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sabato 11 gennaio 2014

Tra "divenire zombie" ed il desiderio di cambiamento (3ª Parte)


"Come passiamo dall’ambiente «naturale» a quello «simbolico»? Il passaggio non è diretto, non si può spiegare con una narrazione evolutiva continua: deve intervenire qualcosa tra i due momenti, una sorta di «mediatore evanescente», che non è né la Natura né la Cultura; questo inter-mezzo non è la scintilla del logos consegnata magicamente all’homo sapiens, che lo rende capace di formare il suo ambiente virtuale e simbolico supplementare, ma precisamente qualcosa che, sebbene non sia più natura, non è ancora logos, e deve essere «represso» dal logos – il nome freudiano di questo inter-mezzo è, naturalmente, la pulsione di morte."

(…)

Slavoj Zizek
"A un esame attento, appare evidente che, per Kant, disciplina ed educazione non operano direttamente sulla nostra natura animale, forgiandola in individualità umana: come spiega Kant, gli animali non possono propriamente essere educati, poiché il loro comportamento è predeterminato dagli istinti. Il che significa, paradossalmente, che per essere educato alla libertà (qua autonomia morale e auto-responsabilità) io devo già essere libero in un senso molto più radicale, «noumenico», anche mostruoso. Il nome freudiano di questa libertà mostruosa è, di nuovo, la pulsione di morte."

(Slavoj Zizek, Meno di niente. Hegel e l'ombra del materialismo dialettico, 2013)


L'idea del soggetto che è ampiamente consolidata nella nostra cultura occidentale è quella di un individuo finito, limitato, mortale, sostanzialmente "solo" ed in competizione con il "resto del mondo", che, abbinata alla assiomatica capitalistica ed a quella democratica meramente formale, produce una moltitudine di soggettività catturate da quella pulsione originaria che in psicanalisi viene denominata "pulsione di morte" e che è, come ben dice Zizek nel suo ultimo libro "Meno di niente" (2013), un movimento circolare che si auto-alimenta e si ripete come fine a sé stesso,"il nocciolo «inumano» dell’umano (...) il cui vero obiettivo non è il fine (l’oggetto), ma il tentativo ripetuto di raggiungere l’oggetto (per esempio, ciò che determina la soddisfazione nella pulsione orale non è il suo oggetto [il latte] ma l’atto ripetuto di succhiare). Allora possiamo concepire la curvatura, il suo movimento circolare, ontologicamente secondario, come un modo di volgere il fallimento del desiderio in appagamento." (cit.)

Credit: Euphoria #2 di Afsaneh Dehbozorgi
Tale "pulsione-curvatura", che non si contrappone ma è complementare al "desiderio-mancanza", è predominante nella nostra dimensione esistenziale quotidiana e genera nel suo eccesso continuo le patologie psico-socio-culturali tipiche di cui si accennava nel precedente post: ansia, depressione, anoressia, bulimia, disturbi psicotici che prevalgono su quelli più "classicamente" nevrotici.

La pulsione di morte, d'altro canto, possiamo considerarla una sorta di ripetizione "acefala" del non-morto e possiamo accostarla al concetto di zombie attraverso le seguenti parole sempre di Zizek:

"(...) al livello più elementare della nostra identità umana, siamo tutti zombie; le nostre «alte» e «libere» attività umane dipendono dall’affidabilità delle nostre abitudini da zombie – in questo senso, essere-uno-zombie è il grado-zero di umanità, l’inumano dell’umano o il suo nucleo meccanico. Il trauma che deriva dall’incontro con uno zombie, perciò, non è il trauma dell’incontro con un’entità straniera, ma il trauma di ritrovarsi dinnanzi al fondamento disconosciuto della nostra umanità".

Essa, inoltre, è strettamente legata al concetto di nichilismo, che è diventato una sorta di vuoto significante, genericamente associato alla negazione di ogni valore o senso, dove ognuno vede nell'altro il "nichilista di turno" senza nemmeno più sapere cosa intende per "nichilista".

Gli iper-concetti da cui siamo offuscati da sempre (quello di Dio ne è l'emblema, ma lo sono anche il Mercato, il Partito, il Capitale, lo Stato ecc.) sono in tal senso la simbolizzazione del nostro "logos diviso all'origine" di questa pulsione originaria che è la pulsione di morte, intesa - proprio nel senso di Zizek - come "grado zero dell'umano" e contemporaneamente come "l'inumano dell'umano", che può portare all'auto-distruzione come estremo "godimento maligno", ma che d'altronde è anche la fonte di una "libertà mostruosa", tipicamente umana, di negare anche la stessa negazione, che potremmo riassumere nel famoso "eppur si muove" di Galileo (costretto a negare il sistema eliocentrico per non essere vittima dell'Inquisizione della Chiesa cattolica, ma che nell'immaginario tramandato come "personaggio concettuale" pronunciò la frase in esame).

Il legame profondo degli iper-concetti all'inconscio ed alla pulsione di morte è ancora ben sintetizzata da Zizek:

"Ciò che qui si annida sullo sfondo è il detto di Lacan la verité surgit de la méprise (la verità emerge dalla menzogna, NdA), o più precisamente, de la méprise du 'sss' (sujet supposé savoir, soggetto supposto sapere, NdA): non possiamo pervenire direttamente all’inesistenza del grande Altro, dobbiamo prima essere ingannati dall’Altro, perché le Nom-du-Père (Nome del Padre, NdA) significa che le non-dupes errent: chi rifiuta di soccombere all’illusione di 'sss' non coglie nemmeno la verità celata da questa illusione. Quanto detto ci riporta alla proposizione «Dio è inconscio»: «Dio» (come soggetto supposto sapere, come grande Altro, come il destinatario ultimo al di là di tutti i destinatari empirici) è una struttura di linguaggio permanente e costitutiva; senza di Lui siamo nella psicosi, senza il luogo di Dio-Padre il soggetto sprofonda in un delirio schreberiano. Dio come 'sss' è insuperabile, nella sua dimensione fondamentale di grande Altro, di luogo della Verità. Il grande Altro è quindi il livello zero del divino, è «appunto il luogo in cui, se mi concedete il gioco, si produce il dio – il dior – il dire (le dieu – le dieur – le dire). In men che non si dica, il dire fa Dio. E finché qualcosa si dirà, l’ipotesi Dio ci sarà».
Non appena parliamo, noi (inconsciamente, almeno) crediamo in Dio. È qui che incontriamo il «materialismo teologico» di Lacan allo stato puro: è la parola (la nostra, in definitiva) che crea Dio; tuttavia, Dio è là non appena parliamo (…)".

Credit: Dino Buzzati
Detto questo, possiamo continuare (riprenderò in futuro il materialismo dialettico di Zizek) con l'introduzione del concetto di soggetto, di evento e di cambiamento proposti dalla dialettica materialista di Alain Badiou - che ontologicamente egli definisce anche platonismo del molteplice - per cercare di concettualizzare delle alternative alle "semantiche" predominanti che vedono il soggetto come una "vittima della finitudine" che non ha altre alternative che nel godimento acefalo di tipo consumistico o in quello della attesa della vita eterna secondo le varie teologie religiose monoteiste o ancora nel raggiungimento del nirvana del buddismo (quindi l'annullamento dell'io, la negazione delle passioni mondane, per poi tramutarlo in compassione nella vita finalizzata a ridurne le sofferenze, che denota - se ci riflettiamo - un minimo di contraddizione in termini) o le molteplici varianti delle religioni di tipo panteista o politeista.

L'ontologia badusiana si fonda sul concetto di molteplicità, in particolare quella generica associata al concetto di verità, e su quella di vuoto, mediante una ridefinizione meta-ontologica della teoria degli insiemi (fondata da Georg Cantor) della matematica, secondo l'assiomatica ZFC (Zermelo-Fraenkel con l'aggiunta dell'assioma della scelta).

