Pubblico di seguito la prima parte di una discussione ancora in corso sul mio profilo Facebook innescata dall'articolo di Chris Anderson "The Web is dead. Long live the Internet". L'ottica è di creare una osmosi positiva tra FB ed il blog. Buona lettura.
Franco Folini : Per correttezza storica, la visione di un uso di internet mediato dalle applicazioni venne promossa per per la prima volta nel 2001-2003 da Microsoft con la tecnologia .NET con l'idea dei web-services e dei clients desktop. La MS visione era in anticipo sui tempi e infatti venne dismessa. All'epoca molti pensavano che abbandonare il browser per un'application fosse sbagliato e fosse di fattoun ritorno ai sistemi proprietari monopiattaforma (e infatti cosi' e'). Jeff Jarvis (se ricordo bene) sostieneche le applications sono come suburbia: aree protette, anestetizzate, con accesso controllato. Il mondo fuori da suburbia e' molto piu' vivo e interessante! Non posso che essere d'accordo. Lunga vita al browser!
Mario Esposito: ciao Franco! Ogni tanto ci incrociamo :-) Sai quale è la "storia" secondo me? Le applicazioni, come ad es. Facebook e Twitter, sono facili da usare e "cazzeggio-oriented" per cui sopperiscono in maniera immediata ai vuoti della vita sociale "reale". Lo strumento in sé può essere usato anche in maniera "intelligente", ma prevale a mio parere un successo del primo tipo e pertanto a chi li usa nemmeno importa "chi c'è dietro", la privacy, ecc. E' un "gioco collettivo" a cui si partecipa giocoforza perchè ESISTE. Se vai sulla traduzione del Sole 24Ore dei due articoli non c'è al momento un solo tweet o un fb share... Strano no? Anzi forse no :-)
Gianluca Garrapa: pensa che quel "tutto-o-niente" è la logica dicotomica del potere e per un ethos paritario dovremmo superarci davvero come umani... come al solito la patologia del denaro rende arcaica ogni possibile idea di reale futuro e miglioramento globale.
Bianca Decio: non dimentichiamo la facilità d'uso delle applicazioni: conosco persone che sono in grado di girare su facebook ma non sul web!
Mario Esposito: ciao Gianluca, bentornato! :-) Si, le statistiche sulla concentrazione del traffico parlano chiaro... Anche se poi siti come techcrunch.com hanno enfatizzato che considerando i dati Cisco anche sui video il Web recupera. Mi sembra una "consolazione" un pò magra :-)
Franco Folini: @Mario: lasciami riportare per un attimo il discorso sul piano tecnico. A mio parere i fattori che spaventano/allontanano i neofiti (e cazzeggiatori) dal web: (1) primitivita' e poverta' dell'HTML (HTML+CSS+JS e' un sistema vecchio, inutilmente complesso, inaffidabile, difficile da usare e capire), (2) pericolosita' del web: virus, furto d'identita', (3) difficolta' e pericolosita' nel navigare il web (siti di spam, siti fittizzi, ecc.) (4) il pessimo lavoro fatto da Google nel separare il grano dal loglio ritornando alle nostre search links spazzatura in gran quantita'. Detto questo continuo a preferire il web e la liberta' che mi offre alle applicazioni chiuse del mio iPhone!
Mario Esposito: Certo, ma purtroppo gran parte dei "nativi digitali", che non sono solo i nostri adolescenti e giovani ma anche molti 30-40-50-60 ecc. "enni" che sono NATI digitalmente con Facebook, vivono nei confini delle applicazioni. La pesca è stata grossa :-)
Gianluigi Colaiacomo: penso che la battaglia per l'accesso libero sia ancora tutta da giocare. E la differenza tra applicazioni e web e' fittizia. Il web stesso e' un'applicazione anzi, un'applicazione di grande successo. Certo e' datata, ma molte delle sue carateristiche migrano e si evolvono nelle altre applicazioni (accesso a server remoti con indirizzamento opportuno, interfaccia utente che gira su qualunque piattaforma, facilita' d iintegrazione per dati e applicazioni, etc.). La battaglia si giochera' sui modelli di business che i grandi capitali riusciranno a realizzare per garantire alti rendimenti contrapposti a quelli delle associazioni "open" che utilizzeranno web, applicazioni e quant'altro la tecnologia ci portera'.
Gino Tocchetti: tutta questa differenza tra web e apps mi lascia perplesso: se dovessi esprimermi in termini di dicotomia (ma preferirei piuttosto una lettuta piu' sfumata) e' tra applicazioni aperte e applicazioni chiuse. Anche il web e' un'app (concordocon gianluigi), solo che e' aperta al massimo; il successo dei primi social network ha sdoganato le app piu' chiuse (tutti ricordiamo il cambio di paradigma nel passaggio dalla blogosfera galattica, ai pianeti ryze ecademy linkedin...). Piu' recenemente abbiamo attraversato la stagione dei web services "aperti", pensati cioe' per potenziare e semplificare il web, senza ridurre il livello di apertura e senza introdurre grumi di controllo (penso a wordpress, delicious, technorati, disquis e moltissimi altri piu' specializzati). E' stata la stagione dell'opensource, dei microformati e dei protocolli aperti, non dimentichiamo. E' stata anche la stagione del free, e della ricerca di modelli di business ispirati a concetti di economia del dono. Tutta una serie di fattori interni (esigenze degli utenti di nuova genrazione, sempre meno tecnologici, mancanza di profitto e rischio di nuove bolle speculative...) ed esterni (crisi finanziaria innanzitutto), spinge adesso verso app piu' chiuse, controllate, protette ed economiche vantaggiose. Sinceramente tutta questa pretesa di Wired di aver predetto 15 anni fa l'attuale evoluzione di internet, mi sembra, per usare un gergo tecnico, una pisciata fuori dal vaso. Cosi' come per i personal computer, che erano inizialmente scatole nere con software proprietario e programmato per essere lockin-in (dos, vbasic, activex... access), e poi e' arrivato linux, apache, php... mysql, in modo analogo (pur con differenze), avremo probabilmente "prima" una diffusione della tecnologia hardware basata su standard proprietari, e grazie a modelli di business orientati al profitto (anche per ripagare gli investimenti iniziali infrastrutturali), e poi l'esplosione di servizi e componenti che sposteranno, anche sui nuovi device, via via l'attenzione ai benefici intangibili e non prezzabili.
Mario Esposito: secondo me il Web è stata una idea più che una applicazione e quella idea è ampiamente alle nostre spalle. La sostanza del discorso di Anderson non è tanto nella previsione del trend quanto nel fatto che quella idea di sviluppo è "fallita" per lasciare il posto alla internet fatta da applicazioni prevalentemente chiuse dove c'è l' "illusione" di essere tutti più "vicini", ma dove invece il fenomeno è che siamo tutti sulla stessa apps proprietaria (monitorati e merce di scambio inconsapevole). Questa è la CONSTATAZIONE, che dal mio punto di vista è quanto mai realistica. Il giudizio critico di questo fenomeno non è stato ancora discusso, a mio parere, a sufficienza.
