai Benkler (2007)- dei quali riprendo la suddivisione di un QUALSIASI sistema di comunicazione in TRE STRATI o livelli e la possibile scelta tra APERTURA e CHIUSURA dello strato.


1° Livello: FISICO, riguarda il a) il trasporto ----> reti wireless e banda larga e b) le apparecchiature ----> standardizzazione, mercato dei componenti.
2° Livello: LOGICO (Lessig lo chiama livello del codice), riguarda a) protocolli di trasmissione e b) il software.
3° Livello: CONTENUTO (è aperto ciò che non usa il "copyright", chiuso ciò che fa ricorso a brevetti e monopolio sui database, molto in sintesi).


Occorre poi inserire il concetto di COMMONS, ossia beni comuni, e COSA vogliamo che sia tale.
Se analizziamo la RETE (o se preferite il WEB che è lo stesso) attualmente qual'è il livello di apertura e di chiusura dei tre strati dell'Internet delle applicazioni come Facebook, Twitter, e di quelle proprietarie di Google ecc.?
Occorre discutere su questo e se VOGLIAMO che ci sia un livello irrinunciabile di COMMONS oppure se "non ci frega una mazza" (scusate il lessico, hehe) e basta che comunichiamo comodamente e "cazzeggiamo" nel tempo libero.
Spero di essere stato sintetico e chiaro :-)


Marco Faq ヅ : Questo passaggio dalla sintassi "canonica" a quella di "passeggio" sempre "vestita addosso", credo che era un passaggio naturale..con l'App.store (Apple), non tanto il device.. i develompers hanno capito di cucire sul consumatore un ecosistema tout court da poter accompagnare in tutta la giornata le sue scelte, la sua organizzazione sociale e i consumi.
Ma per farlo hanno dovuto le major inventarsi un nuovo codice, uno leggero, veloce senza "kernel".
Dimostrazione fu, che per la prima volta a Las Vegas S.Balmer presentò il primo tablet con windows 7 prima del Keynote di Apple che lanciò iPad..cosa incredibile per un'azienda come Microsoft che non azzarda...infatti quel Tablet presentato non uscì mai..perchè aveva la sintassi usata nelle piattaforme desktop o laptop..che non solo è elefantica e agganciata a delle API statiche..ma era sbagliato poter portare un Os pensato dall'inizio per un consumatore "casalingo"..
L'Os Apple o Android è stato concepito per un consumatore attuale, che veicola i contenuti in modo LITE e senza miliardi di codice intersecanti da dover stutturarsi in passaggi O/I noiosi e "perditempo"..


Claudio Cannella: caro @mario 
facendo riiferimento a ISO-OSI e ai tuoi autori 
il livello che loro chiamano "le reti" ossia i livelli PLS e LLC di ISOOSI sono aperte - i componenti sono standard [solo le SIM e le impostazioni di EEPROM cambiano , WIFI e WIMAX sono standard IEEE802 equindi americani ma sempre standard ] 


Mario Esposito: Vorrei invitarvi ad un'analisi dei tre livelli e dire per ognuno se sono aperti o chiusi, in modo che tutti possano capire.


Claudio Cannella: caro @mario
continuando l'analisi seguendo quelle due falseriche 
il livello intermedio quello che loro chiamano SW protocolli e che ISO OSI chiama transport ed internetwork e che voi avete battezzati INTERNET sulla scia di Wolff sono pure "aperti" nel senso che sono talmente standard che anche i più famosi produttori come IBM e CDC hanno rinunciato ai loro proptocolli prorietari per raggiungere il massimo del bacino di utenza 
per gli altri 3 strati ti rispondo successivamente. 
k


Claudio Cannella: il quinto strato , che come ti dissi si chiama session e si preoccupa dei dettagli amministrativi, statistici e autorizzativi è per il web essenzialmente aperto in quanto basato su HTTP e FTP e ODBC dove serve , e tutti questi sono standard interpiattaforma , e approvati dal w3c che rigetta le tecnologie brevettate ritengo che le app più popolari come twitter , FB , myspace e linkedin a questo livello sino aperte ma non esiste modo di saperlo , a meno di non andare a vvisezionare le loro API
nel caso del sistema applicativo descritto nelle mie note sarebbero invece chiusi , perchè l'accesso alle applicazioni che entrano nei DB è bloccato dai protocoli proprietari qui però siamo ancora a quello che i tuoi autori chiamerebbero SW protocolli.
Per quanto attiene ai dati inerenti probabilmente ai database sia accede con ODBC e più faciklmente con mYSQL che con ADO [che ha qlc paio di problemi] ma i dati possono essere proprietari e quindi i contenuti come dicono loro possono essere tanto chiusi quanto aperti chiusi


Graziano Terenzi: discussione di sicuro molto interessante... @Claudio Cannella: caro Claudio, stavo iniziando a pensare di aver perso la memoria, in quanto mi hai attribuito un punto di vista che non ricordavo di aver espresso in questa sede. Poi mi sono accorto che le parole attribuitemi sono di Gianluigi Colaiacomo in un post poco più sotto del mio. Ti prego di riguardare il mio post che in realtà ha posto solo il problema dell'apertura/chiusura e ha sottolineato l'importanza di chiarire meglio i concetti sui vari livelli.