Si tratta di una ontologia radicale in quanto postula che il linguaggio dell' "essere in quanto essere" (l'essere "in sé") è il linguaggio matematico e che, in generale, è il "matema" a poter nominare l'essere e a "suturarsi" ad esso meglio di qualsiasi altro linguaggio, in quanto l'essere è inconsistente, molteplicità di molteplicità irriducibile e permeato dal vuoto (il vuoto erra nell'essere, così come l'insieme vuoto esiste ed è incluso in qualsiasi insieme, cioè ne è sottoinsieme) e, quindi, presenta una sorta di "isomorfismo" con l'astrattezza letterale della matematica (in tal senso, non è un caso che il linguaggio della fisica sia matematico o anche quello della biologia teorica e, in generale, delle scienze cosiddette "dure").

Una conseguenza fondamentale dell'ontologia del molteplice badusiana è che l' "Uno non è" (così come il "Tutto non è"), ma è solo una struttura di conto, cioè quella che lui chiama il "conto per uno", in quanto l'essere è sempre molteplicità di molteplicità e non può mai essere "ridotto ad uno" se non da un punto di vista fenomenologico, cioè nel suo "apparire ed essere contato come uno" in base a leggi o regolarità strutturali dipendenti, come vedremo, dal particolare Trascendentale a-soggettivo di un certo mondo.

 Masked Woman Sitting by the Window- Jeff Bartels
L'essere, pertanto, è inconsistente in sé ("astratto" potremmo dire in termini matematici) e "diventa consistente" attraverso il "conto per uno", ossia nel suo strutturarsi fenomenologico in un mondo (è evidente qui una differenza ontologica - molto diversa da quella heideggeriana essere-ente - fra essere-apparire, cosa in sé-oggetto mondano, matematica-logica) ed è nominato, per questa inconsistenza, con un nome proprio: quello del vuoto (che in matematica è simboleggiato con ).

Infatti, in base alla teoria degli insiemi, il vuoto esiste (è un assioma, ma Badiou ne dimostra anche la "necessità" come "assioma originario") ed è al fondamento della costruzione di tutti gli altri numeri che possono essere espressi tramite di esso (da qui l'affermazione sopracitata che il vuoto erra nell'essere).

La novità è che l'essere in sé di Badiou, a differenza di quello di Kant, è pienamente conoscibile mediante l'Idea matematica e la teoria degli insiemi, che nominano proprio l'essere in quanto tale (mediante la teoria degli insiemi si possono generalizzare e descrivere tutte le altre teorie matematiche grazie al suo elevato grado di astrattezza), lasciando emergere quello che già Parmenide affermava ossia che "è infatti la stessa cosa pensare ed essere" (frammento 3).

Qui occorre precisare che se il linguaggio che nomina l'essere è quello matematico, ragion per cui la matematica diventa per Badiou l' unica ontologia "sottraendo" tale compito alla filosofia (che vedrà nella matematica una delle sue condizioni di verità, assieme alle altre scienze, all'arte, all'amore ed alla politica), ciò non significa che "l'essere è matematico", ma solo che il linguaggio matematico è quello che può parlare e suturarsi meglio degli altri all'essere in quanto tale grazie al suo elevato grado di astrattezza e di "letteralità" (come dice Badiou, in fondo, la matematica è un "pensare la lettera").

La costruzione ontologica innovativa e radicale di Badiou è, sulla scia di Lacan, quella di scindere la verità dall'essere in quanto tale (a differenza di Heidegger e della sua "ontologia della presenza" e della concezione della verità come "aletheia"), in quanto l'essere in sé non ha alcun Senso né alcuna Verità, ma è piuttosto "bucato" dalla verità da intendere come molteplicità di molteplicità essa stessa.

Credit: Endorfinas - Francisco Campla
In particolare, Badiou partendo dal concetto di insieme generico e da quello di procedura di forcing (vedi punto 5. del link) elaborati dal matematico Paul Cohen nel 1963 per dimostrare l'indipendenza dell'ipotesi del continuo dal sistema assiomatico ZF, costruisce il suo concetto meta-ontologico di verità (cioè filosofico) come molteplice generico e come procedura infinita che va sottoposta ad indagine in modo da ispezionarne e rilevarne l'origine evenemenziale, in quanto la verità di Badiou, "bucando" l'essere in quanto tale, emerge da quello che lui chiama l'Evento, che matematicamente è definito dal filosofo come un iper-insieme ossia un insieme che appartiene a sè stesso e che viene detto anche "non ben fondato" in quanto per esso non vale l'assioma di regolarità o di fondatezza (una tipologia di insieme che non è contemplato dalla teoria degli insiemi standard, ma che invece è utile, ad esempio, nell'informatica).

Possiamo, in estrema sintesi, dire che un insieme generico G è un insieme infinito che ha tutte le proprietà che vogliamo rispetto ad un modello M di ZFC e la cui esistenza si dimostra attraverso il “forcing”, che - sempre in sintesi - lo approssima attraverso delle condizioni (G in realtà non ha predicati, è “sottratto ad ogni predicato” nel linguaggio e, pertanto, può – e deve - in linea di principio averne “qualsiasi” rispetto ad un insieme dato. Le condizioni lo forzano ad "essere in un modo piuttosto che in un altro").

Tale insieme generico consente, nel caso della teoria degli insiemi ZFC, di estendere il modello M di ZFC e di creare un modello M[G] per il quale, nella costruzione originaria di Cohen, l'ipotesi del continuo non è valida. Da ciò consegue che l'ipotesi del continuo in M è indecidibile o, che è lo stesso, che essa è indipendente dagli assiomi di ZFC.
Più in generale, quindi, l'insieme generico e la procedura di forcing consentono di verificare le condizioni di verità di un modello della teoria degli insiemi.

L'insieme generico di Cohen viene da Badiou assimilato all' indiscernibile di Leibniz (in quanto esso ha "tutte le proprietà che vogliamo", è sottratto all'autorità della lingua, è "indicibile" se non sotto condizione e quindi non ha una unica formula che lo definisce, ma potenzialmente infinite formule).

E' evidente qui come viene costruita la meta-ontologia badusiana,  sulla base della ontologia matematica, in cui possiamo distinguere fra:

1. l' Essere in sé: che è nominato dalla teoria matematica degli insiemi standard, che è la vera e propria ontologia;
2. l'Evento: che è una rottura dell'ordine dell'essere dovuta all'esistenza di molteplicità generiche che ne determinano una intrinseca "casualità irreversibilmente sottratta ad ogni nominazione" (cit. "Manifesto per la filosofia", A. Badiou, 2008), di cui invece si deve occupare la filosofia.

Leggiamo lo stesso Badiou dal "Manifesto per la filosofia" (2008):