Elisa Buratti: il web, le app, l'ipermercato, il reiki, la dieta mediterranea, lo shopping...ogni cosa/idea/ app o non, ha a che fare con l'umano. Nell'umano vige la regola che vige per il resto e cioè che il pesante va in basso e trascina con sè parte di tutto. Restare sospesi, non farsi portare giù, essere vino e non feccia, essere nella potenza e non nel potere non è nè sociale, nè esportabile, nè imparabile. O lo sei o non lo sei. Non il mezzo ma l'essenza vince sul tutto. Qualunque tutto esso sia. Tante analisi non servono perchè è sempre la stessa identica zuppa...:-))
Paolo Manzelli: Sappiamo dalla storia come l' interazione spontanea delle masse senza una guida concettuale innovativa comporta un adeguamento delle idee al mercato e di conseguenza alla decadenza di ideali a cui consegue la decadenza dei costumi, la corruzione morale, il degrado ambientale, ecc. Putroppo mentre il mercato ha saputo sfruttare la occasione di internet come nuova fonte di profitto, la elite intellettuale non ha saputo veicolare idee innovative nel quadro delle nuove opportunita di comunicazione di internet, cosi che il degrado intellettuale utile e con esso quello politico al all' economia di mercato ha preso nuovamente il sopravvento anche in questa fase della storia. Cosa fare ora ????? Quali soluzioni trovare ????
Paolo Lapponi: Appartengo a una generazione che iniziò ad utilizzare la rete più di 20 anni fa nella PA italiana in istituti di ricerca di medicina e biologia. Da subito l'impatto fu conflittuale sulla metodologia realizzativa di un cablaggio strutturale, ove gli “ingegneri informatici”, gli alti dirigenti dei nostri Enti Pubblici, si trovarono di fronte giovani piskelli (ai quali fornivo camicie e cravatte prima delle riunioni) che li inchiodavano al muro dell'inefficacia e dei costi delle gerarchie verticali proposte dai Server Microsoft NT. Pochi serverini Unix di bassissimo costo realizzavano quell'architettura distribuita che garantiva sicurezza, performance ed alta connettività (by Terminal Adapter) a decine di laboratori semplicemente connesso a un 486 unix presso il CASPUR di Roma che girava ininterrottamente per anni con minima manutenzione. E garantiva al contempo H24 il controllo delle tecnologie delle curve del freddo, lo storage biologico (crioconservazione in N2 liquido, cellule staminali, preziosi cloni cellulari), il controllo e gestione dell'Automazione della “macchina dura” in genetica molecolare, in HPLC, in nefelometria, in PRC, nei controlli di qualità, condivisione dati in tempo reale, realizzazione di Intranet ed Extranet, comunicazione globale tra ricercatori, realizzazione dei prototipi in grafica 3D dinamica dei recettori molecolari … era il sogno proposto da Negroponte, il Palazzo Intelligente, era anche il sogno dei network biologici come prototipi delle “reti neurali” (da Mc Farlane Burnett a Domenico Parisi). Sul piano delle architetture di rete il conflitto fu vinto alla grande dai piskelli (i 40enni di oggi), la rete era appannaggio degli APACHE, gli applicativi li sceglievano noi (come Eudora versus Explorer etc). Tuttavia, sul piano culturale generale le cose come al solito andarono diversamente, specie nel nostro paese, ove tra l'altro gli Istituti di Ricerca della PA sono stati affossati. Ammetto che oggi mi trovo disorientato. Selezionare nell'iperidondanza del Web 2.0 e successive modificazioni è per me di estrema fatica. Così, paradossalmente, FB mi viene in aiuto, mi semplifica la scelta, mi rende più chiaro lo stato dell'arte e le possibilità di contatti e approfondimenti, mi conforta nel giudizio su H/W chiusi come iPhone. Ma appartengo a un'altra generazione, formatasi nel marxiano “sviluppo delle forze produttive” e un po' invecchiata. Perciò, dall'altro lato della spirale, sento la necessità di rimanere sempre in contatto stretto con i piskelli di allora. La loro opinione e il loro agire comunicativo non sono cambiati, radicali erano e radicali restano, su FB non ci vanno, l'iPhone non lo usano, ma la loro comunicazione è potente, globale e locale, il loro orizzonte etico comportamentale è connesso con i sistemi viventi, con l'ambiente, col sistema pianeta: gran rispetto! Ho la sensazione infine che il conflitto continui, su piani paralleli e antagonisti, e che la sfera dell'immateriale sia il campo di battaglia decisivo.
Concordo con Elisa, “Non il mezzo ma l'essenza vince sul tutto” . Tank you for this tag
Mario Esposito: @ Elisa
non ne sono certo Elisa, perchè sono i modelli dominanti che finiscono per determinare i processi culturali e la loro evoluzione. A mio parere il "restare sospesi" e non lasciarsi trascinare è senz'altro una qualità del singolo, ma direi che il dialogo sia sempre importante con le relative analisi per iniettare nel sistema piccole dosi di "informazione omeopatica" come la chiamerebbe De Kerkhove.
Poi, ognuno sia quel che vuole (dove il "vuole" è un termine molto insidioso) e quel che è (e anche qui potremmo parlarne per ore, hehe). Ciao :-)
@ Paolo
Si, il problema è strutturale e riguarda proprio il "pensiero" e la sua supina sottomissione, forse definitiva, al potere economico e alla relativa logica. Cosa fare? Credo che non se ne uscirà e lo dico a malincuore. Aspettando la "next big app" :-)
Paolo Manzelli: Cito per una sintesi della situazione tra il dis-proroporzionamento attraverso il WEB.2 tra valori del mercato materiale e il valore dello sviluppo immateriale , il sequente sito:
http://www.slideshare.net/ michelevianello/web-20-e-g overnment-regole-del-mondo-immat eriale-maggio-2010
Da parte mia ho compreso fin dagli anni in cui ho iniziato ad interessarmi del rapporto tra beni materiali ed immateriali (1997) che era necessaria una profonda revisione scientifica e culturale capace di adeguare lo sviluppo alle nuove esigenze di comprensione della vita.
Vedi ad es: Dal mondo dei Bit al mondo degli atomi http://www.edscuola.it/arc hivio/lre/atomi.html
Anche oggi resto convinto che il nodo intellettuale da sciogliere sconsista essenzialmente nel superamento delle idee meccaniche che hanno dato dato origine alla societa industriale, al fine di procedere verso la realizzazione della nuova societa della conoscenza. Questa e la essenza del problema concettuale da condividere , che, per quanto di non immediata comprensione e' a mio avviso un processo di cambiamento ineluttabile per un reale rinnovo della societa e dello sviluppo. Paolo
vedi alcune idee e iniziative vedi in : www.edscuola.it/lre.html
Elisa Buratti: @paolo..come fare?..è semplice..uscire dall'antropocentrismo e dall'arroganza..cosa gl'intellettuali di ogni genere e specie non faranno mai, perchè si ritroverebbero in un nulla da cui neanche jung potrebbe tirarli fuori..ehehe E' buffo vedere come sia impossibile accettare l'inosorabilità del limite di essere umani..
@mario...se il vino si confronta diventa aceto..se lo fa il mosto diventa vino. Processi..solo processi..ciao..:-)
Paolo Manzelli: Caro Mario ed amici , purtroppo con il pensiero debole si arriva a chiamare semplicemente "decrescita economica" la effettiva autodistruzione della vita del pianeta in cui viviamo.
