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sabato 30 ottobre 2010

Corpi disconosciuti

Recentemente ho postato su Facebook una riflessione relativa alle opere di Gunther Von Hagens, il noto anatomista tedesco inventore della tecnica della plastinazione, che vengono esposte in numerose mostre allestite in tutto il mondo. La domanda è stata "Quando la morte è un nuovo messaggio di vita o un vecchio tabu sacro infranto?"
Foto: Reuters, sito: Daylife
Le reazioni a questi corpi "immortalati" nelle più varie e "plastiche" (è il caso di dirlo...) posizioni artistiche sono state, ovviamente, controverse. Si passa da un giudizio estetico associato al "gusto del macabro" sempre più imperante nella nostra società a variegate forme di accettazione o di non accettazione  nei confronti di questa forma "estrema" di arte (per chi la vuole considerare tale) o di rappresentazione "rigenerata" (una nuova "entità" come dice l'autore) del corpo post mortem con finalità - a dire di Von Hagens - di tipo educativo, cioè tese a evidenziare anche in maniera cruda quali possano essere gli effetti sul corpo di stili di vita sbagliati (es. fumo, alcol, ecc.). In generale, i problemi di fondo sono quelli associati al nostro rapporto con la morte, alle credenze di una vita dell'anima dopo la morte, al rispetto per una "sacralità del corpo" che non dovrebbe mai essere profanata. Ora, se è indubbio che il significato della morte è inevitabilmente legato a quello che crediamo potrà accadere dopo la medesima, è interessante indagare il significato che si da' al corpo sia che si supponga che esso ospiti un'anima sia che lo si consideri del tutto "materiale".
Estrapolo, di seguito, alcuni commenti degli amici di Facebook.

Dice Giovanna: "In Cina hanno un corso di Laurea in "Scienze della Morte" (credo si possa tradurre cosi'). E' stato creato da un filosofo per tramandare tutti gli aspetti cerimoniali, culturali e filosofici della morte. Le richieste superano sempre i posti disponibili...
Le opere di Von Hagens le trovo comunque difficilmente sostenibili per un pubblico "profano" del corpo umano"; poi Laura: "Se la nostra società considera la morte come tabù, nel passato l'approccio con essa era di tutt'altra natura. A testimonianza di ciò i testi che ci sono stati tramandati: il libro dei morti egiziano e quello tibetano. Il primo precede di oltre tremila anni il Bardo Thodol (bardo= post morte e Thodol= liberazione mediante lo studio).
Per gli egiziani la morte non era l´ultima tappa , ma la continuazione dell´essere intelligente. La teogonia egizia ha fatto della morte il tema stesso della vita. Il libro tibetano prepara i vivi al dopo morte. Sempre gli egiziani credevano che l´uomo sarebbe vissuto eternamente nell´altro mondo se i suoi cari avessero fatto per il suo cadavere quello che gli Dei avevano fatto per il cadavere di Osiride. Noi, seppur inconsciamente, facciamo le stesse cose , con analoghi intenti. 
Von Hagens faccia a faccia con una sua opera