Claudio Cannella: nell sesto nel settimo strato - quello che loro chiamano SW e che ISO-OSI chiama incvese Presentation e APplication il SW è per il web aperto basato su HTML e le tecnologie succedanee indicate sopra e tassativamente non proprietario {lo stesso w3c e ICANN [che è a cosa più vicina ad un sisttema di censura ideologica che ci possa essere sulla rete con la sua facoltà di non assegnare gli spazi di indirizzi] hanno provveduto a far annullare i brevetti su MP3 e sulla tecnologia hyperlink } mentre per le application è certamente più chiuso.  allo strati che loro pongono come successivo invece cioè i ,contenuti , che a mio avviso sono comunque inestricabilmente connessi con almeno gli ultimi 2 può essere aperto come wiki e i trilioni di pagine pubbliche o chiuso a scelta dell'utente : chi condivide gratutiamente senza aspettrarsi vantaggi economici li lascia aperti [anche quando il pizzicarolo è invece inesorabilmente chiuso] chi invece ha investimenti infrastrutturali e pubblicitari o segreti di varia natura da proteggere da proteggere li chiude 
le app tendono a far uso di contenuti aperti prooposti da altri ma essenzialmente a chiuderli ai loro utenti e ale loro metodologie e piattafornme di accesso. almeno a me parrebbe così 


Mario Esposito: Claudio, urge una SINTESI :-)


Ossia, partendo dalla classificazione in TRE strati (al momento atteniamoci a quella), proviamo a scrivere motivando :
1° Livello: Facebook è aperto o chiuso ? e PERCHE'?
2° Livello: Facebook è aperto o chiuso? e PERCHE'?
3° Livello: Facebook è aperto o chiuso? e PERCHE'?
Poi andiamo avanti con tutti gli strati che vuoi, ma sarebbe utile partire da questa suddivisione per poi affrontare il discorso dei COMMONS.


Claudio Cannella : livello 3 - i contenuti sembrano implicitamente aperti , nel senso che devi garatire di non esigere e di non violare il copyright e chiunque 
livello 2 - il sw non è dato di saperlo a me pare sw è aperto nel senso di gratuito ma chiuso nel senso sttrettamente collegato alla piattaforma flash e ai suoi propri schemi applicativi - 
i protocolli sono aperti , standard e non proprietari escluso probabilmente la messaggistica interna fra FB e le app sue , ma bisognerebbe leggere le API che danno per scrivere le applicazioni 
livello 1 - fisico - aperto std e non prprietario 
il web è aperto completamente sui duee livelli alti e opzionale sul terzo


Mario Esposito: Dopo un pò di riflessione, direi che il 1° Livello se andiamo sul wireless è su reti proprietarie (Vodafone, Telecom ecc.) e se siamo su quelle fisse mi pare ancora peggio visto che se non sbaglio il grosso è ancora di Telecom. Quindi non è aperto (per aperto intendo ad esempio le reti wireless municipali gratuite).
Il 2° Livello credo di non sbagliare dicendo che a livello di protocolli dovrebbe essere in gran parte "aperto", mentre offre spazi aperti e chiusi a macchia di leopardo per quanto concerne il software (nel caso di Facebook tale livello mi sembra chiuso essendo un'applicazione proprietaria).
Il 3° Livello, quello del contenuto, direi che è anche qui a macchia di leopardo (un "arcipelago" di chiusure ed aperture) e che il copyright è ancora molto diffuso nelle sue logiche classiche.
Per Facebook questo livello è sostanzialmente chiuso, in quanto da quel che mi risulta non siamo padroni dei contenuti che postiamo, tant'è che ogni tanto spariscono o si viene bannati (da FB intendo).
Una mia prima conclusione provvisoria è che l'evoluzione del Web stia consistendo in un "trade off" tra utilità, semplicità e velocità delle applicazioni da un lato (lato utente) e chiusura dei livelli di cui sopra ad opera dei proprietari (lato offerta) delle applicazioni (fermo restando che l'infrastruttura, in Italia, è privata).
Considerata la predetta "usabilità", anche in mobilità, il comportamento medio delle persone è di impronta utilitaristica e non sembra essere molto interessato alla NUOVA ECOLOGIA del Web, che non nasconde l'aspetto che dicevamo prima nel quale siamo tutti "mappabili" e quindi "merce di scambio inconsapevole".
La cyber-relazione prevale sul COME si svolge e sul COSA implica a livello "politico".
Resterebbe quello che si chiama open-source ma che sinceramente mi sembra sia sempre più un'offerta di nicchia, almeno da quel che si osserva.


FINE SECONDA PARTE





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Una riflessione sul "Web is dead" di Anderson (1^ Parte)

Pubblico di seguito la prima parte di una discussione ancora in corso sul mio profilo Facebook innescata dall'articolo di Chris Anderson "The Web is dead. Long live the Internet". L'ottica è di creare una osmosi positiva tra FB ed il blog. Buona lettura. 


Franco Folini : Per correttezza storica, la visione di un uso di internet mediato dalle applicazioni venne promossa  per per la prima volta nel 2001-2003 da Microsoft con la tecnologia .NET  con l'idea dei web-services e dei clients desktop. La MS visione era in  anticipo sui tempi e infatti venne dismessa. All'epoca molti pensavano  che abbandonare il browser per  un'application fosse sbagliato e fosse di fattoun  ritorno ai sistemi proprietari  monopiattaforma (e infatti cosi' e').  Jeff Jarvis (se ricordo bene) sostieneche le applications sono come suburbia: aree protette, anestetizzate, con accesso controllato. Il mondo  fuori da suburbia e' molto piu' vivo e interessante! Non posso che essere d'accordo. Lunga vita al browser!