Piu decisa e piu forte e' la necessita di cambiamento concettuale per modificare la struttura cognitiva di indole "meccanica" , che ha condotto a questo disastro della natura. Il meccanicismo ha essenzialmente contribuito alla separazione tra cultura e natura ; pertanto solo superando i limiti ed il riduzionismo delle concezioni meccaniche, potremo iniziare una inversione di tendenza che non e attuabile con il pensiero debole che rimane condizionato ed ancorato alle concezioni storicamente accettate . Paolo vedi ad es: cose che accadono tra il buio e la luce : http://www.edscuola.it/arc hivio/lre/sole.pdf
Paolo Lapponi: Ringrazio tutti gli amici per questa discussione così ricca di spunti e stimoli.
Attualmente tento, con personale pochezza, di seguire una linea di ricerca che non considera la “decrescita” (almeno nell'accezione di Latouche) una risposta efficace alla distruzione del pianeta (semmai apprezzo di più l'idea di limite creativo in Illich o Ruskin). Cerco quindi di percorrere un sottile filo rouge che, partendo dalla “freccia del tempo” e dalle strutture dissipative di Prigoginiana (seppur recente) memoria, rivaluta e tiene assieme Renè Thom, Simondon, Cavalli Sforza, Frijot Capra, Cimatti et altri, e tenta un approccio positivo - nientaffatto da pensiero debole - della Katastrofè storica nella quale il sistema postindustriale “occidentale” ha fatto oramai il suo ingresso. Per seguire questa traccia occorre, io penso, un approccio fortemente interdisciplinare, in cui inserire anche una rilettura (per me) attualissima di quella critica al modello di cultura occidentale prodotta da Edward Said in “Orientalismo”. Un contributo seppur sintetico ma utile penso sia in: www.facebook.com/no te.php?note_id=31079363636 9
In un approccio più vasto, il concetto di organizzazione a “rete distribuita” assume ad ogni livello un'importanza sostanziale per la “potenza” che essa racchiude. Come pure l'idea che i Sistemi viventi (organizzati appunto a rete) possiedano una forza autopoietica tale da consentir loro di superare anche l'impatto con un enorme asteroide, e di più. Ringrazio molto Paolo Manzelli. Leggerò con calma il corposo saggio suggerito che mi sembra veramente assai interessante. Dal poco che intuisco rientra in pieno in ciò che vado cercando. Buona domenica a tutti.
Mario Esposito: @ Elisa
L'antropocentrismo e l'auto-referenzialità possono anche essere utili, ma in dosi equilibrate :-) La vita e la sua replicazione è autoreferenziale (vedi Maturana e l'autopoiesi), per cui tale componente è pressocchè necessaria e non può essere eliminata, nemmeno culturalmente. Il problema sorge quando ci rifugiamo nei dogmi e nelle credenze (i "paradogmi"), ma questo è un altro discorso e anche molto lungo. Un saluto :-)
Cristian Contini: wow che bella discussione alta, come sempre per altro quelle stimolate da Mario, che approfittiamo per ringraziare per includerci sempre in questi bei confronti.....
Torniamo ora ora da un ottimo ritiro di meditazione vipassana dove per una decina di giorni ci si sottrae all'esterno da sè per entrare nel proprio spazio interno..e dove le tecnologie ed il contatto con il mondo sono volutamente sospesi..molto rinfrancante e davvero consigliabile per tutti noi addicted dalla Rete e dall'always-on, web o app che sia...:-) e quindi freschi freschi, da un altro pianeta, diamo il nostro umilissimo contributo...
Per quello che ci riguarda, al di la del pezzo di Anderson che come ben sappiamo sta facendo discutere tutto il bel mondo pensante della rete, ci sembra che nei new/next media, almeno a giudicare degli ultimi 100/50 anni, non è mai successo che un medium evoluto abbia soppiantato un altro ( la radio NON ha ucciso i giornali ne i libri, la tv NON ha ucciso la Radio, e la rete non ha -ancora-ucciso radio-tv-e giornali..).
La rete non è mai stata solo WEB ,(USENET,e le emails, un esempio per tutti) e la dirompente fantastica rivoluzione dei Social media e dei Social networks ha aggiunto possibilità , non ha levato... ed a meno che nei prossimi anni non ci sia una "next big thing" che sia a più "alta risoluzione" da soppiantare tutto..e naturalmente pensiamo a mondi immersivi, interfacce sensoriali-neuronali e via via ipotizzando, per ora avremo un mondo in rete fatto di web e di app, di conversazioni sociali e di mobilità...di Skype e di Second Life ....e di Attention Disease Disorder e di Internet Addiction Disorder:-)
Il web, va detto, usa ancora la metafora decisamente limitata e superata della pagina cartacea stampata, per quanto interattiva e multimediale ( le "pagine web") cosa che il sistema delle app ( grazie grazie grazie Apple per il lavoro di cambio di paradigma) scardina e rifrulla come nuovi modi di fruire gli stessi dati. Si pensi solo alle app meteo: i dati sono gli stessi magari ripresi dallo stesso sito ( accuweather) ma ripresentati in N modi per accontentare N segmenti, N nicchie, in N- INTERFACCIE come da "long tail theory"... Detto questo...oggi abbiamo reso un settantenne non connesso, non computerizzato,l'uomo più felice del mondo.
Il sorriso da bimbo del babbo ( negli anni ci aveva sempre accusato di non "avergli mai insegnato i computer" nonostante i mac e le ore di training :-) che se ne andava via con il suo nuovissimo iPad Wifi+3g ( iDad?) sotto il braccio era impagabile.
Un computer semplice, usabile , e connesso che un "primitivo digitale" ha capito al primo touch...e da questo punto di vista, il paradigma delle app+interfaccia touch vince su tutta la linea.
Mario Esposito: eh si proprio così, ma resta il grande dubbio : chi vince ha sempre "ragione"? :-)
La faccia felice del "nonno" può essere una risposta, ma... resta la domanda in tutta la sua problematicità.
Tutto evolve e ben venga, anzi DEVE, ma l'uso della tecnologia deve sempre farci riflettere sia su COSA ci facciamo sia COME lo facciamo.
Ma mi rendo perfettamente conto che nel momento stesso che ne parliamo la "faccenda" diventa in sé per i più "irrilevante" poiché l'uso e la sua "facilità" sopravanza ogni pensiero sull'uso stesso.
Questo è il senso del post di Anderson e il senso dell'uso delle Apps che hanno soppiantato il Web.
Nessuna nostalgia, dunque, ma consapevolezza di una evoluzione meno aperta di quello che alcuni o tanti di noi avrebbero auspicato. Grazie dell'intervento Cristian, forte l'iDad :-)
Graziano Terenzi: Grazie Mario come sempre per le tue interessanti discussioni.
Pensare a Internet, e in particolare alla sua Apertura/Chiusura in termini di metafore socio/politiche (collettivistico/privatist ico), se da un lato è utile perchè mette in evidenza alcune tendenze in atto nel mondo delle nuove tecnologie, dall'altro però non rende giustizia della complessità della Rete.