Ricomponiamo i nostri morti, celebriamo le esequie con un riguardo particolare,tenendo sempre ben presente le abitudini, i gusti, le preferenze di coloro che ci hanno lasciato. Da qualche parte, anche se celata negli angoli piu´profondi del nostro subcosciente, non c´e´forse la speranza che tutto cio´serva a facilitare il "passaggio", a favorire la "metamorfosi" di quel corpo che stiamo per seppelllire o affidare alle fiamme? E non ci siamo mai domandati , in quelle circostanze, se é mai possibile che finisca tutto li´sotto qualche metro di terra io in una manciata di cenere? In Africa ho assistito a diversi riti di iniziazione che consistevano nell´accettazione della morte come rito di passaggio.
Ancora nel suo racconto "Rivelazione magnetica" E.A. Poe chiede al suo immaginario interlocutore, il signor Vankirk: " L' uomo potrà mai ripudiare il corpo?" E Vankirk risponde: "Vi sono due corpi quello rudimentale e quello completo, corrispondenti alle due condizioni del bruco e della farfalla. Ciò che noi chiamiamo morte non é altro che la dolorosa metamorfosi."
Contrariamente agli spiritualisti, i seguaci della filosofia materialistica negano che qualunque aspetto della coscienza personale possa sopravvivere alla morte fisica. Secondo loro ogni attivita´mentale cesserebbe quando il cervello smette di esercitare la sua funzione. Ma quale cervello? Quello fisico-mentale o quello eterico?
Adriana dice che "Riguardo al corpo, al suo disfacimento fino al suo morire, non parlerei - per mia personale cognizione del corpo - di tabu, quanto di sacralità.
Il corpo gode della presenza dell'anima. L'unico modo che l'anima ha di vivere è di incarnarsi in un corpo, il quale acquisisce una valenza particolare che appartiene al sacro. Nell'avvicinarsi ad una persona, al suo corpo, ci si accosta con il rispetto che - per me - nasce da un'educazione all'inviolabilità e al riconoscimento che quel corpo è portatore di una unicità che non è legata tanto alla carne quanto allo spirito che le infonde vita. 
E' questo soffio vitale, il riconoscerlo, che ci induce al rispetto del corpo proprio e dell'altro, è la devozione che ne scaturisce che ci spinge alla cura del corpo, alla pietà per la sua decadenza, al sacro terrore per la morte che ne consegue.
Non credo che la "carne" sia fonte di imbarazzo, quanto piuttosto la presenza dello spirito che fa sentire un potere che supera la presenza fisica, oltrepassa e sovrasta ogni dimensione terrena, riporta ogni piano reale ad altri che "sentiamo" esistere in una realtà diversa, non misurabile, né quantificabile con i parametri fin qui conosciuti.


Talia afferma "devo dire che osservando dentro la teca di vetro Ramses II mummificato, rimasi scossa... a cosa guardavo in realtà? e poi ho recentemente letto "Io uccido" di Faletti, e lui scuoiava dopo la morte le sue vittime scelte (personaggi che la meritavano in fin dei conti questa morte...). Queste due esperienze se così posso dire, mi hanno fatto sempre pensare, che la pelle ci "sistema" nella nostra abitudine all'estetica e che il soffio vitale è dato da un gonfiore esteso in tutto il corpo, un gonfiore salutare come il respiro. Ho letto la biografia di quest'uomo che è stato l'unico (a ciò che mi consta) ad aver preso il cognome della moglie! Fatto straordinario al mio parere in un mondo dove noi dobbiamo rinunciare al nostro e nemmeno i figli possono portarlo senza provvedimenti particolari. Lui già in questo è fuori norma, ma in più ha un mito: eccellere oltre gli antichi egizi, anzi offrire a tutti la sua verità in modo quasi eterno. C'è anche un piacere a sconvolgere un pubblico, quasi a urlare: ma guardatevi per come siete realmente, senza quella pelle conformista, plasticosa e ben pensante...".


Antonia dice "Da sempre l'uomo si è interrogato sul corpo e sull'anima, in relazione alla geografia mentale di ciascuno si sviluppa un senso della vita e un senso della morte, il proprio senso dà il non senso degli altri!
Il corpo è l'espressione dell'anima individuale che senza quella sagoma resterebbe una forza quantica indifferenziata! Il corpo è così una possibilità della vita differenziata, offerta a più livelli di organizzazione spazio-temporale. Spesso crediamo che il corpo sia un solo spazio, il nostro spazio, mentre è la possibilità di una molteplicità di unità-organizzate a cui spesso non riconosciamo valore!
Il diritto di una cellula di esprimersi in noi o il diritto del fegato di esprimere la sua funzione o il diritto del cervello di organizzare le sue emozioni, il diritto della mano di afferrare... L'uomo è il grande egoista della storia che crede di essere padrone del sistema corpo e di farne uso e abuso a piacimento!"