Mario Esposito: ciao Franco! Ogni tanto ci incrociamo :-) Sai quale è la "storia" secondo me? Le  applicazioni, come ad es. Facebook e Twitter, sono facili da usare e "cazzeggio-oriented" per cui sopperiscono in maniera immediata ai vuoti della vita sociale "reale". Lo strumento in sé può essere usato anche in maniera "intelligente", ma prevale a mio parere un successo del primo tipo e pertanto a  chi li usa nemmeno importa "chi c'è dietro", la privacy, ecc. E' un "gioco collettivo" a cui si partecipa giocoforza perchè ESISTE. Se vai sulla traduzione del Sole 24Ore dei due articoli non c'è al momento un solo tweet o un fb share... Strano no? Anzi forse no :-)


Gianluca Garrapa: pensa che quel "tutto-o-niente" è la logica dicotomica del potere e per un ethos paritario dovremmo superarci davvero come umani... come al solito la patologia del denaro rende arcaica ogni possibile idea di reale futuro e miglioramento globale.


Bianca Decio: non dimentichiamo la facilità d'uso delle applicazioni: conosco persone che sono in grado di girare su facebook ma non sul web!


Mario Esposito: ciao Gianluca, bentornato! :-) Si, le statistiche sulla concentrazione del traffico parlano chiaro... Anche se poi siti come techcrunch.com hanno enfatizzato che considerando i dati Cisco anche sui video il Web recupera. Mi sembra una "consolazione" un pò magra :-)


Franco Folini: ‎@Mario: lasciami riportare per un attimo il discorso sul piano tecnico. A mio parere i fattori che spaventano/allontanano i neofiti (e cazzeggiatori) dal web: (1) primitivita' e poverta' dell'HTML (HTML+CSS+JS e' un sistema vecchio, inutilmente complesso, inaffidabile, difficile da usare e capire), (2) pericolosita' del web: virus, furto d'identita', (3) difficolta' e pericolosita' nel navigare il web (siti di spam, siti fittizzi, ecc.) (4) il pessimo lavoro fatto da Google nel separare il grano dal loglio ritornando alle nostre search links spazzatura in gran quantita'. Detto questo continuo a preferire il web e la liberta' che mi offre alle applicazioni chiuse del mio iPhone!


Mario Esposito: Certo, ma purtroppo gran parte dei "nativi digitali", che non sono solo i nostri adolescenti e giovani ma anche molti 30-40-50-60 ecc. "enni" che sono NATI digitalmente con Facebook, vivono nei confini delle applicazioni. La pesca è stata grossa :-)


Gianluigi Colaiacomo: penso che la battaglia per l'accesso libero sia ancora tutta da giocare. E la differenza tra applicazioni e web e' fittizia. Il web stesso e' un'applicazione anzi, un'applicazione di grande successo. Certo e' datata, ma molte delle sue carateristiche migrano e si evolvono nelle altre applicazioni (accesso a server remoti con indirizzamento opportuno, interfaccia utente che gira su qualunque piattaforma, facilita' d iintegrazione per dati e applicazioni, etc.). La battaglia si giochera' sui modelli di business che i grandi capitali riusciranno a realizzare per garantire alti rendimenti contrapposti a quelli delle associazioni "open" che utilizzeranno web, applicazioni e quant'altro la tecnologia ci portera'.


Gino Tocchetti: tutta questa differenza tra web e apps mi lascia perplesso: se dovessi esprimermi in termini di dicotomia (ma preferirei piuttosto una lettuta piu' sfumata) e' tra applicazioni aperte e applicazioni chiuse. Anche il web e' un'app (concordocon gianluigi), solo che e' aperta al massimo; il successo dei primi social network ha sdoganato le app piu' chiuse (tutti ricordiamo il cambio di paradigma nel passaggio dalla blogosfera galattica, ai pianeti ryze ecademy linkedin...). Piu' recenemente abbiamo attraversato la stagione dei web services "aperti", pensati cioe' per potenziare e semplificare il web, senza ridurre il livello di apertura e senza introdurre grumi di controllo (penso a wordpress, delicious, technorati, disquis e moltissimi altri piu' specializzati). E' stata la stagione dell'opensource, dei microformati e dei protocolli aperti, non dimentichiamo. E' stata anche la stagione del free, e della ricerca di modelli di business ispirati a concetti di economia del dono. Tutta una serie di fattori interni (esigenze degli utenti di nuova genrazione, sempre meno tecnologici, mancanza di profitto e rischio di nuove bolle speculative...) ed esterni (crisi finanziaria innanzitutto), spinge adesso verso app piu' chiuse, controllate, protette ed economiche vantaggiose. Sinceramente tutta questa pretesa di Wired di aver predetto 15 anni fa l'attuale evoluzione di internet, mi sembra, per usare un gergo tecnico, una pisciata fuori dal vaso. Cosi' come per i personal computer, che erano inizialmente scatole nere con software proprietario e programmato per essere lockin-in (dos, vbasic, activex... access), e poi e' arrivato linux, apache, php... mysql, in modo analogo (pur con differenze), avremo probabilmente "prima" una diffusione della tecnologia hardware basata su standard proprietari, e grazie a modelli di business orientati al profitto (anche per ripagare gli investimenti iniziali infrastrutturali), e poi l'esplosione di servizi e componenti che sposteranno, anche sui nuovi device, via via l'attenzione ai benefici intangibili e non prezzabili.