Da una parte infatti, l'apertura permette in sè la chiusura, mentre non è vero il contrario. Anche se sarebbe opportuno chiarirsi su cosa si intenda con il termine "chiuso" o "privato", non mi sorprende che una mentalità accentratrice, orientata al "chiuso" e al "privato" possa trovare spazio e in alcuni casi persino prevalere nel web. Non mi sorprende nemmeno che questo approccio possa essere di grande successo allorchè si trovino formule, come nel caso di Facebook, che in realtà vincono proprio in virtù del fatto che legano assieme in un contesto aperto milioni di persone che hanno l'impressione di poter interagire e di non essere isolate. Questo, come giustamente rileva Cristian, non è un male e non l'unica delle possibili evoluzioni di internet. Facebook, Google e Apple non nascono come il frutto di un investimento mirato a controllare milioni di persone, anche se la loro futura evoluzione potrebbe eventualmente degenerare in questo. Se qualcuno è in grado di fornire un servizio utile ed efficiente a milioni di persone ben venga. Con buone idee, competenze e capitali si può arrivare in alto, anche se non ci sono solo "rose e fiori" le conseguenze di ciascuna scelta. Dall'altra parte, bisogna sempre tenere sott'occhio l'evoluzione della rete in funzione di eventuali interventi istituzionali mirati a "regolarne" l'uso e l'accesso. Questo, si, è un problema di altro ordine e di grande rilevanza pubblica e sociale.
Gianluigi Colaiacomo: L'idea principale del web e' la navigazione interattiva tramite i link, e questa si e' conservata nelle applicazioni presenti e future. Dal punto di vista tecnologico l'infrastruttura di base e' stata fornita dalle comunicazioni http dai browser ai server, e anche questo mi sembra che si stia conservando ed evolvendo molto bene. Quindi, alla fine, voler decretare la fine del web sembra piu' che altro un trucco giornalistico. Ma tant'e' ...
Per me il vero problema resta la contrapposiizione tra contenuti liberi o meno. Tra l'accesso gratuito o no. Insomma una battaglia politica ed economica tra le diverse fazioni. (a proposiito, mi sembra di aver letto che lo stesso Google si appresta a separare l'utilizzo di serie-B, gratuito, da quello di serie-A, a pagamento). In seconda battuta, viene anche il problema ricordato da Mario. Cioe' il COSA facciamo con la tecnologia, e anche il COME lo facciamo. Ed e' giusto continuare a rifletterci perche' sono problemi dai forti risvolti etici e naturalmente si sovrappongono in parte anche col problema della liberta' di cui sopra.
Mario Esposito: Indubbiamente, quella di Anderson è stata una provocazione :-)
Ad ognuno di noi poi le sue riflessioni e le proprie consapevoli strategie di comunicazione tenendo conto del COSA e del COME che ha appena ricordato Gianluigi.
Nel corso della storia sono fallite tante idee (e tecnologie) e se ne sono affermate solo una parte tra le varie possibili, in non pochi casi solo una ha prevalso su tutte: ovviamente, come avrete intuito, il problema - che non è detto che sia tale in senso "drammatico" (dipende dai punti di vista) - è il ruolo che hanno avuto, hanno ed avranno quei 500 milioni di utenti di Facebook (domani magari 1 miliardo...) in tale processo di concentrazione (analogamente per Google anche se in altri ambiti).
L'usabilità della tecnologia, il suo essere "user friendly" e via dicendo, non devono farci mai dimenticare che che "nulla è gratis" e che il prezzo che paghiamo è la nostra sempre più approfondita "mappabilità".
Fin quando tale mappabilità riguarda solo i banner pubblicitari personalizzati, direi che potrebbe essere un prezzo quasi-equo, ma ho la sensazione che non sia così trasparente la gestione dei nostri dati...
In genere si vede l' "orco" solo quando si parla di governo e di regolamentazione, postulando invece che il "libero mercato" abbia sempre ragione. Su questo aspetto il mio suggerimento è di essere sempre molto attenti ad entrambi i fronti.
Un saluto a tutti :-)
Franco Folini : Per correttezza storica, la visione di un uso di internet mediato dalle applicazioni venne promossa per per la prima volta nel 2001-2003 da Microsoft con la tecnologia .NET con l'idea dei web-services e dei clients desktop. La MS visione era in anticipo sui tempi e infatti venne dismessa. All'epoca molti pensavano che abbandonare il browser per un'application fosse sbagliato e fosse di fattoun ritorno ai sistemi proprietari monopiattaforma (e infatti cosi' e'). Jeff Jarvis (se ricordo bene) sostieneche le applications sono come suburbia: aree protette, anestetizzate, con accesso controllato. Il mondo fuori da suburbia e' molto piu' vivo e interessante! Non posso che essere d'accordo. Lunga vita al browser!
Mario Esposito: ciao Franco! Ogni tanto ci incrociamo :-) Sai quale è la "storia" secondo me? Le applicazioni, come ad es. Facebook e Twitter, sono facili da usare e "cazzeggio-oriented" per cui sopperiscono in maniera immediata ai vuoti della vita sociale "reale". Lo strumento in sé può essere usato anche in maniera "intelligente", ma prevale a mio parere un successo del primo tipo e pertanto a chi li usa nemmeno importa "chi c'è dietro", la privacy, ecc. E' un "gioco collettivo" a cui si partecipa giocoforza perchè ESISTE. Se vai sulla traduzione del Sole 24Ore dei due articoli non c'è al momento un solo tweet o un fb share... Strano no? Anzi forse no :-)
Gianluca Garrapa: pensa che quel "tutto-o-niente" è la logica dicotomica del potere e per un ethos paritario dovremmo superarci davvero come umani... come al solito la patologia del denaro rende arcaica ogni possibile idea di reale futuro e miglioramento globale.
Bianca Decio: non dimentichiamo la facilità d'uso delle applicazioni: conosco persone che sono in grado di girare su facebook ma non sul web!
Mario Esposito: ciao Gianluca, bentornato! :-) Si, le statistiche sulla concentrazione del traffico parlano chiaro... Anche se poi siti come techcrunch.com hanno enfatizzato che considerando i dati Cisco anche sui video il Web recupera. Mi sembra una "consolazione" un pò magra :-)
Franco Folini: @Mario: lasciami riportare per un attimo il discorso sul piano tecnico. A mio parere i fattori che spaventano/allontanano i neofiti (e cazzeggiatori) dal web: (1) primitivita' e poverta' dell'HTML (HTML+CSS+JS e' un sistema vecchio, inutilmente complesso, inaffidabile, difficile da usare e capire), (2) pericolosita' del web: virus, furto d'identita', (3) difficolta' e pericolosita' nel navigare il web (siti di spam, siti fittizzi, ecc.) (4) il pessimo lavoro fatto da Google nel separare il grano dal loglio ritornando alle nostre search links spazzatura in gran quantita'. Detto questo continuo a preferire il web e la liberta' che mi offre alle applicazioni chiuse del mio iPhone!