Gianluigi afferma "Ogni piu' piccola particella e' parte del nostro mondo, e noi stessi ne siamo parte in maniera paritetica. E anche quando saremo morti ne continueremo a fare parte. E continueremo a interagire, non piu' come individui ma come parte del Tutto (di cui gia' facciamo parte).  Fin qui non c'e' niente di nuovo. La domanda pero' resta: ci sara' una forma individuale che continuera' ad esistere dopo la morte ? Uno straccio di anima, o qualcosa del genere ?
Forse no. Ma per me si ! Però in questo modo siamo usciti dal campo del ragionamento razionale e scientifico e siamo entrati nel campo metafisico e religioso".


E' sempre più frequente, devo notare, l'utilizzo di termini scientifici come "entanglement, "quantistico", "energia", "informazione", "campo" ecc. per cercare di inquadrare concetti millenari come quello di "anima" all'interno di un paradigma (o semantica del mondo) supportato dalle recenti scoperte scientifiche. La metafisica si aggiorna utilizzando il lessico scientifico, ma occorre fare attenzione a non confondere i due piani.

In tal senso su Facebook ho osservato che "la morte è un processo termodinamico e biologico e l'entanglement non credo possa essere una speranza di immortalità di "qualche quid informativo" che potremmo chiamare "anima"(...) A mio parere, è l'ipotesi - anche solo inconscia - che dopo la morte ci possa essere una sorta di "transizione di fase" che ci porta da uno stato di fisicità ad uno di spiritualità che rende la manipolazione del corpo post mortem un disturbo osceno di tale processo sacro e in quanto tale da proscrivere.
Il "problema" è sempre relativo all'ipotesi dualistica anima-corpo e riguarda in senso lato un rapporto consapevole con il nostro "essere biologici", che ancora non è stato culturalmente risolto (in Italia in particolar modo per motivi religiosi ben noti). Riflettiamo anche però sul nostro rapporto con come siamo fatti dentro, una rappresentazione che ci offre in maniera indubbiamente estrema Von Hagens.
La mia impressione è che ci siamo costruiti troppi paesaggi mentali e si conosca poco o niente del corpoEppure noi siamo corpo, la mente è "embodied", ma pensiamo in fin dei conti di "usarlo", anche attraverso l'anima che dovrebbe dargli vita e poi andarsene chissà dove quando il corpo muore.
Sono le stranezze del pensiero platonico di cui siamo permeati più di quanto sembri. (...) Personalmente rifuggo da forme di idealismo trascendentale in cui si ritiene che tutto sia una creazione della mente o un "gioco della mente" (vedi qui e qui) e cerco di essere più su posizioni epistemologiche di tipo costruttivista sulla scia di Humberto Maturana e Francisco Varela (accoppiamento strutturale tra soggetto ed ambiente, autopoiesi), ma non confondo epistemologia ed ontologia (Kant le fece coincidere per salvare la conoscenza dalla critiche empiriste), ossia ciò che conosciamo con ciò che esiste, che, per quanto in campo sociale esse tendono a coincidere, in ambito biologico, fisico, chimico ecc. non credo siano la stessa cosa.
L'epistemologia, ad esempio, riflette sulle scienze naturali (filosofia della scienza) e non credo si possa affermare senza una problematicità di fondo che il dna esista come ente "assoluto" della natura vivente o che esistano i quark come enti delle particelle subatomiche laddove questi enti li abbiamo "costruiti" noi e poi descritti e misurati.
Non dobbiamo mai dimenticare che le scienze naturali misurano e definiscono i loro enti, le loro proprietà e le reciproche relazioni su base sperimentale, ma che poi l'esistenza di questi enti sia del tutto subordinata alla specifica ontologia (diciamo anche catalogo o tassonomia) della singola disciplina che è soggetta spesso a cambiamenti e falsificazioni.
Pertanto, tentare di estrapolare da concetti come l'entanglement della meccanica quantistica (ontologia materiale specifica) l'esistenza dell'anima (metafisica assoluta) direi che è una procedura logicamente viziata ed è più una forma di suggestiva analogia, come dicevo prima.
In sintesi, non si può poggiare la metafisica dell'anima sull'ontologia di nessuna scienza perchè sono ambiti completamente diversi. 
Come diceva Gianluigi credere nell'anima non può essere spiegato con la scienza o la logica e questo, dopotutto, "salva" tutti coloro che vogliono ancora credere in enti metafisici assoluti e non soggetti all'esperimento di tipo scientifico, ma piuttosto dipendenti da una propria fenomenologia estetica e da una visione metafisica soggettiva.
I ragionamenti sull'anima sono dunque congetture metafisiche e pertanto affermare che l'anima è informazione quantica è identico, da un punto di vista epistemologico, a dire che le interazioni subatomiche che tengono unita la materia siano fatte dall'amore divino (sono credenze per così dire "aggiornate" con concetti scientifici): non abbiamo alcuna possibilità di sperimentare queste ipotesi metafisiche e quindi... chi vuole ci creda".