"La categoria centrale è qui quella della molteplicità generica. Essa ha la funzione di fondare il platonismo del molteplice consentendo di pensare una verità sia come risultato molteplice di una procedura singolare, sia come buco o sottrazione nel campo del nominabile. 
Essa rende possibile assumere un'ontologia del molteplice puro senza rinunciare alla verità e senza dover riconoscere il carattere costitutivo della variazione linguistica. 
Essa è inoltre l'ossatura di uno spazio di pensiero in cui si lasciano raccogliere e situare come compossibili le quattro condizioni della filosofia (scienza, arte, politica, amore, NdA).
Poesia, matema, politica creativa e amore, nel loro stato contemporaneo, non saranno in effetti nient'altro che regimi di produzione effettiva, in situazioni molteplici, di molteplici generici che traducono in verità tali situazioni.
Originariamente il concetto di molteplice generico è stato prodotto nel campo della ricerca matematica. Venne infatti introdotto da Paul Cohen, all'inizio degli anni sessanta, per risolvere dei problemi molto tecnici rimasti in sospeso per quasi un secolo, che vertevano sulla "potenza", o quantità pura, di alcune molteplicità infinite.
Possiamo dire che il concetto di molteplice generico è il punto terminale della prima tappa di quella teoria ontologica che, a partire da Cantor, porta il nome di "teoria degli insiemi". Ne L'essere e l'evento ho esposto in modo completo la dialettica fra l'elaborazione matematica della teoria del molteplice puro e le formulazioni concettuali che possono oggi rifondare la filosofia. Tutto ciò in base all'ipotesi generale che il pensiero dell'essere-in-quanto-essere trova compimento nelle matematiche e che, per recepire e rendere compossibili le proprie condizioni, la filosofia deve determinare "quel che non è l'essere in quanto essere" e che corrisponde alla mia definizione di evento.
Il concetto di genericità è introdotto per rendere conto degli effetti, interni a una situazione molteplice, di un evento che la supplementa (ricordiamo che in matematica l'insieme generico "supplementa" il modello della teoria degli insiemi e serve a crearne una estensione sulla quale si verifica la verità o meno di un assioma/condizione del modello, NdA).
Esso definisce lo statuto di alcune molteplicità che si inscrivono simultaneamente in situazione e al tempo stesso v'intessono in modo consistente una casualità irreversibilmente sottratta ad ogni nominazione. Questa intersezione molteplice tra la consistenza regolata di una situazione e l'alea dell'evento che la supplementa è per l'appunto il luogo di una verità della situazione.
Questa verità rileva da una procedura infinita, e tutto ciò che si può dire di essa è soltanto che, supponendo il compimento della procedura, "sarà stata" generica o indiscernibile".


Anima omnis in sanguine est- Saturno Buttò 2012
Poi Badiou elenca tre criteri ai quali deve "obbedire" una verità (ricordo che le verità sono molteplici):

"1. Poiché deve essere verità di un molteplice, e questo senza ricorso alcuno alla trascendenza dell'Uno, occorre che sia una produzione immanente a questo molteplice. Una verità sarà una parte del molteplice iniziale, della situazione di cui è verità;
2. Poiché l'essere è molteplice, e occorre che la verità sia, una verità sarà un molteplice, quindi una parte molteplice della situazione di cui è verità. Beninteso, non potrebbe essere una parte "già" data o presente. Essa sarà il risultato di una procedura singolare. Questa procedura, infatti, non potrà essere avviata se non da un supplemento, da qualcosa in eccesso rispetto alla situazione, ossia da un evento. Una verità è il risultato infinito di un supplemento casuale. Ogni verità è "post-evenemenziale". In particolare, non c'è verità "strutturale" o oggettiva. Degli enunciati strutturali riscontrabili nella situazione non diremo mai che sono veri, ma soltanto che sono veridici. Non rilevano dalla verità, ma dal sapere;
3. Poiché l'essere della situazione è la sua inconsistenza, una verità di questo essere si presenterà come molteplicità qualunque, parte anonima, consistenza ridotta alla presentazione come tale, senza predicato né singolarità nominabile. Una verità sarà così una parte generica della situazione, dove "generica" indica che essa ne è una parte qualunque, che non dice nulla di particolare sulla situazione, se non per l'appunto il suo essere molteplice in quanto tale, la sua fondamentale inconsistenza.
Una verità è questa consistenza minima (una parte, un'immanenza senza concetto) che svela nella situazione l'inconsistenza che ne costituisce l'essere. Ma dato che inizialmente ogni parte della situazione è presentata come singolare, nominabile, regolata in base alla consistenza, la parte generica che è una verità dovrà essere prodotta. Essa costituirà l'infinito orizzonte molteplice di una procedura post-evenemenziale, che chiameremo procedura generica.
Poesia, matema, politica creativa, e amore sono proprio i diversi tipi possibili di procedure generiche. Quel che producono (l'innominabile nella lingua stessa, la potenza della pura lettera, la volontà generale come forza anonima di ogni volontà nominabile, e il Due della sessualità come ciò che non è mai stato contato come uno) in situazioni variabili non è mai altro se non una verità di tali situazioni sotto forma di un molteplice generico, di cui nessuno può dedurre il nome né discernere in anticipo lo statuto.
A partire da un tale concetto di verità, come produzione post-evenemenziale di un molteplice generico della situazione di cui è verità, siamo in grado di riannodare la triade costitutiva della filosofia moderna: essere, soggetto e verità.
Riguardo all'essere in quanto essere diremo che le matematiche costituiscono storicamente il solo pensiero possibile, dato che sono, nella potenza vuota della lettera, l'inscrizione infinita del molteplice puro, del molteplice senza predicato, e che tale è il fondo di quel che è dato, colto nella sua presentazione. Le matematiche sono l'ontologia effettiva.
Riguardo alla verità, diremo che essa è sospesa a questa donazione di supplemento singolare che è l'evento e che il suo essere, molteplice come l'essere di tutto ciò che è, è quello di una parte generica, indiscernibile, qualunque, che enuncia il proprio essere effettuando il molteplice nell'anonimato della propria molteplicità.
Riguardo al soggetto, infine, diremo che esso è un momento finito della procedura generica. In tal senso, è significativo dover concludere che non esiste soggetto se non nell'ambito dei quattro tipi di genericità.
Ogni soggetto è artistico, scientifico, politico o amoroso. Cosa che del resto ciascuno sa in base all'esperienza, perché al di fuori di questi registri c'è solo esistenza o individualità, ma non soggetto.
La genericità, cuore concettuale di un gesto platonico rivolto al molteplice, fonda l'inscrizione e la compossibilità delle condizioni contemporanee della filosofia. Della politica creativa, quando esiste, sappiamo, quanto meno dal 1973, che essa non può essere oggi se non egualitaria, antistatale, in grado di riversare nello spessore storico e sociale la genericità dell'umano e la decostruzione delle sue stratificazioni, il disfacimento delle rappresentazioni differenziali o gerarchiche, l'attuazione di un comunismo delle singolarità. Della poesia sappiamo che essa esplora una lingua inseparata, accessibile a tutti, non strumentale, una parola che fonda la genericità della parola stessa. Del matema sappiamo che esso coglie il molteplice scevro da ogni distinzione presentativa, la genericità dell'essere molteplice. Dell'amore, infine, sappiamo che, al di là dell'incontro, esso si dichiara fedele al puro Due che fonda e che fa una verità generica del fatto che ci siano uomini e donne. La filosofia è oggi il pensiero del generico come tale (...)".

L'ontologia di Badiou è una ontologia di tipo sottrattivo che si contrappone alle ontologie della presenza come quella di Heidegger, in quanto sottrae la verità alla "griglia del senso" (cit.) e considera la filosofia "un atto insensato e per ciò stesso razionale" (cit.), sottratto all'interpretazione della mera esperienza ma, invece, dedicato alla verità come molteplice generico che destabilizza l'ordine del sapere e dell'essere.

Leggiamo ancora questo passo fondamentale:

"Le operazioni sottrattive attraverso cui la filosofia coglie le verità "fuori senso" rilevano da quattro modalità : l'indecidibile, che si rapporta all'evento (una verità non è, ma avviene); l'indiscernibile, che si rapporta alla libertà (il percorso di una verità non è vincolato, ma casuale); il generico, che si rapporta all'essere (l'essere di una verità è un insieme infinito sottratto a ogni predicato nel sapere); l'innominabile, che si rapporta al Bene (forzare la nominazione di un innominabile genera il disastro).
Lo schema di connessione fra le quattro figure del sottrattivo (indecidibile, indiscernibile, generico e innominabile) specifica una dottrina filosofica della Verità. Tale schema stabilisce un ordine tra il pensiero del vuoto e le verità colte attraverso di esso".