Mario Esposito: Certo, ma purtroppo gran parte dei "nativi digitali", che non sono solo i nostri adolescenti e giovani ma anche molti 30-40-50-60 ecc. "enni" che sono NATI digitalmente con Facebook, vivono nei confini delle applicazioni. La pesca è stata grossa :-)
Gianluigi Colaiacomo: penso che la battaglia per l'accesso libero sia ancora tutta da giocare. E la differenza tra applicazioni e web e' fittizia. Il web stesso e' un'applicazione anzi, un'applicazione di grande successo. Certo e' datata, ma molte delle sue carateristiche migrano e si evolvono nelle altre applicazioni (accesso a server remoti con indirizzamento opportuno, interfaccia utente che gira su qualunque piattaforma, facilita' d iintegrazione per dati e applicazioni, etc.). La battaglia si giochera' sui modelli di business che i grandi capitali riusciranno a realizzare per garantire alti rendimenti contrapposti a quelli delle associazioni "open" che utilizzeranno web, applicazioni e quant'altro la tecnologia ci portera'.
Gino Tocchetti: tutta questa differenza tra web e apps mi lascia perplesso: se dovessi esprimermi in termini di dicotomia (ma preferirei piuttosto una lettuta piu' sfumata) e' tra applicazioni aperte e applicazioni chiuse. Anche il web e' un'app (concordocon gianluigi), solo che e' aperta al massimo; il successo dei primi social network ha sdoganato le app piu' chiuse (tutti ricordiamo il cambio di paradigma nel passaggio dalla blogosfera galattica, ai pianeti ryze ecademy linkedin...). Piu' recenemente abbiamo attraversato la stagione dei web services "aperti", pensati cioe' per potenziare e semplificare il web, senza ridurre il livello di apertura e senza introdurre grumi di controllo (penso a wordpress, delicious, technorati, disquis e moltissimi altri piu' specializzati). E' stata la stagione dell'opensource, dei microformati e dei protocolli aperti, non dimentichiamo. E' stata anche la stagione del free, e della ricerca di modelli di business ispirati a concetti di economia del dono. Tutta una serie di fattori interni (esigenze degli utenti di nuova genrazione, sempre meno tecnologici, mancanza di profitto e rischio di nuove bolle speculative...) ed esterni (crisi finanziaria innanzitutto), spinge adesso verso app piu' chiuse, controllate, protette ed economiche vantaggiose. Sinceramente tutta questa pretesa di Wired di aver predetto 15 anni fa l'attuale evoluzione di internet, mi sembra, per usare un gergo tecnico, una pisciata fuori dal vaso. Cosi' come per i personal computer, che erano inizialmente scatole nere con software proprietario e programmato per essere lockin-in (dos, vbasic, activex... access), e poi e' arrivato linux, apache, php... mysql, in modo analogo (pur con differenze), avremo probabilmente "prima" una diffusione della tecnologia hardware basata su standard proprietari, e grazie a modelli di business orientati al profitto (anche per ripagare gli investimenti iniziali infrastrutturali), e poi l'esplosione di servizi e componenti che sposteranno, anche sui nuovi device, via via l'attenzione ai benefici intangibili e non prezzabili.
Mario Esposito: secondo me il Web è stata una idea più che una applicazione e quella idea è ampiamente alle nostre spalle. La sostanza del discorso di Anderson non è tanto nella previsione del trend quanto nel fatto che quella idea di sviluppo è "fallita" per lasciare il posto alla internet fatta da applicazioni prevalentemente chiuse dove c'è l' "illusione" di essere tutti più "vicini", ma dove invece il fenomeno è che siamo tutti sulla stessa apps proprietaria (monitorati e merce di scambio inconsapevole). Questa è la CONSTATAZIONE, che dal mio punto di vista è quanto mai realistica. Il giudizio critico di questo fenomeno non è stato ancora discusso, a mio parere, a sufficienza.
Elisa Buratti: il web, le app, l'ipermercato, il reiki, la dieta mediterranea, lo shopping...ogni cosa/idea/ app o non, ha a che fare con l'umano. Nell'umano vige la regola che vige per il resto e cioè che il pesante va in basso e trascina con sè parte di tutto. Restare sospesi, non farsi portare giù, essere vino e non feccia, essere nella potenza e non nel potere non è nè sociale, nè esportabile, nè imparabile. O lo sei o non lo sei. Non il mezzo ma l'essenza vince sul tutto. Qualunque tutto esso sia. Tante analisi non servono perchè è sempre la stessa identica zuppa...:-))
Paolo Manzelli: Sappiamo dalla storia come l' interazione spontanea delle masse senza una guida concettuale innovativa comporta un adeguamento delle idee al mercato e di conseguenza alla decadenza di ideali a cui consegue la decadenza dei costumi, la corruzione morale, il degrado ambientale, ecc. Putroppo mentre il mercato ha saputo sfruttare la occasione di internet come nuova fonte di profitto, la elite intellettuale non ha saputo veicolare idee innovative nel quadro delle nuove opportunita di comunicazione di internet, cosi che il degrado intellettuale utile e con esso quello politico al all' economia di mercato ha preso nuovamente il sopravvento anche in questa fase della storia. Cosa fare ora ????? Quali soluzioni trovare ????
Paolo Lapponi: Appartengo a una generazione che iniziò ad utilizzare la rete più di 20 anni fa nella PA italiana in istituti di ricerca di medicina e biologia. Da subito l'impatto fu conflittuale sulla metodologia realizzativa di un cablaggio strutturale, ove gli “ingegneri informatici”, gli alti dirigenti dei nostri Enti Pubblici, si trovarono di fronte giovani piskelli (ai quali fornivo camicie e cravatte prima delle riunioni) che li inchiodavano al muro dell'inefficacia e dei costi delle gerarchie verticali proposte dai Server Microsoft NT. Pochi serverini Unix di bassissimo costo realizzavano quell'architettura distribuita che garantiva sicurezza, performance ed alta connettività (by Terminal Adapter) a decine di laboratori semplicemente connesso a un 486 unix presso il CASPUR di Roma che girava ininterrottamente per anni con minima manutenzione. E garantiva al contempo H24 il controllo delle tecnologie delle curve del freddo, lo storage biologico (crioconservazione in N2 liquido, cellule staminali, preziosi cloni cellulari), il controllo e gestione dell'Automazione della “macchina dura” in genetica molecolare, in HPLC, in nefelometria, in PRC, nei controlli di qualità, condivisione dati in tempo reale, realizzazione di Intranet ed Extranet, comunicazione globale tra ricercatori, realizzazione dei prototipi in grafica 3D dinamica dei recettori molecolari … era il sogno proposto da Negroponte, il Palazzo Intelligente, era anche il sogno dei network biologici come prototipi delle “reti neurali” (da Mc Farlane Burnett a Domenico Parisi). Sul piano delle architetture di rete il conflitto fu vinto alla grande dai piskelli (i 40enni di oggi), la rete era appannaggio degli APACHE, gli applicativi li sceglievano noi (come Eudora versus Explorer etc). Tuttavia, sul piano culturale generale le cose come al solito andarono diversamente, specie nel nostro paese, ove tra l'altro gli Istituti di Ricerca della PA sono stati affossati. Ammetto che oggi mi trovo disorientato. Selezionare nell'iperidondanza del Web 2.0 e successive modificazioni è per me di estrema fatica. Così, paradossalmente, FB mi viene in aiuto, mi semplifica la scelta, mi rende più chiaro lo stato dell'arte e le possibilità di contatti e approfondimenti, mi conforta nel giudizio su H/W chiusi come iPhone. Ma appartengo a un'altra generazione, formatasi nel marxiano “sviluppo delle forze produttive” e un po' invecchiata. Perciò, dall'altro lato della spirale, sento la necessità di rimanere sempre in contatto stretto con i piskelli di allora. La loro opinione e il loro agire comunicativo non sono cambiati, radicali erano e radicali restano, su FB non ci vanno, l'iPhone non lo usano, ma la loro comunicazione è potente, globale e locale, il loro orizzonte etico comportamentale è connesso con i sistemi viventi, con l'ambiente, col sistema pianeta: gran rispetto! Ho la sensazione infine che il conflitto continui, su piani paralleli e antagonisti, e che la sfera dell'immateriale sia il campo di battaglia decisivo.