Inoltre, a mio parere, se il concetto di "anima" è stato analizzato a partire dalle religioni e dalle varie filosofie, quello di corpo è rimasto sostanzialmente sacrificato e subordinato platonicamente a quello di mente e di spirito. Se ci riflettiamo, noi non "sentiamo" cosa accade dentro il nostro corpo, non abbiamo alcuna percezione specifica di come i nostri stili di vita incidano sulla funzionalità dei nostri organi interni e siamo poco propensi a parlarne se non in chiave teorica: la vista dell'interno del corpo (e dello stesso cervello) è quasi un tabù, è alle soglie dell' oscenità (infatti l'interno del corpo è fuori della scena delle nostre vite e fuori della consapevolezza percettiva se non per stimoli che comunque sono interpretati dal cervello).
La nostra cultura - e in questo Platone ci ha condizionato in maniera sostanziale - ha sempre privilegiato il "pensiero astratto" della mente all'esperienza sensibile del corpo (preciso che le due cose non dovrebbero considerarsi cartesianamente divise, ma intrinsecamente unite: la mente è "embodied"!) ritenuta a vario titolo contingente, fallace, soggettiva e comunque di tipo "inferiore" a quella mentale.
Ne è conseguita da un lato una sottovalutazione conoscitiva del corpo, mentre dall'altro una sua progressiva enfatizzazione prima come "oggetto estetico" (quindi in prevalenza mentale) e poi come "merce di scambio" all'interno del sistema economico capitalistico dai contenuti sempre più immateriali.

Il corpo è dunque ancora oggi - anzi forse oggi più che mai - un'idea anziché un' esperienza ed una conoscenza. Inoltre, la sua dimensione appartiene sempre più al simulacro che al sacro.