Credit: Fren Hendrik
Nel libro "L'essere e l'evento" (1995) Badiou ha elaborato la sua ontologia sottrattiva della verità, ma il suo pensiero mancava di una "fenomenologia" che è poi stata elaborata con " Logiques des mondes. L'Etre et l'événement : Tome 2" (2006, tr. inglese 2009, tr. italiana ad oggi mancante), in cui, come dicevo in precedenza, viene definita pienamente la differenza ontologica fra essere e apparire come differenza fra matematica e logica, e dove viene elaborata dal filosofo francese una Grande Logica che nel suo intento dovrebbe poter includere le varie logiche particolari e consentire di descrivere le relazioni fra l'essere ed i mondi fenomenologici strutturati.

Ne parleremo nel prossimo post, dove in relazione alla teoria badusiana del cambiamento le seguenti definizioni verranno esaminate meglio e dove si accennerà alla teoria del soggetto che per Badiou è di tipo essenzialmente "metafisico" (formalizzata con dei matemi di "tipo lacaniano") e distinta in tre tipi essenziali (soggetto fedele alla verità evenemenziale, soggetto reattivo e soggetto oscuro):

Credit: Logics of Worlds, A. Badiou
"We have called modification the simple becoming of a world, seen from the standpoint of an object of that world. Since it is internal to the established transcendental correlations, modification does not call for a site.
We will call fact a site whose intensity of existence is not maximal.
We will call singularity a site whose intensity of existence is maximal.
We now have at our disposal three distinct degrees of change: modification, which is ontologically neutral and transcendentally regular; the fact, which is ontologically supernumerary but existentially (and thus logically) weak; singularity, which is ontologically supernumerary and whose value of appearance (or of existence) is maximal."

(da Logics of worlds, Alain Badiou, 2006, trad. inglese 2009)

"Abbiamo chiamato modificazione il semplice divenire di un mondo, osservato dalla prospettiva di un oggetto di quel mondo.
Nella misura in cui è interna alle correlazioni del trascendentale di quel mondo, la modificazione non richiede un sito.
Chiameremo fatto un sito la cui intensità di esistenza non è massima.
Chiameremo singolarità un sito la cui intensità di esistenza è massima.
Adesso abbiamo a nostra disposizione tre distinti gradi di cambiamento: la modificazione, che è ontologicamente neutra e normale; il fatto, che è ontologicamente straordinario ma esistenzialmente (e logicamente) debole; la singolarità che è ontologicamente straordinaria ed il cui valore di apparire (o di esistenza) è massimo."

(traduzione mia)

(…)

"The ontology of a site can thus be described in terms of three properties:
1. A site is a reflexive multiplicity, which belongs to itself and thereby transgresses the laws of being.
2. Because it carries out a transitory cancellation of the gap between being and being-there, a site is the instantaneous revelation of the void that haunts multiplicities.
3. A site is an ontological figure of the instant: it appears only to disappear."

"L'ontologia di un Sito può essere descritta nei termini di tre proprietà;
1. Un sito è un molteplice riflessivo (un iper-insieme, NdT), che appartiene a sé stesso e che pertanto trasgredisce le leggi dell'essere;
2. Poiché fa emergere un transitorio annullamento dello scarto fra essere ed apparire, un sito è la rivelazione istantanea del vuoto che erra nel molteplice.
3. Un sito è una figura ontologica dell'istante: appare solo per svanire."

(traduzione mia)

(…)

"Since it is characterized by a maximal intensity of existence, singularity lies farther than fact from mere immanent modification. If we are now obliged to distinguish between weak singularities and strong singularities, it is in terms of the links of consequence which the vanished site establishes with the other elements of the object that had presented it in the world. 
In brief, we can say that existing maximally for the duration of its appearance/disappearance confers on the site the power of a singularity—but that the force of a singularity lies in making its consequences, and not just itself, exist maximally. 
We reserve the name ‘event’ for a strong singularity [singularité forte]."

"Poiché è caratterizzata da una massima intensità di esistenza, la singolarità si distanzia più del fatto dalla mera modificazione immanente.
Se siamo obbligati a distinguere fra singolarità deboli e singolarità forti, ciò è dovuto alla rete di conseguenze che il sito evanescente ha instaurato con gli altri elementi dell'oggetto (un molteplice del mondo, NdT) che ha fatto apparire nel mondo.
In breve, possiamo dire che esistendo massimamente per la durata della sua apparizione/sparizione ciò conferisce al sito il potere di una singolarità, ma che la forza di una singolarità risiede nel realizzare massimamente le sue conseguenze e non in sé stessa.
Riserveremo il nome di "evento" a tale singolarità forte."

(traduzione mia)

sabato 28 settembre 2013

Tra "divenire zombie" ed il desiderio di cambiamento (2ª Parte)


"Il mondo dei fantasmi è quello che 
non abbiamo finito di conquistare" 
(Henry Miller, Sexus) 

"Il solo mito moderno è quello degli zombie - schizo mortificati, 
buoni per  il lavoro, ricondotti alla ragione"
(Deleuze-Guattari, L'Anti Edipo)




Rick Genest, alias "Zombie Boy"


II) "Divenire zombie" come conseguenza della morte di Dio

Cosa vuol dire che l'epoca della "morte di Dio" è anche quella del "divenire zombie"

Vuol dire che nel mondo contemporaneo (o, meglio, nei mondi della contemporaneità), caratterizzato dalla frantumazione di ogni ideale e di ogni fede (o, all'opposto, dalla sua esaltazione ossessiva), l'essere umano tuttavia non si è ancora svincolato dalla dipendenza e dall'assoggettamento agli iper-concetti trascendenti ed ai miti nelle loro varie declinazioni religiose (Dio, Chiesa, ecc.), sociali (Famiglia, Università, Moda ecc.), politico-burocratiche (Stato, Partito, Democrazia, Istituzione ecc.), economiche (Capitale, Mercato, Sviluppo, Crescita, ecc.), metafisiche (miti poetici, artistici, neo-pagani, new age ecc.), che anzi continuano a dominare in una sorta di macabra e ripetitiva ritualità priva di ogni reale senso di appartenenza da parte dei singoli se non di facciata. 

Chiamerò "divenire zombie" questo processo di sopravvivenza post-mortem degli iper-concetti di tipo trascendente, in analogia al mito dello zombie della fiction, le cui origini sono in genere fatte risalire ad Haiti dove si narra che i lavoratori delle piantagioni di canna da zucchero venissero drogati e ridotti in uno stato di schiavitù e che ciò abbia contribuito a creare (o a rafforzare) il mito dei morti viventi delle credenze popolari. 

La nostra è una società iper-mediatica, dunque intrinsecamente e profondamente annodata alla fiction, ed è per eccellenza quella che riesce a rendere reale ciò che è finzione e viceversa a rendere finzione ciò che è reale in un gioco continuo di scambio dove è più che evidente che i confini fra realtà e fiction hanno perso ogni consistenza, e pertanto risulta essere lo spazio ideale per la creazione, la diffusione e la perpetuazione di fantasmi collettivi

Viviamo in uno spazio iper-tecno-capitalistico dove coesistono contemporaneamente, in quella che chiamiamo la rete globale, una infinità di credenze ed opinioni (l'impero della doxa) che si diffondono senza la possibilità nè la volontà di approfondirne la attendibilità e men che mai la verità

In questo spazio dai connotati più disumani che umani, la "morte di Dio", intesa, come già detto nel precedente post, sia letteralmente che come morte del Dio metafisico e di quello dei poeti (questi ultimi due però continuano ad esistere come "zombie"), si sta consumando in realtà da un lato come iper-cinismo fondato sulla potenza decodificante del capitale (una macchina "schizofrenica" che riesce ad adattarsi ed a proliferare epidemicamente a prescindere da fattori culturali specifici e regionali) e sulla sua funzione principale di "produzione di desiderio di consumo" e dall'altro come proliferazione di fantasmi e ri-presentazione degli iper-concetti trascendenti che il postmodernismo sembrava solo in apparenza aver decostruito definitivamente fino a rendere dei meri simulacri.
Credit: Auerback to the future 1, Sophie Derrick 