Concordo con Elisa, “Non il mezzo ma l'essenza vince sul tutto” . Tank you for this tag
Mario Esposito: @ Elisa
non ne sono certo Elisa, perchè sono i modelli dominanti che finiscono per determinare i processi culturali e la loro evoluzione. A mio parere il "restare sospesi" e non lasciarsi trascinare è senz'altro una qualità del singolo, ma direi che il dialogo sia sempre importante con le relative analisi per iniettare nel sistema piccole dosi di "informazione omeopatica" come la chiamerebbe De Kerkhove.
Poi, ognuno sia quel che vuole (dove il "vuole" è un termine molto insidioso) e quel che è (e anche qui potremmo parlarne per ore, hehe). Ciao :-)
@ Paolo
Si, il problema è strutturale e riguarda proprio il "pensiero" e la sua supina sottomissione, forse definitiva, al potere economico e alla relativa logica. Cosa fare? Credo che non se ne uscirà e lo dico a malincuore. Aspettando la "next big app" :-)
Paolo Manzelli: Cito per una sintesi della situazione tra il dis-proroporzionamento attraverso il WEB.2 tra valori del mercato materiale e il valore dello sviluppo immateriale , il sequente sito:
http://www.slideshare.net/ michelevianello/web-20-e-g overnment-regole-del-mondo-immat eriale-maggio-2010
Da parte mia ho compreso fin dagli anni in cui ho iniziato ad interessarmi del rapporto tra beni materiali ed immateriali (1997) che era necessaria una profonda revisione scientifica e culturale capace di adeguare lo sviluppo alle nuove esigenze di comprensione della vita.
Vedi ad es: Dal mondo dei Bit al mondo degli atomi http://www.edscuola.it/arc hivio/lre/atomi.html
Anche oggi resto convinto che il nodo intellettuale da sciogliere sconsista essenzialmente nel superamento delle idee meccaniche che hanno dato dato origine alla societa industriale, al fine di procedere verso la realizzazione della nuova societa della conoscenza. Questa e la essenza del problema concettuale da condividere , che, per quanto di non immediata comprensione e' a mio avviso un processo di cambiamento ineluttabile per un reale rinnovo della societa e dello sviluppo. Paolo
vedi alcune idee e iniziative vedi in : www.edscuola.it/lre.html
Elisa Buratti: @paolo..come fare?..è semplice..uscire dall'antropocentrismo e dall'arroganza..cosa gl'intellettuali di ogni genere e specie non faranno mai, perchè si ritroverebbero in un nulla da cui neanche jung potrebbe tirarli fuori..ehehe E' buffo vedere come sia impossibile accettare l'inosorabilità del limite di essere umani..
@mario...se il vino si confronta diventa aceto..se lo fa il mosto diventa vino. Processi..solo processi..ciao..:-)
Paolo Manzelli: Caro Mario ed amici , purtroppo con il pensiero debole si arriva a chiamare semplicemente "decrescita economica" la effettiva autodistruzione della vita del pianeta in cui viviamo.
Piu decisa e piu forte e' la necessita di cambiamento concettuale per modificare la struttura cognitiva di indole "meccanica" , che ha condotto a questo disastro della natura. Il meccanicismo ha essenzialmente contribuito alla separazione tra cultura e natura ; pertanto solo superando i limiti ed il riduzionismo delle concezioni meccaniche, potremo iniziare una inversione di tendenza che non e attuabile con il pensiero debole che rimane condizionato ed ancorato alle concezioni storicamente accettate . Paolo vedi ad es: cose che accadono tra il buio e la luce : http://www.edscuola.it/arc hivio/lre/sole.pdf
Paolo Lapponi: Ringrazio tutti gli amici per questa discussione così ricca di spunti e stimoli.
Attualmente tento, con personale pochezza, di seguire una linea di ricerca che non considera la “decrescita” (almeno nell'accezione di Latouche) una risposta efficace alla distruzione del pianeta (semmai apprezzo di più l'idea di limite creativo in Illich o Ruskin). Cerco quindi di percorrere un sottile filo rouge che, partendo dalla “freccia del tempo” e dalle strutture dissipative di Prigoginiana (seppur recente) memoria, rivaluta e tiene assieme Renè Thom, Simondon, Cavalli Sforza, Frijot Capra, Cimatti et altri, e tenta un approccio positivo - nientaffatto da pensiero debole - della Katastrofè storica nella quale il sistema postindustriale “occidentale” ha fatto oramai il suo ingresso. Per seguire questa traccia occorre, io penso, un approccio fortemente interdisciplinare, in cui inserire anche una rilettura (per me) attualissima di quella critica al modello di cultura occidentale prodotta da Edward Said in “Orientalismo”. Un contributo seppur sintetico ma utile penso sia in: www.facebook.com/no te.php?note_id=31079363636 9
In un approccio più vasto, il concetto di organizzazione a “rete distribuita” assume ad ogni livello un'importanza sostanziale per la “potenza” che essa racchiude. Come pure l'idea che i Sistemi viventi (organizzati appunto a rete) possiedano una forza autopoietica tale da consentir loro di superare anche l'impatto con un enorme asteroide, e di più. Ringrazio molto Paolo Manzelli. Leggerò con calma il corposo saggio suggerito che mi sembra veramente assai interessante. Dal poco che intuisco rientra in pieno in ciò che vado cercando. Buona domenica a tutti.
Mario Esposito: @ Elisa
L'antropocentrismo e l'auto-referenzialità possono anche essere utili, ma in dosi equilibrate :-) La vita e la sua replicazione è autoreferenziale (vedi Maturana e l'autopoiesi), per cui tale componente è pressocchè necessaria e non può essere eliminata, nemmeno culturalmente. Il problema sorge quando ci rifugiamo nei dogmi e nelle credenze (i "paradogmi"), ma questo è un altro discorso e anche molto lungo. Un saluto :-)
Cristian Contini: wow che bella discussione alta, come sempre per altro quelle stimolate da Mario, che approfittiamo per ringraziare per includerci sempre in questi bei confronti.....
Torniamo ora ora da un ottimo ritiro di meditazione vipassana dove per una decina di giorni ci si sottrae all'esterno da sè per entrare nel proprio spazio interno..e dove le tecnologie ed il contatto con il mondo sono volutamente sospesi..molto rinfrancante e davvero consigliabile per tutti noi addicted dalla Rete e dall'always-on, web o app che sia...:-) e quindi freschi freschi, da un altro pianeta, diamo il nostro umilissimo contributo...