Da qui, il rifiuto di vedere davvero e in prima persona che cosa c'è dentro quel corpo esteriore e l'oscenità di cui parlavo prima con la quale si percepisce l'opera di Von Hagens.
Noi non ci sentiamo corpo se non nei momenti in cui lo utilizziamo davvero, ad esempio per correre, per mangiare, per fare sesso ecc., ma è un sentire di tipo meramente percettivo e quindi in definitiva mediato dal pensiero della mente. Diverso è vedere l'interno, impattare con quello che c'è sotto la carne.
La carne stessa, a mio parere, è nella sua "espressività ancestrale" e nel suo essere un messaggio immediato di vita un qualcosa di osceno, tanto che cerchiamo di coprirla e l'atto di scoprirla è interpretato come atto di seduzione o - a seconda dei casi - di volgarità.
Ancora una volta il problema sembra essere nel rapporto dicotomico con il corpo, sia come è "fuori" sia come è "dentro". Non sembriamo essere propensi ad accettarlo, ma piuttosto ad "inventarlo" a nostro uso e consumo.
Infine, il nostro rapporto problematico con il corpo è ancora più enfatizzato dal progressivo ed esponenziale sviluppo delle cyber-relazioni, che riducono sempre più il contatto diretto visivo e percettivo nei rapporti tra esseri umani (ormai siamo abituati agli "emoticon") a vantaggio di una amplificazione dell'immaginazione (e spesso delle illusioni...)  e dell'uso seduttivo del proprio alter ego digitale all'interno di quelli che potremmo definire in tal senso i "social-supermarket digitali delle emozioni"(l'utilizzo di SN come Facebook o Badoo mi sembra che sia sostanzialmente di questo tipo).
Si vogliono vivere (facili) emozioni svincolate dal rapporto diretto (il successo del sesso virtuale direi che è innegabile) e soprattutto si vuole scegliere negli immensi scaffali dei social networks fatti da esseri umani.
Dunque, si perpetua con il digitale una nostra sostanziale idiosincrasia per il corpo fisico in quanto tale, che continua così ad essere quell'involucro - a volte ingombrante altre volte seducente a seconda di come ci pare - che vogliamo a tutti i costi dominare con la mente, magari fingendo che non ci sia da un lato e agognandone il possesso dall'altro. Tutto questo forse è più "osceno" delle opere di Von Hagens (anche perchè è messo in scena in maniera plateale), che dite?


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domenica 10 ottobre 2010

Sulla Terza Cultura e la comunicazione della scienza

Come sempre Ignazio Licata fornisce con i suoi articoli degli ottimi spunti di discussione e quindi colgo l'occasione fornita dal suo "Terza cultura o giusta distanza?" per dire la mia (modesta) opinione sul rapporto tra scienza e società.
Licata inizia così il suo ottimo articolo:
"A volte in un frammento è contenuta un’intera questione. All’altro capo del telefono un’amica umanista (bravissima nel suo campo) : "Hai sentito che la gravità non esiste?” , e poi, con maggiore incertezza: “pare che sia più che altro uno stato mentale”! Il riferimento è naturalmente alla recente teoria elaborata da Erik Verlinde, nell’ambito delle stringhe, sulla “emerging gravity”, questione ben nota in fisica, che inizia con Faraday ed arriva fino a Sacharov e Kleinert. Al solito, estrapolazioni ellittiche, metafore strapazzate, divulgazione a grana grossa, quel Public Understanding of Science con il quale bisogna fare i conti per promuovere lo sviluppo di una società fondata sulla conoscenza, uno degli obiettivi dell’Unione Europea. La suggestione della “terza cultura” di John Brockman ripropone il tema del rapporto tra scienza e società in termini che vanno ormai ben al di là del monito sul rischio di divorzio delle “due culture” di  Percy Snow;"

Ora, prescindendo dalla teoria cosmologica di Erik Verlinde - che molto in sintesi é basata sul principio olografico (per approfondire potete leggere l'articolo originale oppure questi commenti qui e qui) e  nella quale la gravità non è più considerata una "interazione fondamentale" (assieme all'interazione elettromagnetica, l'interazione forte e l'interazione debole), ma una proprietà emergente dell'entropia dell'universo (in sintesi un effetto termodinamico) e che, in tal modo, sembrerebbe (il modello deve essere testato e discusso sulle varie implicazioni) far dileguare l'ipotesi dell' energia oscura che causerebbe l'espansione dell'universo (l'energia oscura sta nel frangente "togliendo il sonno" a parecchi fisici da quando é stata postulata per giustificare l'accelerazione dell'universo) - osserverei innanzittutto (con riferimento alla domanda dell' "amica umanista" di Licata) che chiedersi "cosa esiste" in fisica, come in tutte le scienze, è una domanda molto pericolosa e forse anche non risolvibile nel suo ambito.
E' piuttosto una domanda ontologica e come tale di tipo metafisico, a meno di non voler fare una operazione "kantiana" e "appiattire" l'ontologia sull'epistemologia e quindi far coincidere "come e cosa conosciamo" con "l'esistenza di ciò che conosciamo".
Il logo del sito The Edge fondato da John Brockman