Se è vero (sul concetto di verità torneremo in seguito) che "Dio è morto", è però accaduto che esso è ritornato e si ripete come "morto vivente", ossia come zombie ipertrofico e multi-metamorfico: fondamentalismi religiosi, piazze gremite in San Pietro ad acclamare il Papa (che pur è fra i pochi a dire cose sensate nella loro "ovvietà" - come la ormai famosa frase sui gay - che però appare "innovativa" se pronunciata dalla bocca di un papa che viene dalla "fine del mondo", soprattutto dopo il "teologo" Ratzinger), recenti video surreali di leader politici condannati dalla magistratura ed acclamati dai propri "tirapiedi" e dal "popolino" adulante e rabbioso, nuove ed improbabili guerre fredde attorno a paesi medio-orientali dilaniati dalla guerra civile, scontri tragicomici fra pseudo-leader politici fondati su slogan populistici, una pervasiva cultura dell'immagine e della fiction, del marketing, della comunicazione, del consenso, del consumo ossessivo (tra cui droghe e farmaci) e delle statistiche, un'etica occidentalizzata dei diritti umani, guerre umanitarie, una bioetica da talk show, il proliferare del "neuro" e del "quanto" qualcosa come spiegazioni "tuttologiche" della "snack-culture", ovunque regna pressoché incontrastato uno zombie del pensiero che si manifesta come reale o addirittura come "unica realtà possibile" o, magari, come "verità".

E' come se la morte di Dio fosse in realtà stata una sorta di esplosione letale dalla quale si sono promanati una infinità di frammenti che continuano ad esistere nella forma di zombie contagiosi ed epidemici, tanto più pericolosi per il fatto che sono dei morti-viventi che è difficile se non impossibile poter uccidere un'altra volta senza che ritornino di nuovo (anche se nella fiction è possibile ucciderli tagliando loro la testa, anche qui con un significato metaforico nemmeno tanto nascosto).

Lo zombie è la forma di immortalità dell'iper-concetto, dell'Uno (come direbbe Badiou "l'Uno non è", e aggiungo io dell'Uno che non è, ma diviene come zombie, ossia come fenomeno di ripetizione acefala dello stesso).



Credit: Peeking, Shin-Young An
Come scrive lo psicanalista lacaniano Massimo Recalcati nel suo "L'uomo senza inconscio. Figure della nuova clinica psicanalitica" (2010), è il vuoto a pervadere quel che resta del soggetto contemporaneo (non il vuoto ontologico di Alain Badiou di cui parlavo nel post precedente, ma un vuoto fenomenologico-esistenziale) tanto che oggi si parla di clinica del vuoto in relazione a patologie sempre più diffuse come l'anoressia, gli attacchi di panico e le depressioni, tutte accomunate dalla predominanza della pulsione di morte e dalla entrata in scena prepotente del reale del godimento (la jouissance di Lacan, la volontà di possedere la Cosa di godimento) rispetto alle più classiche patologie del desiderio e della rimozione della clinica della nevrosi o della psicosi.

Sempre Recalcati nel suo "Ritratti del desiderio" (2012), dove elenca dieci tipologie di desiderio (invidioso, dell'Altro, desiderio e angoscia, desiderio di niente, desiderio di godere, desiderio dell'Altrove, desiderio sessuale, desiderio amoroso, desiderio di morte, desiderio dell'analista) parla del desiderio di niente e scrive:


"Il desiderio come desiderio di niente sembra invece sganciarsi da ogni relazione con l'Altro. Non è più desiderio dell'Altro, non è più in relazione con l'Altro, ma è desiderio che consuma sé stesso, desiderio, dunque, di nessun oggetto, desiderio di niente appunto.

Cosa significa? Significa che la natura del desiderio porta con sé non solo la necessità del legame con l'Altro, ma anche una incompatibilità di fondo. 
Il desiderio umano non è solo desiderio dell'Altro, non è solo ciò che si appaga simbolicamente nel desiderio dell'Altro, nel sentirsi riconosciuto, voluto, desiderato dall'Altro, ma è anche desiderio d'Altro, desiderio che sospinge al di là di ogni possibile oggetto, al di là di ogni possibile soddisfazione, compresa quella simbolica del riconoscimento. 
Il Don Giovanni si presta ad incarnare questa fuga perpetua e inquieta del desiderio: nessuna è mai abbastanza. L'umano è travolto dalla forza del desiderio come desiderio di niente. (...)
E' quella dimensione del desiderio che non s'incarna solo nell'isteria, ma anche nella spinta compulsiva al nuovo, al non ancora visto e al non ancora conosciuto, al di là dell'oggetto a disposizione. Il desiderio come desiderio d'Altro è desiderio non di "questo", di ciò che ho, di ciò che è presente, ma sempre di "altra Cosa", di una Cosa che non può mai essere presente. 
Per questo, secondo Lacan, i bambini dicono di volere la luna. 
Non un oggetto del mondo tra gli altri, ma qualcosa che dal mondo si vede ma che è fuori del mondo. Essi vogliono l'oggetto impossibile da avere, l'oggetto irraggiungibile, l'oggetto degli oggetti, l'oggetto di un altro mondo.
Nel desiderio come desiderio di niente, come desiderio d'altro, si tratta del desiderio come insoddisfazione perpetua, del carattere anarchico, impossibile da educare, irrequieto, intemperante del desiderio che si manifesta prepotentemente nella figura del Don Giovanni, il quale rincorre e seduce senza tregua le sue prede senza mai potersi fermare a una sola.(...)


La parabola dei ciechi (1568), Pieter Bruegel
Egli è il ritratto del desiderio come desiderio d'Altro, come desiderio di niente. Per questo il desiderio di Don Giovanni - nella sua fuga incessante - porta alla dissipazione ed alla morte. Lo sanno bene certe isteriche che alla fine della loro vita restano con un pugno di mosche: hanno sempre obbedito alla legge del desiderio d'Altro vivendo in una perenne inconcludenza.
Il desiderio d'Altro accompagna come un'ombra la dimensione vacua dell'utopia. (...)
Ma non è un caso che Lacan definisse l'utopia come una delle figure fallimentari del desiderio. Il rischio del desiderio utopico è, infatti, quello di non realizzarsi mai, di differire perennemente la sua soddisfazione, di restare perennemente insoddisfatto.
Il fantasma isterico che sostiene questo differimento perpetuo è che la realizzazione del desiderio coinciderebbe con la sua stessa morte. (...)
Il discorso del capitalista ha sfruttato in modo astuto il desiderio come desiderio di niente. (...) Il desiderio come desiderio d'Altro mostra che il niente abita sempre ogni oggetto del mondo. 
Da questa inconsistenza scaturisce l'astuzia del discorso del capitalista. 
Esso la sfrutta abilmente spostando la promessa da un oggetto all'altro, promettendo, per il tramite del nuovo oggetto, una salvezza che dovrà invece rivelarsi come mancata, deludente, per poter alimentare di nuova energia la corsa folle del desiderio.
Il discorso del capitalista fa finta di voler guarire la mancanza che affligge l'umano solo per sfruttare il più possibile l'esistenza di questa mancanza.
Per questa ragione Lacan riconosceva nell'iperattività un tratto decisivo di quel discorso.
La sua furia nichilistica tende a far trapassare il desiderio verso un godimento rovinoso che con l'illusione di perseguire il "nuovo" come terra promessa non fa altro che ripetere la stessa insoddisfazione."


Credit: Mind Trip, Naoto Hattori
E ancora, più avanti:

"Il desiderio come desiderio d'Altro, come desiderio di niente, assomiglia, secondo Lacan, a un'opera del fiammingo Brueghel dove una colonna di uomini ciechi segue una guida anch'essa cieca. Il desiderio di niente non è motore della vita, non è apertura alla vita, non è slancio e creazione, non è lavoro e progetto, ma costeggiamento di un precipizio, rischio di perdersi, di smarrirsi, pericolo della caduta nel vuoto."


