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sabato 30 aprile 2011

La coscienza del Quantum Brain (2ª Parte)

La descrizione del modello Vitiello-Freeman del "quantum brain" che vi propongo sarà necessariamente discorsiva e cercherò di estrapolarne gli elementi che ritengo essenziali per una sua comprensione intuitiva poggiante comunque su una base di concetti della fisica quantistica e in parte della biologia.

Innanzitutto, come ho già detto nel precedente post, questa teoria ipotizza una coesistenza e interazione fisica reale fra processi quantistici e processi biologici, laddove la realtà classica biologica e neurale emergerebbe "naturalmente" da quella quantistica e i relativi processi neurali nel cervello sarebbero direttamente "implementati" da quest'ultima (ad es. la rapida sincronizzazione dei pattern neurali) oltre cha da fenomeni tipicamente biochimici e quindi "classici" (dunque, come detto, quantistico e classico coesisterebbero).
In particolare, nel nostro cervello e in generale in tutto il corpo - dove il sistema nervoso è "immerso" in un "milieu di biomolecole", tra cui quella più diffusa è l'acqua - si verificherebbero dei processi quantistici spontanei (rotture spontanee di simmetria dei dipoli elettrici delle biomolecole) dovuti alla continua interazione con l'ambiente ed alla natura stessa dei legami elettromagnetici delle predette biomolecole.
In buona sostanza, nel cervello (e in tutto il corpo per logica estensione) esisterebbe già "a monte" un campo quantistico, con caratteristiche che vedremo, entro il quale avverrebbero i predetti fenomeni di rottura spontanea di simmetria e dal quale emergerebbero naturalmente i processi della realtà classica biologica, che nel nostro caso specifico è fatta, semplificando, da biomolecole e neuroni nel cervello (e poi, ovviamente, da sinapsi, assoni, dendriti, cellule gliali ecc.; nel modello di Vitiello-Freeman la "sorgente" dei pattern rilevati e all'origine della formulazione della teoria riguarda il cosiddetto "neuropil" della neocorteccia).

Il modello di Vitiello-Freeman si basa sull'utilizzo della teoria quantistica dei campi a molti corpi , che si è rivelata ottimale per descrivere i fenomeni di emergenza dal livello quantistico a quello classico e per spiegare alcuni importanti dati sperimentali derivanti dagli elettroencefalogrammi (EEG) e dagli elettrocorticogrammi (ECoG), che altrimenti non sarebbero spiegabili attraverso i processi classici di tipo meramente elettrochimico.
Come abbiamo detto la teoria quantistica dei campi è detta anche "seconda quantizzazione" (Licata, 2008) e fondamentalmente si distingue dalla meccanica quantistica ("prima quantizzazione") per la modifica sostanziale del concetto di spazio-tempo vuoto (il "vuoto quantistico" e le sue fluttuazioni di "punto zero") e, in particolare, quella "a molti corpi" descrive in maniera efficace l'emergenza di comportamenti coerenti collettivi a partire da una molteplicità di "particelle elementari" ed è comunemente usata ad esempio nella fisica della materia condensata (fenomeni della superfluidità, superconduttività ecc.).
Un punto di partenza dell'analisi quantistica di Vitiello-Freeman la possiamo far risalire al famoso dilemma di Lashley risalente alla prima metà del secolo scorso (1942) : "Here is the dilemma. Nerve impulses are transmitted ... from cell to cell through definite intercellular connections. Yet, all behavior seems to be determined by masses of excitation...within general fields of activity, without regard to particular nerve cells... What sort of nervous organization might be capable of responding to a pattern of excitation without limited specialized path of conduction? The problem is almost universal in the activity of the nervous system".
La ricerca di Vitiello-Freeman, dunque, si basa sulla definizione di questi "pattern di conduzione non specializzati" del sistema nervoso (cerebrale) in risposta ai "pattern di eccitazione" nel ciclo di azione-percezione ed interazione dell'organismo con l'ambiente.

In sostanza, il problema è capire come si generano comportamenti collettivi neurali coerenti e sincronizzati a velocità difficilmente spiegabili con la semplice trasmissione elettrochimica.

Fonte: Vitiello, Freeman, 2008 "The sharp spikes (gray, De(t)) show the rate 
of change in spatial AM patterns. The lower  curve (black, the inverse of Re(t), 
a measure of synchrony)  shows that the re-synchronization precedes the emergence
of spatial order  and also the increase in power in each frame."




Come dicono in questo articolo gli stessi autori: " Observations and data analysis carried on in the past decades (Freeman, 1975-2006) have shown that the brains of animal and human subjects engaged with their environments exhibit coordinated oscillations of populations of neurons, changing rapidly with the evolution of the relationships between the subject and its environment, established and maintained by the action-perception cycle. Our analysis of electroencephalographic (EEG) and electrocorticographic (ECoG) activity has shown that cortical activity during each perceptual action creates multiple spatial patterns in sequences that resemble cinematographic frames on multiple screens. In this paper we will briefly review some of the features of the dissipative model of brain which has been formulated in recent years (Vitiello, 1995, 2001; 2004; Freeman & Vitiello, 2006- 2010)."