Mi spiego meglio facendo una domanda molto più "banale": esistono i quark? La risposta, a mio parere, è un "rigoroso" dipende!, ossia nel momento in cui gli scienziati misurano sperimentalmente i quark e ne trovano conferma con un rigoroso metodo scientifico, allora i quark sono degli "enti fisici" che possono far parte a pieno titolo del catalogo delle particelle subatomiche all'interno della fisica delle particelle (e solo in quello specifico catalogo).
Ma è evidente che il fatto che i quark dipendano da una misurazione e da una definizione fisico-matematica all'interno di un modello teorico falsificabile non li fa "esistere" a prescindere da tale misurazione, ossia nulla esclude che un domani una nuova teoria accettata dalla comunità scientifica non li ri-descriva in maniera completamente diversa, magari come "modi del campo quantistico" (utilizzo un termine molto generico) o chissà in quale altro modo.
In sintesi, pertanto, i quark "esistono" perchè li abbiamo portati noi ad esistenza con i nostri modelli teorici della realtà (descrizioni del mondo di tipo costruttivistico dal punto di vista epistemologico), ma non esistono in senso "assoluto". Sono delle grandezze fisico-matematiche misurate tramite gli esperimenti, tra l'altro allestiti proprio per "trovarle" dopo averle ipotizzate.

Lo stesso ragionamento potremmo farlo per qualsiasi ente fisico, per cui affermare che la gravità esiste o non esiste direi che ha poco senso se non precisando che il problema fisico é se "la gravità è misurabile oppure no come grandezza fondamentale" all'interno di un modello coerente fisico-matematico accettato dalla maggioranza della comunità scientifica. Il problema fisico è "solo" questo, ossia se la gravità è una grandezza fisica fondamentale oppure no.
La sua esistenza non è un problema fisico risolvibile all'interno della fisica, che non si occupa dell'esistenza dei suoi "oggetti" ma "solo" della loro misurazione.
Entanglement quantistico

Detto questo, vorrei riflettere sul rapporto scienza-società che secondo Licata è viziato da una divulgazione a "grana grossa" e spesso da una demagogia pilotata da esigenze di tipo economico e politico (si rischiano una sorta di "campagne elettorali" della scienza).
In merito è illuminante questo passo dell'articolo:
"Molte sono le insidie  nascoste nel termine “divulgazione”: un sapere i cui risultati “scendono” dalla torre d’avorio del produttore alla valle del consumatore, sfrondati dal “tecnicismo”, dal contesto in cui sono stati concepiti, il tutto condito dal tono friendly di un nuovo “newtonianesimo per le dame” (Algarotti, 1737), e dalla perentorietà della “spiegazione ultima”.  La “terza cultura” promossa da The Edge ha nella complessità e nell’evoluzione i suoi scenari più ampi, e questo dovrebbe ricordarci che sarebbe un rischio di impoverimento ridurre la sovrapposizione  e l’intreccio- anche conflittuale!- delle narrazioni umane su una direttrice univoca. Più volte, con gli amici del gruppo Scienza Semplice, abbiamo ricordato che la scienza è una forma raffinata di artigianato, nasce su problemi specifici e costruisce intorno ad essi approcci, metodologie e strumenti, cammino tutt’altro che lineare e privo di controversie. La scienza è un soggetto plurale e dinamico, non uno schiacciasassi culturale. Come scrive Levy Leblond “un enunciato scientifico non può essere vero o falso, ma solamente vero se e falso ma….la forza della scienza sta proprio nella capacità di definire le condizioni di validità dei suoi enunciati”.