Per quello che ci riguarda, al di la del pezzo di Anderson che come ben sappiamo sta facendo discutere tutto il bel mondo pensante della rete, ci sembra che nei new/next media, almeno a giudicare degli ultimi 100/50 anni, non è mai successo che un medium evoluto abbia soppiantato un altro ( la radio NON ha ucciso i giornali ne i libri, la tv NON ha ucciso la Radio, e la rete non ha -ancora-ucciso radio-tv-e giornali..).
La rete non è mai stata solo WEB ,(USENET,e le emails, un esempio per tutti) e la dirompente fantastica rivoluzione dei Social media e dei Social networks ha aggiunto possibilità , non ha levato... ed a meno che nei prossimi anni non ci sia una "next big thing" che sia a più "alta risoluzione" da soppiantare tutto..e naturalmente pensiamo a mondi immersivi, interfacce sensoriali-neuronali e via via ipotizzando, per ora avremo un mondo in rete fatto di web e di app, di conversazioni sociali e di mobilità...di Skype e di Second Life ....e di Attention Disease Disorder e di Internet Addiction Disorder:-)
Il web, va detto, usa ancora la metafora decisamente limitata e superata della pagina cartacea stampata, per quanto interattiva e multimediale ( le "pagine web") cosa che il sistema delle app ( grazie grazie grazie Apple per il lavoro di cambio di paradigma) scardina e rifrulla come nuovi modi di fruire gli stessi dati. Si pensi solo alle app meteo: i dati sono gli stessi magari ripresi dallo stesso sito ( accuweather) ma ripresentati in N modi per accontentare N segmenti, N nicchie, in N- INTERFACCIE come da "long tail theory"... Detto questo...oggi abbiamo reso un settantenne non connesso, non computerizzato,l'uomo più felice del mondo.
Il sorriso da bimbo del babbo ( negli anni ci aveva sempre accusato di non "avergli mai insegnato i computer" nonostante i mac e le ore di training :-) che se ne andava via con il suo nuovissimo iPad Wifi+3g ( iDad?) sotto il braccio era impagabile.
Un computer semplice, usabile , e connesso che un "primitivo digitale" ha capito al primo touch...e da questo punto di vista, il paradigma delle app+interfaccia touch vince su tutta la linea.
Mario Esposito: eh si proprio così, ma resta il grande dubbio : chi vince ha sempre "ragione"? :-)
La faccia felice del "nonno" può essere una risposta, ma... resta la domanda in tutta la sua problematicità.
Tutto evolve e ben venga, anzi DEVE, ma l'uso della tecnologia deve sempre farci riflettere sia su COSA ci facciamo sia COME lo facciamo.
Ma mi rendo perfettamente conto che nel momento stesso che ne parliamo la "faccenda" diventa in sé per i più "irrilevante" poiché l'uso e la sua "facilità" sopravanza ogni pensiero sull'uso stesso.
Questo è il senso del post di Anderson e il senso dell'uso delle Apps che hanno soppiantato il Web.
Nessuna nostalgia, dunque, ma consapevolezza di una evoluzione meno aperta di quello che alcuni o tanti di noi avrebbero auspicato. Grazie dell'intervento Cristian, forte l'iDad :-)
Graziano Terenzi: Grazie Mario come sempre per le tue interessanti discussioni.
Pensare a Internet, e in particolare alla sua Apertura/Chiusura in termini di metafore socio/politiche (collettivistico/privatist ico), se da un lato è utile perchè mette in evidenza alcune tendenze in atto nel mondo delle nuove tecnologie, dall'altro però non rende giustizia della complessità della Rete.
Da una parte infatti, l'apertura permette in sè la chiusura, mentre non è vero il contrario. Anche se sarebbe opportuno chiarirsi su cosa si intenda con il termine "chiuso" o "privato", non mi sorprende che una mentalità accentratrice, orientata al "chiuso" e al "privato" possa trovare spazio e in alcuni casi persino prevalere nel web. Non mi sorprende nemmeno che questo approccio possa essere di grande successo allorchè si trovino formule, come nel caso di Facebook, che in realtà vincono proprio in virtù del fatto che legano assieme in un contesto aperto milioni di persone che hanno l'impressione di poter interagire e di non essere isolate. Questo, come giustamente rileva Cristian, non è un male e non l'unica delle possibili evoluzioni di internet. Facebook, Google e Apple non nascono come il frutto di un investimento mirato a controllare milioni di persone, anche se la loro futura evoluzione potrebbe eventualmente degenerare in questo. Se qualcuno è in grado di fornire un servizio utile ed efficiente a milioni di persone ben venga. Con buone idee, competenze e capitali si può arrivare in alto, anche se non ci sono solo "rose e fiori" le conseguenze di ciascuna scelta. Dall'altra parte, bisogna sempre tenere sott'occhio l'evoluzione della rete in funzione di eventuali interventi istituzionali mirati a "regolarne" l'uso e l'accesso. Questo, si, è un problema di altro ordine e di grande rilevanza pubblica e sociale.
Gianluigi Colaiacomo: L'idea principale del web e' la navigazione interattiva tramite i link, e questa si e' conservata nelle applicazioni presenti e future. Dal punto di vista tecnologico l'infrastruttura di base e' stata fornita dalle comunicazioni http dai browser ai server, e anche questo mi sembra che si stia conservando ed evolvendo molto bene. Quindi, alla fine, voler decretare la fine del web sembra piu' che altro un trucco giornalistico. Ma tant'e' ...
Per me il vero problema resta la contrapposiizione tra contenuti liberi o meno. Tra l'accesso gratuito o no. Insomma una battaglia politica ed economica tra le diverse fazioni. (a proposiito, mi sembra di aver letto che lo stesso Google si appresta a separare l'utilizzo di serie-B, gratuito, da quello di serie-A, a pagamento). In seconda battuta, viene anche il problema ricordato da Mario. Cioe' il COSA facciamo con la tecnologia, e anche il COME lo facciamo. Ed e' giusto continuare a rifletterci perche' sono problemi dai forti risvolti etici e naturalmente si sovrappongono in parte anche col problema della liberta' di cui sopra.
Mario Esposito: Indubbiamente, quella di Anderson è stata una provocazione :-)
Ad ognuno di noi poi le sue riflessioni e le proprie consapevoli strategie di comunicazione tenendo conto del COSA e del COME che ha appena ricordato Gianluigi.
Nel corso della storia sono fallite tante idee (e tecnologie) e se ne sono affermate solo una parte tra le varie possibili, in non pochi casi solo una ha prevalso su tutte: ovviamente, come avrete intuito, il problema - che non è detto che sia tale in senso "drammatico" (dipende dai punti di vista) - è il ruolo che hanno avuto, hanno ed avranno quei 500 milioni di utenti di Facebook (domani magari 1 miliardo...) in tale processo di concentrazione (analogamente per Google anche se in altri ambiti).
L'usabilità della tecnologia, il suo essere "user friendly" e via dicendo, non devono farci mai dimenticare che che "nulla è gratis" e che il prezzo che paghiamo è la nostra sempre più approfondita "mappabilità".