Mario Esposito: secondo me il Web è stata una idea più che una applicazione e quella idea è ampiamente alle nostre spalle.  La sostanza del discorso di Anderson non è tanto nella previsione del trend quanto nel fatto che quella idea di sviluppo è "fallita" per lasciare il posto alla internet fatta da applicazioni prevalentemente chiuse dove c'è l' "illusione" di essere tutti più "vicini", ma dove invece il fenomeno è che siamo tutti sulla stessa apps proprietaria (monitorati e merce di scambio inconsapevole). Questa è la CONSTATAZIONE, che dal mio punto di vista è quanto mai realistica. Il giudizio critico di questo fenomeno non è stato ancora discusso, a mio parere, a sufficienza.


Elisa Buratti: il web, le app, l'ipermercato, il reiki, la dieta mediterranea, lo shopping...ogni cosa/idea/ app o non, ha a che fare con l'umano. Nell'umano vige la regola che vige per il resto e cioè che il pesante va in basso e trascina con sè parte di tutto. Restare sospesi, non farsi portare giù, essere vino e non feccia, essere nella potenza e non nel potere non è nè sociale, nè esportabile, nè imparabile. O lo sei o non lo sei. Non il mezzo ma l'essenza vince sul tutto. Qualunque tutto esso sia. Tante analisi non servono perchè è sempre la stessa identica zuppa...:-))


Paolo Manzelli: Sappiamo dalla storia come l' interazione spontanea delle masse senza una guida concettuale innovativa comporta un adeguamento delle idee al mercato e di conseguenza alla decadenza di ideali a cui consegue la decadenza dei costumi, la corruzione morale, il degrado ambientale, ecc. Putroppo mentre il mercato ha saputo sfruttare la occasione di internet come nuova fonte di profitto, la elite intellettuale non ha saputo veicolare idee innovative nel quadro delle nuove opportunita di comunicazione di internet, cosi che il degrado intellettuale utile e con esso quello politico al all' economia di mercato ha preso nuovamente il sopravvento anche in questa fase della storia. Cosa fare ora ????? Quali soluzioni trovare ????


Paolo Lapponi: Appartengo a una generazione che iniziò ad utilizzare la rete più di 20 anni fa nella PA italiana in istituti di ricerca di medicina e biologia. Da subito l'impatto fu conflittuale sulla metodologia realizzativa di un cablaggio strutturale, ove gli “ingegneri informatici”, gli alti dirigenti dei nostri Enti Pubblici, si trovarono di fronte giovani piskelli (ai quali fornivo camicie e cravatte prima delle riunioni) che li inchiodavano al muro dell'inefficacia e dei costi delle gerarchie verticali proposte dai Server Microsoft NT. Pochi serverini Unix di bassissimo costo realizzavano quell'architettura distribuita che garantiva sicurezza, performance ed alta connettività (by Terminal Adapter) a decine di laboratori semplicemente connesso a un 486 unix presso il CASPUR di Roma che girava ininterrottamente per anni con minima manutenzione. E garantiva al contempo H24 il controllo delle tecnologie delle curve del freddo, lo storage biologico (crioconservazione in N2 liquido, cellule staminali, preziosi cloni cellulari), il controllo e gestione dell'Automazione della “macchina dura” in genetica molecolare, in HPLC, in nefelometria, in PRC, nei controlli di qualità, condivisione dati in tempo reale, realizzazione di Intranet ed Extranet, comunicazione globale tra ricercatori, realizzazione dei prototipi in grafica 3D dinamica dei recettori molecolari … era il sogno proposto da Negroponte, il Palazzo Intelligente, era anche il sogno dei network biologici come prototipi delle “reti neurali” (da Mc Farlane Burnett a Domenico Parisi). Sul piano delle architetture di rete il conflitto fu vinto alla grande dai piskelli (i 40enni di oggi), la rete era appannaggio degli APACHE, gli applicativi li sceglievano noi (come Eudora versus Explorer etc). Tuttavia, sul piano culturale generale le cose come al solito andarono diversamente, specie nel nostro paese, ove tra l'altro gli Istituti di Ricerca della PA sono stati affossati. Ammetto che oggi mi trovo disorientato. Selezionare nell'iperidondanza del Web 2.0 e successive modificazioni è per me di estrema fatica. Così, paradossalmente, FB mi viene in aiuto, mi semplifica la scelta, mi rende più chiaro lo stato dell'arte e le possibilità di contatti e approfondimenti, mi conforta nel giudizio su H/W chiusi come iPhone. Ma appartengo a un'altra generazione, formatasi nel marxiano “sviluppo delle forze produttive” e un po' invecchiata. Perciò, dall'altro lato della spirale, sento la necessità di rimanere sempre in contatto stretto con i piskelli di allora. La loro opinione e il loro agire comunicativo non sono cambiati, radicali erano e radicali restano, su FB non ci vanno, l'iPhone non lo usano, ma la loro comunicazione è potente, globale e locale, il loro orizzonte etico comportamentale è connesso con i sistemi viventi, con l'ambiente, col sistema pianeta: gran rispetto! Ho la sensazione infine che il conflitto continui, su piani paralleli e antagonisti, e che la sfera dell'immateriale sia il campo di battaglia decisivo. 
Concordo con Elisa, “Non il mezzo ma l'essenza vince sul tutto” . Tank you for this tag