La risposta a questo desiderio di niente, a questa mancanza senza oggetto, è quella di Don Giovanni che si trasforma in una macchina pura di godimento, mero collezionatore di corpi femminili, che in questo modo "prova a resuscitare l'illusione dell'eternità, della sospensione del tempo, dell'immortalità", esorcizzando "lo spettro sempre incombente della caducità. Lo scongiuro della morte appare allora come il vero significato dell'operazione seduttiva e dell'incubo fallico della prestazione".


Gli zombie del pensiero, dunque, ci costringono nelle gabbie di una realtà svuotata di ogni senso se non quello del godimento, nel senso psicanalitico sopracitato, riemergono con forza gettando il soggetto contemporaneo in una profonda angoscia che si nutre di sè stessa fino a desiderare l'annichilamento stesso del soggetto o una sua falsa salvezza attraverso la sottomissione più o meno consapevole allo zombie dominante o magari solo più conveniente.


E' del tutto evidente come la "morte di Dio" sia confluita nella volontà di godimento assoluto e fine a sé stesso che caratterizza la nostra contemporaneità, che proprio perchè impossibile (è uno zombie del pensiero, un fantasma) finisce per provocare più tensioni e patologie psico-fisiche che quell'agognato e "sacro" benessere che è invece una costante dell'immaginario delle democrazie -capitalistico-parlamentari (come le definisce Badiou): siamo, dunque, di fronte ad un vero e proprio delirio paranoico della contemporaneità in cui una certa predominanza della pulsione di morte sulla produzione desiderante si sfoga attraverso il processo paradossale (quindi, se vogliamo, anche "normale" dal punto di vista inconscio) del "divenire zombie", ossia della persistenza nella realtà di iper-concetti trascendenti (Dio, Partito, Mercato ecc.) che condizionano massivamente le nostre esistenze rendendoci asserviti e assoggettati allo status quo senza alcuna possibilità di modificarlo e condannandoci ad una mortificante eterna ripetizione dello Stesso.


In una frase: non siamo capaci di generare alcun tipo di cambiamento fecondo della realtà.

Credit: Vladim Stein
La nostra fragile e contraddittoria economia libidinale è, in estrema sintesi, incapace di generare una valida alternativa alla persistenza degli zombie del pensiero e del loro complesso rapporto con un inconscio devastato se non annullato da quello che Lacan, come abbiamo visto, chiamava il discorso del capitalista.

Divenire zombie, quindi, è la dimensione esistenziale del soggetto contemporaneo (o di quel che resta di esso) condannato al conformismo più grigio ed all'adeguazione più acefala alle forme mortifere delle democrazie capital-parlamentari occidentali o alle varie forme di totalitarismo, fondamentalismo e autoritarismo delle altre parti del mondo (in questo lo zombie è una sorta di figura mitica universale ed è vano, quanto ridicolo, difendere uno stato piuttosto che un altro solo perchè si oppone agli USA in quanto identificati ingenuamente con il Male Assoluto).

Prendendo le mosse da Alain Badiou e dalla sua "Logiques des mondes" (2006, non tradotto ancora in italiano e sintetizzato da Badiou nel "Secondo Manifesto per la filosofia" del 2010), potremmo dire che il nostro mondo, i nostri mondi, sono caratterizzati da un Trascendentale (per semplificare estremamente immaginiamo una struttura d'ordine del tipo < =, a-soggettiva, in cui sono definite una funzione di identità e, quindi di differenza, massimi e minimi di esistenza, l'operazione di congiunzione e quella di involucro e la congiunzione è distributiva rispetto all'involucro: più tecnicamente un' algebra di Heyting) che non consente l'emergenza di quelli che Badiou chiama eventi, ossia rotture radicali dello status quo del sapere e dell' ordine costituito, che restano come mere potenzialità ontologiche la cui manifestazione fenomenologica è per lo più preclusa alle condizioni (trascendentali) attuali, a meno di tracce molto flebili se non evanescenti.

Cosa possiamo ideare per opporci al "dominio dei morti-viventi", quindi a questa particolare forma di immortalità degli iper-concetti, che seppur morti continuano a vivere come potenti zombie?

La proposta di Alain Badiou, che possiamo immaginare come una sorta di "soggetto anti-zombie", è quella che nel lessico dell'autore è definito come un soggetto immortale (legato per Badiou al concetto di verità che "buca" il sapere ed il linguaggio) e quindi immune o, quanto meno, resistente allo zombie, che deve però in qualità di singolo, come scrive Peter Sloterdijk, saper cambiare la propria vita.

Resta, però, come avrò modo di dire, il forte dubbio sulla reale possibilità di realizzare questo "nuovo soggetto" ipotizzato da Badiou.

Vedremo nel prossimo post di cosa si tratta parlando di soggetto, di evento e di cambiamento.

mercoledì 26 giugno 2013

Tra "divenire zombie" ed il desiderio di cambiamento (1ª Parte)


Barbs Popart - What Goes Around Comes Around
Nietzsche aveva ragione: Dio è morto.

Purtroppo, però, la conseguenza è stata che il "divenire-zombie" è la dimensione paradossale di esercizio del potere nella contemporaneità.

Lo scrivevo qualche tempo fa sul mio profilo Facebook in quelli che chiamo "pensieri caos-nessi" e credo sia giunta l'ora di andare più a fondo nella disamina di questo assunto che potrebbe apparire, se lasciato in forma di aforisma, una sorta di mero enunciato estetico.

Intanto, possiamo scindere la mia tesi in 3 concetti chiave sulla cui analisi mi soffermerò in questo post e nei prossimi:

1. "Dio è morto";

2. "Divenire zombie" come conseguenza della morte di Dio;

3. Il Potere come forma di persistenza e di relazione paradossale fra "l'essere morto di Dio" ed "il divenire zombie".

Questi tre concetti chiave devono, poi, essere abbinati ad un altro concetto, ossia quello di cambiamento, che al momento lascerò sullo sfondo e - come dichiarato nel titolo di questo post - analizzerò in un secondo momento più in dettaglio nell'accezione generica di "desiderio di cambiamento".

I)"Dio è morto"

La tesi che Dio è morto, enunciata da Nietzsche, deve essere esplicitata con riferimento all'identità di Dio, ammesso che possa averne una (questo è un punto fondamentale, come quello dell' "uno").

Se seguiamo quanto afferma Alain Badiou nel suo "Ontologia transitoria" (2008), sul quale mi baserò in questo post, possiamo individuare tre "dèi capitali": il Dio delle religioni, il Dio della metafisica ed il Dio dei poeti.

Possiamo partire, dunque, da queste tre manifestazioni fenomenologiche del "concetto" di Dio dalle quali, nel prosieguo, ci renderemo conto che, in realtà, Dio non è un concetto qualsiasi quanto piuttosto un super-concetto (ma potremmo definirlo anche un iper-concetto o un oltre-concetto) - tanto che Nietzsche lo ha dovuto letteralmente "sostituire" con il "super-uomo" o "l'oltre-uomo" - e, in quanto tale, non è mai definitivamente superabile in quanto contiene in sé una potenza generativa infinita dovuta al fatto che, a mio parere, l' "iper-concetto Dio" non ha alcuna identità (l' "Uno non è" secondo Badiou), ma è invece una manifestazione nell'ambito del pensiero di quello che, ontologicamente, in Badiou è chiamato "l'inconsistenza dell'essere-in quanto essere" (la molteplicità pura che ha come nome proprio il vuoto) e in Deleuze la differenza ed il desiderio.