Tutto giusto, almeno lo condivido in gran parte, ma il problema - come ho detto anche altrove - è che il linguaggio della scienza ormai non è più comprensibile dall'uomo di media cultura (figuriamoci dalla "massa"...) - e questo gap in qualche modo deve essere colmato da una divulgazione corretta, ma come? Quali sono le proposte concrete? Chi fa una divulgazione seria e comprensibile?
Inoltre, l'attuale stato dell'arte della fisica, ad essere molto pragmatici, è che il 95% dell'universo non sappiamo cosa sia e gli scienziati lo chiamano materia ed energia oscura (una definizione alquanto inquietante per una scienza cosiddetta "esatta" ... oltre alla ricerca del famigerato "bosone di Higgs" all'LHC di Ginevra che alcuni danno per certa altri un pò meno), a cui si aggiungono teorie che - come dice Ignazio Licata - spesso sono altrettanto oscure e le cui disquisizioni sono comprensibili solo agli "addetti ai lavori".
Un pò troppo, forse, per chi deve vivere a contatto stretto con la dura "realtà classica"!

Dunque cosa fare? E' meglio chiudersi in un "circolo chiuso" e parlare la stessa lingua solo con chi ci comprende o sforzarsi di comunicare alla gente che vuole sapere e ha diritto di sapere cosa sta facendo la scienza, che risultati sta conseguendo e con quali conseguenze?
E' meglio cercare di interagire da protagonisti con una "Terza Cultura" che pur vuole fare la sua parte o "snobbarla" come tentativo di scarsa qualità di mediazione tra scienza e società?
Infine, sarebbe bello poter leggere articoli divulgativi "ben fatti" (nel senso di Licata, quindi ritengo assimilabili a quelli reperibili su arXivanche in italiano, ma è diventata quasi una chimera come ben sa chi come me è sempre con il vocabolario (digitale per fortuna!) a portata di mano.
Un esempio lampante è il già citato LHC di Ginevra, dove sono impegnati diversi scienziati italiani, che però, almeno per quanto mi risulta, scrivono quasi esclusivamente in inglese e per comunicare forse solo con i propri colleghi (vista la difficoltà del linguaggio tecnico utilizzato).
Direi che una comunicazione siffatta è autoreferenziale e sinonimo di scarsa volontà di spiegare in maniera "più semplice" quello che si sta facendo e le sue implicazioni.
Questa spiegazione, ci tengo a sottolinearlo, non è da considerarsi "facoltativa" ma è invece "doverosa" perchè la scienza prima o poi si traduce in tecnologia e quest'ultima ha un impatto come sappiamo forte sull'economia, la cultura e le relazioni sociali. Non vorrei pensare che alla fine il cittadino è considerato dagli stessi scienziati solo nella veste di consumatore...
Pertanto, occorrerebbe essere sempre chiari ed intellegibili in maniera continua e costante attraverso una comunicazione che deve essere segmentata e calibrata opportunamente in base al target dei destinatari, "deficienti" (nel senso di chi manca di conoscenze, non fraintendetemi...) compresi.
Questo, a mio parere, non viene fatto o non spesso ed è una grave lacuna della scienza che troppo spesso delega ad una stampa "sensazionalista" il compito di divulgare le proprie scoperte. Poi, però, non lamentiamoci.

Concludo, affermando la necessità di una Terza Cultura (per usare il termine di Licata) che poi è una cultura della condivisione e della collaborazione dove però se manca il produttore di cultura - nella fattispecie lo scienziato - direi che la scienza rischia di fare un bell'autogol, che forse sta già subendo se è vero che ci interessa (socialmente parlando) più l'Iphone che il bosone piuttosto che il genoma e l'evoluzione delle specie.

La "giusta distanza" non è - imho - un problema, il problema è tentare di ridurla sempre di più e nelle forme possibili, sempre che lo si voglia davvero.

Colgo l'occasione, infine, per salutare - ovunque sia - Ignazio Licata, che come sapete ho avuto l'onore di conoscere.

"Il vero problema si rivela così quello, assai più sottile, non della condivisione dei saperi in astratto, e tantomeno di una loro integrazione forzata, ma la condivisione delle responsabilità e delle scelte in mondo sempre più complesso" (I. Licata)



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sabato 9 ottobre 2010

Una riflessione "volante" sull'etica come ammortizzatore socio-culturale della tecnica

Foto: Istockphoto
Prendo spunto da un post di Giuseppe Granieri, segnalato da Gino Tocchetti su Facebook, che  punta ad un altro post di Kyle Munkittrick intitolato "Does techology help us be more ethical?" per parlare, molto "al volo", di etica e tecnologia.