Mario Esposito: ‎@ Elisa
non ne sono certo Elisa, perchè sono i modelli dominanti che finiscono per determinare i processi culturali e la loro evoluzione. A mio parere il "restare sospesi" e non lasciarsi trascinare è senz'altro una qualità del singolo, ma direi che il dialogo sia sempre importante con le relative analisi per iniettare nel sistema piccole dosi di "informazione omeopatica" come la chiamerebbe De Kerkhove.
Poi, ognuno sia quel che vuole (dove il "vuole" è un termine molto insidioso) e quel che è (e anche qui potremmo parlarne per ore, hehe). Ciao :-)
@ Paolo
Si, il problema è strutturale e riguarda proprio il "pensiero" e la sua supina sottomissione, forse definitiva, al potere economico e alla relativa logica. Cosa fare? Credo che non se ne uscirà e lo dico a malincuore. Aspettando la "next big app" :-)


Paolo Manzelli: Cito per una sintesi della situazione tra il dis-proroporzionamento attraverso il WEB.2 tra valori del mercato materiale e il valore dello sviluppo immateriale , il sequente sito:
  
http://www.slideshare.net/
michelevianello/web-20-e-g
overnment-regole-del-mondo-immat
eriale-maggio-2010
  
Da parte mia ho compreso fin dagli anni in cui ho iniziato ad interessarmi del rapporto tra beni materiali ed immateriali (1997) che era necessaria una profonda revisione scientifica e culturale capace di adeguare lo sviluppo alle nuove esigenze di comprensione della vita. 
  
Vedi ad es: Dal mondo dei Bit al mondo degli atomi http://www.edscuola.it/arc
hivio/lre/atomi.html
  
Anche oggi resto convinto che il nodo intellettuale da sciogliere sconsista essenzialmente nel superamento delle idee meccaniche che hanno dato dato origine alla societa industriale, al fine di procedere verso la realizzazione della nuova societa della conoscenza. Questa e la essenza del problema concettuale da condividere , che, per quanto di non immediata comprensione e' a mio avviso un processo di cambiamento ineluttabile per un reale rinnovo della societa e dello sviluppo. Paolo
vedi alcune idee e iniziative vedi in : www.edscuola.it/lre.html


Elisa Buratti: ‎@paolo..come fare?..è semplice..uscire dall'antropocentrismo e dall'arroganza..cosa gl'intellettuali di ogni genere e specie non faranno mai, perchè si ritroverebbero in un nulla da cui neanche jung potrebbe tirarli fuori..ehehe E' buffo vedere come sia impossibile accettare l'inosorabilità del limite di essere umani..
@mario...se il vino si confronta diventa aceto..se lo fa il mosto diventa vino. Processi..solo processi..ciao..:-)


Paolo Manzelli: Caro Mario ed amici , purtroppo con il pensiero debole si arriva a chiamare semplicemente "decrescita economica" la effettiva autodistruzione della vita del pianeta in cui viviamo.
Piu decisa e piu forte e' la necessita di cambiamento concettuale per modificare la struttura cognitiva di indole "meccanica" , che ha condotto a questo disastro della natura. Il meccanicismo ha essenzialmente contribuito alla separazione tra cultura e natura ; pertanto solo superando i limiti ed il riduzionismo delle concezioni meccaniche, potremo iniziare una inversione di tendenza che non e attuabile con il pensiero debole che rimane condizionato ed ancorato alle concezioni storicamente accettate . Paolo vedi ad es: cose che accadono tra il buio e la luce : http://www.edscuola.it/arc
hivio/lre/sole.pdf


Paolo Lapponi: Ringrazio tutti gli amici per questa discussione così ricca di spunti e stimoli. 
Attualmente tento, con personale pochezza, di seguire una linea di ricerca che non considera la “decrescita” (almeno nell'accezione di Latouche) una risposta efficace alla distruzione del pianeta (semmai apprezzo di più l'idea di limite creativo in Illich o Ruskin).  Cerco quindi di percorrere un sottile filo rouge che, partendo dalla “freccia del tempo” e dalle strutture dissipative di Prigoginiana (seppur recente) memoria, rivaluta e tiene assieme Renè Thom, Simondon, Cavalli Sforza, Frijot Capra, Cimatti et altri, e tenta un approccio positivo - nientaffatto da pensiero debole - della Katastrofè storica nella quale il sistema postindustriale “occidentale” ha fatto oramai il suo ingresso. Per seguire questa traccia occorre, io penso, un approccio fortemente interdisciplinare, in cui inserire anche una rilettura (per me) attualissima di quella critica al modello di cultura occidentale prodotta da Edward Said in “Orientalismo”.  Un contributo seppur sintetico ma utile penso sia in: www.facebook.com/no
te.php?note_id=31079363636
9
In un approccio più vasto, il concetto di organizzazione a “rete distribuita” assume ad ogni livello un'importanza sostanziale per la “potenza” che essa racchiude. Come pure l'idea che i Sistemi viventi (organizzati appunto a rete) possiedano una forza autopoietica tale da consentir loro di superare anche l'impatto con un enorme asteroide, e di più. Ringrazio molto Paolo Manzelli. Leggerò con calma il corposo saggio suggerito che mi sembra veramente assai interessante. Dal poco che intuisco rientra in pieno in ciò che vado cercando.  Buona domenica a tutti.