Questi pattern rilevati da EEG e ECoG sono detti "spatial amplitude modulated patterns" (AM) e Vitiello-Freeman ne hanno identificato la sorgente nel "neuropil neocorticale", ossia "the dense felt-work of axons, dendrites, cell bodies, glia and capillaries forming a continuous sheet 1 to 3 mm in thickness over the entire extent of each cerebral hemisphere in mammals" e le relative onde di trasporto sono state identificate come strette bande di oscillazione di circa 3-5 Hz all'interno delle frequenze cerebrali beta (12-30 Hz) e gamma (30-80 Hz), che "form during the active state and dissolve as the cortex returns to its receiving state after transmission" (Vitiello-Freeman, 2008).

Questa oscillazione di frequenza fra "active state" e "receiving state" della neocorteccia secondo i  nostri autori comporterebbe che: "The change in the dynamical state of the brain with each new frame resembles a collective neuronal process of phase transition requiring rapid, long-distance communication among neurons for almost instantaneous re-synchronization of vast numbers of neurons".


Dunque, i pattern AM rilevati dagli strumenti (EEG e ECoG) e le relative onde di trasporto ad essi associati nella forma di leggere variazioni (3-5 Hz) delle onde cerebrali beta e gamma possono essere riferibili a processi neuronali coerenti e collettivi conseguenti a transizioni di fase, che richiedono rapide comunicazioni a lunga distanza fra neuroni e che determinano una ri-sincronizzazione pressocché istantanea di un vasto numero di neuroni.

Secondo Vitiello-Freeman la rapidità di questo processo di ri-sincronizzazione neuronale a lunga distanza non è compatibile "with the mechanisms of long-range diffusion and the extracellular dendritic currents of the ECoG, which are much too weak. The length of most axons in cortex is a small fraction of the observed distances of long-range correlation, which cannot easily be explained even by the presence of relatively few very long axons creating small world effects [Barabásí, 2002]".


Cioè, i meccanismi di diffusione a lunga distanza, ossia le correnti elettriche dendritiche extra-cellulari e le trasmissioni di tipo chimico, non sono idonee secondo VF (abbrevierò così Vitiello-Freeman a partire da qui) a spiegare i pattern AM osservati e la velocità del processo neuronale da essi implicato ("Thus, neither the chemical diffusion, which is much too slow, nor the electric field of the extracellular dendritic current nor the magnetic fields inside the dendritic shafts, which are much too weak, are the agency of the collective neuronal activity. Lashley’s dilemma remains, thus, still to be explained" [2008]).

A questo punto, l'ipotesi di VF  è quella di spiegare questo processo osservato dei pattern AM e dei processi quasi-istantanei di ri-sincronizzazione neuronale ad esso riferibili come un processo quantistico reale e quindi di ipotizzare che il cervello sia un sistema quantistico macroscopico reale ("namely a system whose macroscopic behaviour cannot be explained without recourse to the microscopic dynamics of its elementary components" [Vitiello, Freeman, 2011]) in cui i neuroni e le biomolecole restano enti biologici classici, ma i relativi processi sono emergenti dal campo quantistico bosonico sottostante che è descritto dalla citata teoria quantistica dei campi a molti corpi.
Tale campo quantistico bosonico sarebbe interessato da continui processi di rottura spontanea della simmetria rotazionale del dipolo delle biomolecole, che sono ionizzate e dipolari (Licata, 2008), che da' origine - in base alla teoria a molti corpi - ai bosoni di Nambu-Goldstone  (dipole wave quanta, DWQ),  che sono particelle o modi del campo a massa nulla o estremamente piccola (Higgs-Kimble mechanism) e che "possono condensare a temperature biologicamente rilevanti producendo stati coerenti (evanescent photons) attraverso una peculiare filamentazione del campo elettrico che si dirama su ampie zone cerebrali" (Licata, 2008).

Fonte: http://www.leigharnold.com/
Il modello VF rappresenta una evoluzione di quello di Hiroomi Umezawa e Luigi M. Ricciardi (RU Model, 1967 e successive modifiche), che era un modello sviluppato per lo studio della materia condensata e prevedeva "la variazione di alcuni parametri d'ordine che innescano dei processi SSB (spontaneous simmetry breakdown) grazie ai quali si manifestano nel "cervello" un gran numero di modi vibrazionali di tipo bosonico" (Licata, 2008). Tale modello, però, prevedeva un "quantum brain" solo "formale", ossia considerava la teoria quantistica un modo strumentale ed efficace per descrivere i processi cerebrali (una sorta di "quantum like semantics"), ma non ipotizzava il cervello come un sistema quantistico macroscopico reale come invece fa il modello VF.