Lo spunto datomi da Gino è una frase del filosofo Emanuele Severino che recita "la tecnologia in fondo è solo un mezzo per produrre nuovi fini", che mi ha fatto riflettere ancora una volta sul rapporto fra tecnologia ed il suo impatto sulla società e la cultura e quindi sull'etica.

In primis, vorrei riportare le conclusioni di Munkittrick nel suo articolo :

"My argument is that technology can actually create new ethical problems and moral decisions because it allows events that were once impossible. In the case of vat grown meat, tech allows us to have our happy cows and eat them too, making our being moral all the easier. In the case of designer babies, tech gives us a big heaping batch of new problems to fret and argue over",

che è, evidentemente, più che condivisibile ma che non affronta il rapporto fra tecnologia ed etica che, a mio parere, è già molto chiaramente sotto i nostri occhi più o meno attenti.

Riporto, pertanto, il mio commento su FB a Gino per chiarire il mio pensiero in merito.

"La tecnologia produce, a mio parere, nuove abitudini di consumo e ridefinisce le relazioni sociali umane, mentre i fini non mi pare che siano molto cambiati per effetto della medesima a meno che non ipotizziamo la chimera dell'immortalità (che poi è vecchia come l'uomo) o le teorie del transumanismo.
Il fine della tecnologia, in fondo, è di perpetuare sé stessa e di creare "nuova potenza" per conquistare nuovi spazi d'azione e quindi di possibilità
Queste nuove possibilità (che personalmente non confonderei con il concetto di "fine"), alla lunga, è difficile che non siano utilizzate ed è solo questione di tempo, di metabolizzazione culturale e di capacità economica dei singoli di acquisirle. L'etica in tutto questo rappresenta una sorta di "ammortizzatore temporaneo" che agisce in maniera per altro molto asimmetrica a seconda dei paesi e delle culture.

La tecnologia, in definitiva, "irrompe" improvvisamente nelle nostre vite e le cambia su scala globale sul piano delle possibilità che crea, ma l'essere umano resta in fondo "qualcosa di diverso" rispetto alla tecnica e questo lo sta portando a volersi ibridare fino a confondersi con essa per eludere e colmare questa "differenza"
I prodotti della tecnologia sono "belli", "funzionali", "sostituibili", "aggiornabili"  ecc. e il processo in atto, anche culturale, è in tale direzione anche per l'essere umano, inteso come macchina-processo psico-biologico manipolabile tecnologicamente con le NBRIC (nanotech, biotech, robotica, infotech e cognitive sciences).
Il fattore tempo e la funzione dell'etica come "ammortizzatore socio-culturale" saranno quelli che, a mio parere, ci "separereranno" - creando una sorta di "cuscinetto" per consentire l'assorbimento delle novità - da una inevitabile e sempre più "radicale" fusione con la tecnologia.
Non saprei se tutto ciò sarà "etico" (ma cosa è l'etica?...si potrebbe discuterne per ore...) o meno, ma ipotizzo che l'etica sarà sempre più fortemente subordinata alle possibilità offerte dalla tecnologia (e dalle sue connessioni con il potere economico), che ci piaccia o meno, e che quindi in sostanza la tecnologia tenderà a diventare sempre più una scelta individuale (con rischi di esclusione per le fasce economicamente meno abbienti) più che sociale in senso stretto".

Aggiungo che in tale processo la regolamentazione giuridica dovrà disciplinare soprattutto la privacy delle informazioni che scaturiranno dal processo di "manipolazione tecnologica" dell'essere umano, come si può facilmente dedurre leggendo ad esempio questo articolo sui test genetici.
Se poi tutto ciò ci aiuterà ad essere più "etici", lascio a voi la risposta.


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