Mario Esposito: ‎@ Elisa
L'antropocentrismo e l'auto-referenzialità possono anche essere utili, ma in dosi equilibrate :-) La vita e la sua replicazione è autoreferenziale (vedi Maturana e l'autopoiesi), per cui tale componente è pressocchè necessaria e non può essere eliminata, nemmeno culturalmente. Il problema sorge quando ci rifugiamo nei dogmi e nelle credenze (i "paradogmi"), ma questo è un altro discorso e anche molto lungo. Un saluto :-)


Cristian Contini: wow che bella discussione alta, come sempre per altro quelle stimolate da Mario, che approfittiamo per ringraziare per includerci sempre in questi bei confronti..... 
  
Torniamo ora ora da un ottimo ritiro di meditazione vipassana dove per una decina di giorni ci si sottrae all'esterno da sè per entrare nel proprio spazio interno..e dove le tecnologie ed il contatto con il mondo sono volutamente sospesi..molto rinfrancante e davvero consigliabile per tutti noi addicted dalla Rete e dall'always-on, web o app che sia...:-) e quindi freschi freschi, da un altro pianeta, diamo il nostro umilissimo contributo...
Per quello che ci riguarda, al di la del pezzo di Anderson che come ben sappiamo sta facendo discutere tutto il bel mondo pensante della rete, ci sembra che nei new/next media, almeno a giudicare degli ultimi 100/50 anni, non è mai successo che un medium evoluto abbia soppiantato un altro ( la radio NON ha ucciso i giornali ne i libri, la tv NON ha ucciso la Radio, e la rete non ha -ancora-ucciso radio-tv-e giornali..).
La rete non è mai stata solo WEB ,(USENET,e le emails, un esempio per tutti) e la dirompente fantastica rivoluzione dei Social media e dei Social networks ha aggiunto possibilità , non ha levato... ed a meno che nei prossimi anni non ci sia una "next big thing" che sia a più "alta risoluzione" da soppiantare tutto..e naturalmente pensiamo a mondi immersivi, interfacce sensoriali-neuronali e via via ipotizzando, per ora avremo un mondo in rete fatto di web e di app, di conversazioni sociali e di mobilità...di Skype e di Second Life ....e di Attention Disease Disorder e di Internet Addiction Disorder:-)
Il web, va detto, usa ancora la metafora decisamente limitata e superata della pagina cartacea stampata, per quanto interattiva e multimediale ( le "pagine web") cosa che il sistema delle app ( grazie grazie grazie Apple per il lavoro di cambio di paradigma) scardina e rifrulla come nuovi modi di fruire gli stessi dati. Si pensi solo alle app meteo: i dati sono gli stessi magari ripresi dallo stesso sito ( accuweather) ma ripresentati in N modi per accontentare N segmenti, N nicchie, in N- INTERFACCIE come da "long tail theory"... Detto questo...oggi abbiamo reso un settantenne non connesso, non computerizzato,l'uomo più felice del mondo.
Il sorriso da bimbo del babbo ( negli anni ci aveva sempre accusato di non "avergli mai insegnato i computer" nonostante i mac e le ore di training :-) che se ne andava via con il suo nuovissimo iPad Wifi+3g ( iDad?) sotto il braccio era impagabile.
Un computer semplice, usabile , e connesso che un "primitivo digitale" ha capito al primo touch...e da questo punto di vista, il paradigma delle app+interfaccia touch vince su tutta la linea.


Mario Esposito: eh si proprio così, ma resta il grande dubbio : chi vince ha sempre "ragione"? :-)
La faccia felice del "nonno" può essere una risposta, ma... resta la domanda in tutta la sua problematicità.
Tutto evolve e ben venga, anzi DEVE, ma l'uso della tecnologia deve sempre farci riflettere sia su COSA ci facciamo sia COME lo facciamo.
Ma mi rendo perfettamente conto che nel momento stesso che ne parliamo la "faccenda" diventa in sé per i più "irrilevante" poiché l'uso e la sua "facilità" sopravanza ogni pensiero sull'uso stesso.
Questo è il senso del post di Anderson e il senso dell'uso delle Apps che hanno soppiantato il Web.
Nessuna nostalgia, dunque, ma consapevolezza di una evoluzione meno aperta di quello che alcuni o tanti di noi avrebbero auspicato. Grazie dell'intervento Cristian, forte l'iDad :-)