Schizogenesis - Matthew Kowalski
In sintesi, in prima approssimazione, possiamo dire che l'iper-concetto di Dio si auto-genera in perpetuo, a partire da un lato dal vuoto, che permea il processo di soggettivazione dell'essere umano (il soggetto-vacuità, che necessita quindi di "produrre-per-dare consistenza" al vuoto originario del suo essere, quest'ultimo da non confondere con il concetto psicoanalitico di "mancanza"), e dall'altro dalla differenza, nel suo divenire "eterno ritorno e ripetizione della differenza", che si manifesta con la dimensione desiderante (c'è qui, evidentemente, una dualità vuoto-differenza che va approfondita).

Tornando ai tre "dèi capitali", possiamo senz'altro affermare, con Nietzsche e con Badiou, che il Dio delle religioni è morto e vediamo perché attraverso le parole di Badiou stesso:

"Ma persino Lacan, che non si può certo sospettare di compiacenze clericali, sosteneva che fosse propriamente impossibile farla finita con la religione. 
Ebbene, io sono convinto del contrario, e prendo alla lettera la formula 'Dio è morto'. E' accaduto, o come direbbe Rimbaud, 'ceci est passé'. 
Dio, non c'è più. Ed anche la religione non c'è più.
Vi è in questo, come Jean-Luc Nancy ha enunciato con forza, qualcosa di irreversibile, rispetto a cui si tratta solo di capire a causa di quale meccanismo soggettivo si possa con tanta facilità far finta che non sia successo niente, e credere che anzi la religione prosperi o, come si dice oggi, ritorni. 
Ma no.
Nulla ritorna, non bisogna credere agli spettri, il morto va alla deriva, solitario e dimenticato, nel suo sepolcro anonimo e senza luogo.
A condizione, beninteso, di sostenere che solo un Dio vivente è potuto morire, senza resurrezione possibile."

E prosegue:

"Che Dio sia morto vuol dire: non è più quel vivente che si può incontrare quando l'esistenza si immerge nella propria trasparenza. E che qualcuno dichiari alla stampa di averlo incontrato sotto a un albero, o in una cappella di campagna, non cambia nulla alla faccenda.
Poiché sappiamo che nessun pensiero può far valere i propri diritti a partire da tale incontro, così come, a chi dichiari di aver visto uno spettro, si accorda unicamente la considerazione positiva di una manifestazione sintomale.
In questo senso si deve dichiarare che la religione è morta, e che anche quando essa sembra mostrarsi nell'apparente dispiegamento dei suoi poteri, si tratta solo di un sintomo particolare, sintomo di commemorazione in cui la morte è onnipresente.
Quel che sussiste non è più la religione, ma il suo teatro
Solamente a teatro infatti, come nell' Amleto, pare che gli spettri possano avere qualche efficacia.
In questo teatro, spesso anche cruento, ci viene presentato ciò che ci si immagina potrebbe essere la religione se il Dio vivente, di cui nessuno ha la benché minima idea, non fosse morto.
Le obiezioni genericamente mosse contro il motivo della morte reale del Dio vivente, e dunque della religione, si rifanno, da una parte alla dottrina del senso, e dall'altra ai cosiddetti integralismi, che testimonierebbero della convinzione del ritorno religioso.
Non credo che queste obiezioni siano pertinenti."


In Limbo - Odd Nerdrum
E' interessante notare come Badiou, qualche capoverso prima, affermi con grande lucidità che:

"Il punto cruciale, allo stesso tempo semplice ed arduo, rispetto alla portata della formula 'Dio è morto' si formula così: se si afferma che 'Dio è morto', il Dio a cui ci riferiamo era vivente, apparteneva alla dimensione della vita.
Di un concetto, di un simbolo o di una funzione significante si può dire che sono divenuti obsoleti, che sono stati contraddetti, che sono divenuti insufficienti.
Non si può dire che sono morti.
Ragion per cui qualora ci si approssimi alla questione rappresentata da Dio a partire dalle simbolizzazioni primordiali si finisce per concludere che Dio non è morto, o che è immortale." 

L'affermazione di Badiou che può morire solo "quel Dio" che è vivente è qui essenziale in tutta la sua apparente semplicità: infatti, come dicevo sopra, se intendiamo Dio come "Iper-Concetto" siamo evidentemente obbligati a concludere che, in quanto tale, non potrà mai morire finché esisterà l'essere umano ed il suo legame pensante all'inconsistenza dell'essere (ossia del vuoto), per esprimermi con i termini usati dall'ontologia di Badiou.

Approfondiamo meglio la questione.

Possiamo affermare che "il Dio della religione è morto" se e solo se lo intendiamo come Dio vivente e poi morto. La questione è del tutto letterale. Diciamo che riguarda, in tal senso, principalmente le religioni monoteiste che affermano la venuta di Dio sulla Terra (già accaduta per i cristiani o annunciata come per l'ebraismo) nella forma di messia e tocca molto meno quelle religioni in cui il concetto di Dio è più vicino, al ben più insidioso, Dio della metafisica.
Molto banalmente, non siamo obbligati a credere che ciò che è morto possa tornare a vivere se non per fede (questo è un punto che mette in difficoltà, a mio avviso, la stessa ontologia di Badiou, dove la fedeltà/decisione/assioma ha una posizione fondamentale, ma che comunque ha il pregio di essere una ontologia materialista dove, forse, l'unico Dio-iper concetto è proprio l'assioma della sceltasia in senso matematico che in senso politico, e la sua intima connessione con il concetto di infinito, quello di molteplicità e quello di differenza).

Credit: Vladimir Kush
Come dicevo, è invece molto più insidioso "liquidare come morto" il Dio della metafisica in quanto tale Dio è un iper-concetto che si metamorfosa storicamente nel pensiero metafisico - che è filosofico, ma soprattutto politico-economico - e che intrattiene con il Dio delle religioni un rapporto tanto incestuoso quanto pericoloso e intrinsecamente produttivo di violenza.

Leggiamo ancora Badiou:

"Al riguardo è decisivo distinguere ciò che viene designato dal termine 'Dio' nella formula 'Dio è morto', punto in cui questa parola si connette alla religione, e ciò che con questa stessa parola si intende nella speculazione metafisica.
Uno dei tanti meriti di Quentin Meillassoux è quello di aver stabilito, in una prospettiva ontologica ed etica di grande originalità, che il Dio della metafisica è sempre stato la componente essenziale di una macchina da guerra razionalista contro il Dio vivente della religione.
Alla metafisica infatti, come già Pascal obiettava a Descartes, non conviene in realtà che un Dio morto, un Dio già morto o morto da sempre, un Dio con cui nessuna religione può nutrire la propria fede, quand'anche la religione, per assoggettare un pò gli spiriti più innammorati della ragione, cercasse di dichiararsi compatibile con un tale Dio.
Ciò che al fondo essa non è.
Poiché il rischio religioso è fare di Dio un vivente, con il quale cercare di vivere e, vivendo con lui, produrre senso per la vita nella sua totalità, morte compresa.
Mentre il rischio metafisico sta invece nel vedere nella parola 'Dio' solo la consistenza probante di un concetto, e,  a partire da questo concetto, nel garantire che le verità hanno un senso.
Il termine 'Dio' è un anfibologia, perché se si considera Dio come un vivente, questo termine indica il senso totale della vita e, se si considera Dio in quanto da sempre già morto, esso indica il senso possibile della verità.
In rapporto a Dio è vero che la religione è vivificante e la metafisica mortificante.
La grande opera di mortificazione metafisica di Dio comincia, con magnificenza, sin dai Greci. Muove certo dalla questione del senso, della donazione di senso, o della totalizzazione del senso, ma lo fa, al contrario dell'anti-filosofo Kierkegaard, senza considerare gli affetti e lo sprofondamento esistenziale in tale donazione.
Da questo punto di vista il Dio di Aristotele (il supremo motore immobile, nda) è esemplare."