Fin quando tale mappabilità riguarda solo i banner pubblicitari personalizzati, direi che potrebbe essere un prezzo quasi-equo, ma ho la sensazione che non sia così trasparente la gestione dei nostri dati...
In genere si vede l' "orco" solo quando si parla di governo e di regolamentazione, postulando invece che il "libero mercato" abbia sempre ragione. Su questo aspetto il mio suggerimento è di essere sempre molto attenti ad entrambi i fronti.
Un saluto a tutti :-)
FINE PRIMA PARTE
Riporto la traduzione del SOLE 24 ORE dell'articolo di Chris Anderson:
"Ti svegli e controlli l'e-mail nel tuo Ipad accanto al letto – ecco un'applicazione. Mentre fai colazione, apri Facebook, Twitter, e il New York Times – altre tre applicazioni. Mentre vai in ufficio, ascolti un podcast nel tuo smartphone. Un'altra applicazione. Al lavoro, dai un'occhiata ai feed RSS nel loro lettore e comunichi con Skype e IM. Altre applicazioni. Alla fine della giornata, torni a casa, ceni ascoltando Pandora, giochi con la Xbox Live e guardi un film sul servizio di streaming di Netflix. Hai trascorso tutto il giorno su Internet - ma non sul Web. E non sei l'unico. Non è una differenza di poco conto.
Negli ultimissimi anni, uno dei cambi più importanti nel mondo digitale è l'evoluzione dal Web aperto a piattaforme quasi chiuse che usano internet per veicolare l'informazione, ma non usano il browser per la visualizzazione. Ciò è in primo luogo dovuto al successo del modello di mobile computing iPhone, ed è un mondo in cui Google non può insinuarsi, e dove non regna l'HTML. Ed è il mondo che i consumatori scelgono sempre di più, non perché rifiutino l'idea del Web, ma perché queste piattaforme specializzate spesso funzionano semplicemente meglio oppure si adattano meglio alle loro vite (lo schermo va a loro, non devono andare loro allo schermo). Il fatto che sia più semplice per le imprese guadagnare con queste piattaforme non fa altro che rafforzare il trend. Produttori e consumatori si trovano d'accordo: il Web non è il culmine della rivoluzione digitale.
Dieci anni fa, l'ascesa del Web browser come centro del mondo informaticoappariva come qualcosa di inevitabile. Sembrava solo questione di tempo perché il Web sostituisse i software applicativi dei PC e riducesse i sistemi operativi a "set di driver di basso perfezionamento" , come notoriamente ha detto il cofondatore di Netscape Marc Andreessen. Prima Java, poi Flash, quindi Ajax, e dopo ancora HTML5 – un codice online sempre più interattivo – promettevano di oscurare tutte le applicazioni e trasformare il desktop in un web top. Pubblico, libero, e fuori controllo. Ma c'è sempre stato un percorso alternativo, che vedeva il Web come uno strumento valido, ma non come l'intera gamma di strumenti possibili. Nel 1997, Wired pubblicò l'ormai famigerato articolo di copertina "Push!", nel quale si sosteneva che fosse l'ora di "dare il bacio d'addio al browser". La teoria era che le tecnologie "push" come PointCast e l'Active Desktop di Microsoft avrebbero creato "un futuro radicalmente diverso di media al di là del Web". «Di certo avremo sempre delle pagine Web. Abbiamo ancora le cartoline e i telegrammi, o no? Ma il centro dei media interattivi – sempre di più, il centro di gravità di tutti i media – si sta spostando verso un ambiente post-HTML», assicurammo quasi 15 anni fa. Gli esempi dell'epoca erano un po' sciocchi - uno spazio in 3D da realtà virtuale alla Furry-MUCK, e «i titoli delle notizie inviati a dei cercapersone» - ma il punto fondamentale era nel complesso rivelatore: uno sguardo verso il futuro macchina a macchina in cui più che navigare si tratta di prendere qualcosa".
(Chris Anderson, Wired.com, traduzione Il Sole 24 Ore)
"Ti svegli e controlli l'e-mail nel tuo Ipad accanto al letto – ecco un'applicazione. Mentre fai colazione, apri Facebook, Twitter, e il New York Times – altre tre applicazioni. Mentre vai in ufficio, ascolti un podcast nel tuo smartphone. Un'altra applicazione. Al lavoro, dai un'occhiata ai feed RSS nel loro lettore e comunichi con Skype e IM. Altre applicazioni. Alla fine della giornata, torni a casa, ceni ascoltando Pandora, giochi con la Xbox Live e guardi un film sul servizio di streaming di Netflix. Hai trascorso tutto il giorno su Internet - ma non sul Web. E non sei l'unico. Non è una differenza di poco conto.
Negli ultimissimi anni, uno dei cambi più importanti nel mondo digitale è l'evoluzione dal Web aperto a piattaforme quasi chiuse che usano internet per veicolare l'informazione, ma non usano il browser per la visualizzazione. Ciò è in primo luogo dovuto al successo del modello di mobile computing iPhone, ed è un mondo in cui Google non può insinuarsi, e dove non regna l'HTML. Ed è il mondo che i consumatori scelgono sempre di più, non perché rifiutino l'idea del Web, ma perché queste piattaforme specializzate spesso funzionano semplicemente meglio oppure si adattano meglio alle loro vite (lo schermo va a loro, non devono andare loro allo schermo). Il fatto che sia più semplice per le imprese guadagnare con queste piattaforme non fa altro che rafforzare il trend. Produttori e consumatori si trovano d'accordo: il Web non è il culmine della rivoluzione digitale.
Dieci anni fa, l'ascesa del Web browser come centro del mondo informaticoappariva come qualcosa di inevitabile. Sembrava solo questione di tempo perché il Web sostituisse i software applicativi dei PC e riducesse i sistemi operativi a "set di driver di basso perfezionamento" , come notoriamente ha detto il cofondatore di Netscape Marc Andreessen. Prima Java, poi Flash, quindi Ajax, e dopo ancora HTML5 – un codice online sempre più interattivo – promettevano di oscurare tutte le applicazioni e trasformare il desktop in un web top. Pubblico, libero, e fuori controllo. Ma c'è sempre stato un percorso alternativo, che vedeva il Web come uno strumento valido, ma non come l'intera gamma di strumenti possibili. Nel 1997, Wired pubblicò l'ormai famigerato articolo di copertina "Push!", nel quale si sosteneva che fosse l'ora di "dare il bacio d'addio al browser". La teoria era che le tecnologie "push" come PointCast e l'Active Desktop di Microsoft avrebbero creato "un futuro radicalmente diverso di media al di là del Web". «Di certo avremo sempre delle pagine Web. Abbiamo ancora le cartoline e i telegrammi, o no? Ma il centro dei media interattivi – sempre di più, il centro di gravità di tutti i media – si sta spostando verso un ambiente post-HTML», assicurammo quasi 15 anni fa. Gli esempi dell'epoca erano un po' sciocchi - uno spazio in 3D da realtà virtuale alla Furry-MUCK, e «i titoli delle notizie inviati a dei cercapersone» - ma il punto fondamentale era nel complesso rivelatore: uno sguardo verso il futuro macchina a macchina in cui più che navigare si tratta di prendere qualcosa".
(Chris Anderson, Wired.com, traduzione Il Sole 24 Ore)
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