Graziano Terenzi: Grazie Mario come sempre per le tue interessanti discussioni. 
Pensare a Internet, e in particolare alla sua Apertura/Chiusura in termini di metafore socio/politiche (collettivistico/privatist
ico), se da un lato è utile perchè mette in evidenza alcune tendenze in atto nel mondo delle nuove tecnologie, dall'altro però non rende giustizia della complessità della Rete. 
Da una parte infatti, l'apertura permette in sè la chiusura, mentre non è vero il contrario. Anche se sarebbe opportuno chiarirsi su cosa si intenda con il termine "chiuso" o "privato", non mi sorprende che una mentalità accentratrice, orientata al "chiuso" e al "privato" possa trovare spazio e in alcuni casi persino prevalere nel web. Non mi sorprende nemmeno che questo approccio possa essere di grande successo allorchè si trovino formule, come nel caso di Facebook, che in realtà vincono proprio in virtù del fatto che legano assieme in un contesto aperto milioni di persone che hanno l'impressione di poter interagire e di non essere isolate. Questo, come giustamente rileva Cristian, non è un male e non l'unica delle possibili evoluzioni di internet. Facebook, Google e Apple non nascono come il frutto di un investimento mirato a controllare milioni di persone, anche se la loro futura evoluzione potrebbe eventualmente degenerare in questo. Se qualcuno è in grado di fornire un servizio utile ed efficiente a milioni di persone ben venga. Con buone idee, competenze e capitali si può arrivare in alto, anche se non ci sono solo "rose e fiori" le conseguenze di ciascuna scelta.  Dall'altra parte, bisogna sempre tenere sott'occhio l'evoluzione della rete in funzione di eventuali interventi istituzionali mirati a "regolarne" l'uso e l'accesso. Questo, si, è un problema di altro ordine e di grande rilevanza pubblica e sociale.


Gianluigi Colaiacomo: L'idea principale del web e' la navigazione interattiva tramite i link, e questa si e' conservata nelle applicazioni presenti e future. Dal punto di vista tecnologico l'infrastruttura di base e' stata fornita dalle comunicazioni http dai browser ai server, e anche questo mi sembra che si stia conservando ed evolvendo molto bene. Quindi, alla fine, voler decretare la fine del web sembra piu' che altro un trucco giornalistico. Ma tant'e' ... 
Per me il vero problema resta la contrapposiizione tra contenuti liberi o meno. Tra l'accesso gratuito o no. Insomma una battaglia politica ed economica tra le diverse fazioni. (a proposiito, mi sembra di aver letto che lo stesso Google si appresta a separare l'utilizzo di serie-B, gratuito, da quello di serie-A, a pagamento). In seconda battuta, viene anche il problema ricordato da Mario. Cioe' il COSA facciamo con la tecnologia, e anche il COME lo facciamo. Ed e' giusto continuare a rifletterci perche' sono problemi dai forti risvolti etici e naturalmente si sovrappongono in parte anche col problema della liberta' di cui sopra.


Mario Esposito: Indubbiamente, quella di Anderson è stata una provocazione :-)
Ad ognuno di noi poi le sue riflessioni e le proprie consapevoli strategie di comunicazione tenendo conto del COSA e del COME che ha appena ricordato Gianluigi.
Nel corso della storia sono fallite tante idee (e tecnologie) e se ne sono affermate solo una parte tra le varie possibili, in non pochi casi solo una ha prevalso su tutte: ovviamente, come avrete intuito, il problema - che non è detto che sia tale in senso "drammatico" (dipende dai punti di vista) - è il ruolo che hanno avuto, hanno ed avranno quei 500 milioni di utenti di Facebook (domani magari 1 miliardo...) in tale processo di concentrazione (analogamente per Google anche se in altri ambiti).
L'usabilità della tecnologia, il suo essere "user friendly" e via dicendo, non devono farci mai dimenticare che che "nulla è gratis" e che il prezzo che paghiamo è la nostra sempre più approfondita "mappabilità".
Fin quando tale mappabilità riguarda solo i banner pubblicitari personalizzati, direi che potrebbe essere un prezzo quasi-equo, ma ho la sensazione che non sia così trasparente la gestione dei nostri dati...
In genere si vede l' "orco" solo quando si parla di governo e di regolamentazione, postulando invece che il "libero mercato" abbia sempre ragione. Su questo aspetto il mio suggerimento è di essere sempre molto attenti ad entrambi i fronti.
Un saluto a tutti :-)


FINE PRIMA PARTE

Riporto la traduzione del SOLE 24 ORE dell'articolo di Chris Anderson:


"Ti svegli e controlli l'e-mail nel tuo Ipad accanto al letto – ecco un'applicazione. Mentre fai colazione, apri Facebook, Twitter, e il New York Times – altre tre applicazioni. Mentre vai in ufficio, ascolti un podcast nel tuo smartphone. Un'altra applicazione. Al lavoro, dai un'occhiata ai feed RSS nel loro lettore e comunichi con Skype e IM. Altre applicazioni. Alla fine della giornata, torni a casa, ceni ascoltando Pandora, giochi con la Xbox Live e guardi un film sul servizio di streaming di Netflix. Hai trascorso tutto il giorno su Internet - ma non sul Web. E non sei l'unico. Non è una differenza di poco conto.
Negli ultimissimi anni, uno dei cambi più importanti nel mondo digitale è l'evoluzione dal Web aperto a piattaforme quasi chiuse che usano internet per veicolare l'informazione, ma non usano il browser per la visualizzazione. Ciò è in primo luogo dovuto al successo del modello di mobile computing iPhone, ed è un mondo in cui Google non può insinuarsi, e dove non regna l'HTML. Ed è il mondo che i consumatori scelgono sempre di più, non perché rifiutino l'idea del Web, ma perché queste piattaforme specializzate spesso funzionano semplicemente meglio oppure si adattano meglio alle loro vite (lo schermo va a loro, non devono andare loro allo schermo). Il fatto che sia più semplice per le imprese guadagnare con queste piattaforme non fa altro che rafforzare il trend. Produttori e consumatori si trovano d'accordo: il Web non è il culmine della rivoluzione digitale.
Dieci anni fa, l'ascesa del Web browser come centro del mondo informaticoappariva come qualcosa di inevitabile. Sembrava solo questione di tempo perché il Web sostituisse i software applicativi dei PC e riducesse i sistemi operativi a "set di driver di basso perfezionamento" , come notoriamente ha detto il cofondatore di Netscape Marc Andreessen. Prima Java, poi Flash, quindi Ajax, e dopo ancora HTML5 – un codice online sempre più interattivo – promettevano di oscurare tutte le applicazioni e trasformare il desktop in un web top. Pubblico, libero, e fuori controllo. Ma c'è sempre stato un percorso alternativo, che vedeva il Web come uno strumento valido, ma non come l'intera gamma di strumenti possibili. Nel 1997, Wired pubblicò l'ormai famigerato articolo di copertina "Push!", nel quale si sosteneva che fosse l'ora di "dare il bacio d'addio al browser". La teoria era che le tecnologie "push" come PointCast e l'Active Desktop di Microsoft avrebbero creato "un futuro radicalmente diverso di media al di là del Web". «Di certo avremo sempre delle pagine Web. Abbiamo ancora le cartoline e i telegrammi, o no? Ma il centro dei media interattivi – sempre di più, il centro di gravità di tutti i media – si sta spostando verso un ambiente post-HTML», assicurammo quasi 15 anni fa. Gli esempi dell'epoca erano un po' sciocchi - uno spazio in 3D da realtà virtuale alla Furry-MUCK, e «i titoli delle notizie inviati a dei cercapersone» - ma il punto fondamentale era nel complesso rivelatore: uno sguardo verso il futuro macchina a macchina in cui più che navigare si tratta di prendere qualcosa".
(Chris Anderson, Wired.com, traduzione Il Sole 24 Ore)



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domenica 22 agosto 2010

Critiche a Kurzweil e alla sua ipotesi di retro-ingegnerizzazione del cervello

In attesa di concludere la serie di post "coincidentia oppositorum e altre riflessioni sulla (nostra) instabilità" (prometto che lo farò a breve...) con l'ultima e quarta parte, comincio a postare da questo blog gli articoli che considero di un qualche rilievo e che in genere mi limito a postare su Facebook.
L'input alla riflessione su Web e applicazioni chiuse come Facebook mi è venuto dall'articolo di Chris Anderson "The Web is dead. Long live the Internet" e da quello di Michael Wolff sempre all'interno della stessa pagina di Wired.com.

Diciamo che cercherò di riequilibrare il flusso delle mie opinioni ed articoli tra blog e Facebook, anche considerato che tramite "Networkedblogs" gli articoli di questo blog confluiscono in automatico su FB.
Ritengo importante però che l'origine delle segnalazioni che considero più "valide" o "interessanti" provenga da fuori Facebook.
Incomincio con una accesa dialettica che è iniziata negli USA a seguito del Singularity Summit tenutosi a San Francisco il 14 e 15 agosto scorsi ed in cui Ray Kurzweil ha esposto le sue tesi sulla possibile "retro-ingegnerizzazione" del cervello. In un articolo intitolato "Ray Kurzweil does not understand the brain" il biologo PZ Myers ha criticato duramente l'ipotesi di "comprimere in un programma software" il funzionamento di un organo complesso come il cervello.
In particolare, Myers - biologo alla Università di Minnessota - afferma:


"Kurzweil knows nothing about how the brain works. It's design is not encoded in the genome: what's in the genome is a collection of molecular tools wrapped up in bits of conditional logic, the regulatory part of the genome, that makes cells responsive to interactions with a complex environment (...) The genome is not the program; it's the data. The program is the ontogeny of the organism, which is an emergent property of interactions between the regulatory components of the genome and the environment, which uses that data to build species-specific properties of the organism. He doesn't even comprehend the nature of the problem, and here he is pontificating on magic solutions completely free of facts and reason".


Kurzweil ha risposto repentinamente in questo articolo in cui fonda il suo ragionamento sulla ridondanza dei patterns cerebrali, sul fatto che "the information in the genome constrains the amount of information in the brain prior to the brain’s interaction with its environment" (quindi l'ipotesi forte è che c'è un hardware e un software innato che condiziona nel profondo e a monte l'interazione del cervello con l'ambiente), infine sulla esponenziale crescita delle capacità di calcolo.
Si parla poco di emergenza semantica radicale, però. 
Fin quando, però, un "robot" non creerà significati nuovi del mondo che osserva saremo ancora in alto mare e soprattutto di fronte a "qualcosa di non umano" anche se potrà essere "intelligente".




In questa diatriba, una bella osservazione sulla difficile (se non impossibile) "zippabilità del cervello" in un programma informatico la fa Hank Campbell in questo articolo intitolato "After The Singularity, Music Quality Will Be Even Crappier Than It Is Now"dove afferma che la digitalizzazione della musica ha peggiorato la qualità sonora della riproduzione (vedi il grafico che ho ripreso dall'articolo di Campbell) e che analogamente nella compressione digitale del cervello si perderà inevitabilmente qualcosa, cosicchè da realizzare qualcosa di diverso e qualitativamente inferiore all'originale.
L'analogico non è dunque comprimibile del tutto nel digitale già per la musica, figuriamoci per quell'organo straordinariamente complesso (ma non tanto per Kurzweil) che è il nostro cervello.



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