Il Dio della metafisica (intesa come metafisica classica, diciamo fino ad Heidegger escluso che per Badiou, invece, aderisce ad un altro Dio: quello che è nominabile come il Dio dei poeti, al quale in verità aveva aderito già Nietzsche) pertanto è quello che si insedia come Principio e Origine (il concetto di onto-teologia di Heidegger ne dà una visione parzialmente condivisibile e radicale nel suo considerare con tale nome anche, e soprattutto, la stessa scienza) e che, in quanto tale, dà senso e verità all'esistenza dell'essere umano ed alle sue (presunte) decisioni (presunte, in quanto pre-determinate dal senso "dispensato" dagli iper-concetti).

Se vogliamo essere ancora più radicali, potremmo asserire che lo stesso pensiero postmoderno, nella sua critica ad ogni "grande narrazione" (leggasi, nel mio lessico, iper-concetto), finisce esso stesso per essere una grande narrazione sui generis e, quindi, nel negare ogni verità afferma l'esistenza dell'inesistenza di ogni verità (che rischia di essere una affermazione assoluta) e quindi è esso stesso "fedele" (continuo ad usare il lessico di Badiou, che qui mi sembra fecondo) ad un iper-concetto: siamo nella circolarità del pensiero, tanto invocata per la sua fecondità da Heidegger quanto "biasimata" per il suo intrinseco "non senso" da Wittgeinstein che vedeva nei "giochi linguistici" l'essenza della filosofia e della metafisica, e dalla quale sembra quasi impossibile poter uscire tanto che il pensiero postmoderno continua ad avvilupparsi su sé stesso nelle varie declinazioni del pensiero "più o meno debole", ma concretamente incapace di dare risposte alle domande più urgenti della contemporaneità (equità sociale, giustizia, democrazia reale ecc.).
Purgatorio - Fred Duignan

Se è certo che 'il Dio delle religioni è morto', dunque, possiamo dire che il 'Dio della metafisica', che concepiremo in maniera estensiva come caratterizzante anche (e forse soprattutto) il pensiero contemporaneo così come è permeato da iper-concetti come quelli dell'assiomatica economica capitalistica o di quella politica-democratica rappresentativa, non è morto ma che è "in decostruzione" con esiti, come vedremo (o, se volete, come osserviamo anche tutti i giorni), paradossali.

Infatti, se alla morte del 'Dio delle religioni' si sta contrapponendo il proliferare degli integralismi contemporanei, alla morte del 'Dio della metafisica' si contrappone la persistenza metamorfica del potere esercitato in maniera autoritaria e vessatoria da parte della politica e dell'economia, supportato ovviamente come sempre (anche se in forme sempre più fluide e contraddittorie) da quello religioso.

In sintesi, nel nostro continuo appellarci ai "politici", allo "stato", alla "democrazia" come forme "esterne" e gerarchizzate non facciamo che avallare la persistenza del 'Dio della metafisica' e, quindi, decretare ogni giorno in più la nostra sudditanza ad un Principio regolatore trascendente.

Il potere, cioè, e la sua conquista, è intimamente connesso alla questione del 'Dio delle religioni è morto' (gli integralismi sono la risposta a questo evento) e a quella del 'Dio della metafisica è morto' (l'economia capitalistica e le forme democratiche di tipo rappresentativo vigenti sono la dimensione "vivente", ma come affermerò in realtà nella forma di "divenire zombie", di tale morte-in divenire del Dio metafisico).

Ancora Badiou:

"Quanto agli integralismi contemporanei, sosterrò che il considerarli come il ritorno del religioso non porta da nessuna parte. Si tratta di formazioni contemporanee, di fenomeni politico-statali del nostro tempo e, diciamolo pure: si tratta di invenzioni, ormai chiaramente improduttive su di un piano propriamente religioso, ma virulente nello spazio che esse stesse si sono assegnate, quello della conquista del potere.
In realtà bisogna pensare i fenomeni che vengono solitamente chiamati integralismi come una delle forme soggettive, sarei tentato di dire come uno dei tipi soggettivi, in cui si enuncia precisamente la morte di Dio.
Questo tipo corrisponde a quello che io chiamo soggetto oscuro (qui si potrebbe aprire una similitudine con il polo paranoico - segregativo di Deleuze nell'Anti-Edipo, nda), perché l'enunciato di verità di cui esso rappresenta l'attivazione è attivo solo in quanto enunciato sbarrato, nascosto, inconscio.
Per questo la sua unica risorsa è mortificare ciò che lo costituisce, cosa di cui nessuno psicanalista si stupirebbe.
Da questo l'affermazione disperata e sanguinaria di una religione finta e mortifera, il cui principio reale, soggettivamente nascosto, è, da un capo all'altro, la morte di Dio."


The Conscious Stream - Peter Rock

Il paradosso, in questo caso, è la produzione mortifera in nome di Dio, ma che in realtà è in "nome della morte di Dio".

Per quanto riguarda il 'Dio della metafisica' "in decostruzione", sempre Badiou afferma che:

"Non consegue, però, l'ho già detto, che anche il Dio della metafisica sia morto.
Su questo punto bisogna partire da quella che io definirei l'aporia di Heidegger. Come si spiega che il pensatore che determina la metafisica in quanto onto-teologia, come occultamento della questione dell'essere attraversa quella dell'ente supremo, finisca per affermare, nella sua dichiarazione testamentaria, che solo un dio ci può salvare? Evidentemente questo è possibile, ancora una volta, solo se la parola 'dio' si presta all'equivoco.
Il solo Dio che ci può salvare non è certo il Dio-Principio in cui si concentra l'oblio dell'essere nella metafisica occidentale. Si converrà ugualmente sul fatto che neppure si può trattare del Dio vivente delle religioni, la cui morte, sia pure con qualche contorsione, Heidegger, seguendo Nietzsche, accetta. E' dunque necessario che oltre al Dio storicamente morto delle religioni, e al Dio da decostruire della metafisica, Dio che del resto può assumere, nell'umanesimo post-cartesiano, il nome stesso di uomo, bisogna dunque che si affacci al pensiero un terzo Dio, o un principio divino d'altro ordine.
Un tale Dio, o tali dèi, o un tale principio divino, in effetti esistono.
Sono il frutto di una creazione romantica, e segnatamente di Hölderlin. Ragion per cui lo chiamerò Dio dei poeti. Non si tratta nè del soggetto vivente della religione, sebbene si tratti di vivere vicino a lui, ma nemmeno del Principio della metafisica, sebbene si tratti di trovare presso di lui il senso sfuggente della Totalità.
E ciò a partire da cui il poeta si dà l'incantamento del mondo, e che se perso espone all'inoperosità. Un tale Dio non si può dire né vivo né morto, nè che lo si possa decostruire a piacimento come un concetto affaticato, saturato o sedimentato.
L'espressione poetica fondamentale atta a descriverlo è: questo Dio si è ritirato, lasciando il mondo in preda al disincanto."

Giustamente, a mio parere, Badiou vede in questa evocazione salvifica del Dio dei poeti da parte di Heidegger una forma di pensiero nostalgico (e, come sappiamo, intrinsecamente anti-scientifico nella sua critica all'espressione della scienza nella Tecnica moderna attraverso il linguaggio del "matema", che deve per Heidegger essere abbandonato a favore del "poema"), che manca il bersaglio clamorosamente nei confronti della necessità di un nuovo pensiero contemporaneo, ateo-materialista e impegnato nella creazione di un nuovo concetto di comune (qui entrano in gioco anche Negri e Hardt, ma lo vedremo in seguito) e di convivenza biopolitica.

Riassumendo: morte del dio religioso, decostruzione del dio metafisico e rottura con il ritiro del dio dei poeti sono le tre forme principali della "questione della morte di Dio", che continuerò ad affrontare nel prossimo post dove si comincerà a delineare la dimensione del nostro attuale "divenire zombie".