Inoltre, il modello Umezawa-Ricciardi non era di tipo dissipativo come invece quello Vitiello-Freeman, che prende il nome di dissipative quantum brain,  e quindi non considerava gli aspetti termodinamici dovuti all'interazione con l'ambiente ed al relativo scambio di energia ed informazione con il sistema cerebrale e l'intero organismo come fa invece il modello VF "che porta all'immagine di una mente che vive tramite una serie continua di transizioni di fase e dunque di nuovi livelli emergenti" (Licata, cit.).
Infine, il modello Ricciardi-Umezawa era troppo statico in quanto sostanzialmente "chiuso" (bassa apertura logica) e ciò comportava un grosso problema nella modellizzazione dei processi di memoria che si "sovrapponevano" l'uno sull'altro dando come risultato una sorta di incapacità strutturale del cervello a dimenticare, ovviamente non accettabile.
Questo problema viene risolto dal dissipative quantum brain proprio grazie al meccanismo quantistico di tipo bosonico che si svolge in un campo quantistico a stati di vuoto multiplo (cd. "vuoto degenere") all'interno dei quali i bosoni possono continuamente condensarsi dando luogo a "possibili infiniti stati coesistenti e non distruttivi per codificare l'informazione; l'arrivo di nuova informazione non produce necessariamente la distruzione di quella precedentemente immagazzinata, ma piuttosto, com'è naturale aspettarsi da un sistema dissipativo, un continuo processo di assemblaggio tra vecchia e nuova informazione. I numeri quantici associati ai vari comportamenti collettivi non sono fissi, ma variano nel tempo in co-evoluzione con gli stimoli ambientali. L'introduzione di un flusso complementare di informazione e dissipazione introduce in modo naturale una freccia del tempo legata alla descrizione dei processi cognitivi" (Licata, cit.).

Dunque, nel modello VF acquisisce fondamentale importanza il ruolo degli stati multipli di vuoto quantistico non equivalenti fra loro ("inequivalent ground state") e della continua rottura spontanea di simmetria dei dipoli rotazionali delle biomolecole, che da' origine alle transizioni di fase con "eccitazioni bosoniche" e la relativa densità di condensazione sempre diversa e in continua riorganizzazione all'interno degli stati di vuoto multiplo, che consente quella continua riconfigurazione del codice dell'informazione associabile alla memoria ed all'apprendimento.
In tale contesto, la densità di condensazione bosonica (e la sua variazione) è associata al parametro d'ordine del processo collettivo ("In our model we conceive the order parameter as the density of the synaptic interactions at every point in the cortical neuropil, and we interpret the ECoG recorded at each point as an experimentally observable correlate of the neural order parameter") e alle correlazioni neuronali a lunga distanza e quindi alla relativa coerenza del sistema (uno stato coerente è caratterizzato da bosoni NG che condividono la stessa fase).
Inoltre, in base alla teoria gli stati di vuoto multiplo sono reciprocamente esclusivi fra loro e quindi impediscono che ci siano sovrapposizioni di stato (che hanno reso famoso il gatto di Schroedinger, come visto nel post precedente).
Come scrivono i nostri: "In the dissipative model, under the influence of an external stimulus, the brain inner dynamics selects one of the possible (inequivalent) ground states, each of them thus being associated to a different memory. Infinitely many memories may thus be stored and, due to the unitarily inequivalence of the (vacuum) states, they are protected from reciprocal interference. In the dissipative model we regard the NG condensate as an expression of a transiently retrieved memory (thought, percept, recollection) that has been accessed by a phase transition."

La cosa interessante che emerge per necessità matematica della teoria è che trattandosi di un sistema dissipativo termodinamico occorre duplicare i gradi di libertà per rendere conto dell'interazione con l'ambiente e ciò porta alla "nascita" del Double del sistema - che chiameremo ∼Ak (tilde-A con k gradi di libertà del campo quantistico) - , mentre il sistema-cervello lo chiameremo Ak (non-tilde A, con k gradi di libertà), dove ∼Ak (l' "universo tilde") "può essere considerato il time-reversed mirror image" (Licata, cit.) dell' "universo non tilde", ossia Ak (il sistema cervello).

A tal proposito, i nostri scrivono: "The possibility to exploit the whole variety of unitarily inequivalent vacua arises as a consequence of the mathematical necessity in quantum dissipation to "double" the system degrees of freedom so as to include the environment in which the brain is embedded. That reflective fraction of the environment is thus described as the Double of the system, which turns out to be the system time- reversed copy. The entanglement between the brain and its environment is thus described as a permanent coupling, or dynamic dialog between the two, which may be related to consciousness mechanisms. Consciousness thus appears as a highly dynamic process rooted in the dissipative character of the brain dynamics, which, ultimately, is grounded into the non-equilibrium thermodynamics of its metabolic activity."


La coscienza emergerebbe in tale modello dal dialogo (il "between") tra le "modalità tilde" e quelle "non-tilde" del campo quantistico, quindi tra il sistema ed il suo Doppio o Sosia, e dunque si potrebbe "spiegare i processi coscienti come una speciale proprietà di auto-interazione del sistema con sé stesso. E' possibile dire in accordo con Maturana e Varela, che l'attività mentale è una continua produzione del mondo che origina dalla natura irreversibile e dissipativa delle nostre interazioni con l'ambiente" (Licata, 2008).

Dobbiamo, quindi, immaginare la coscienza come una capacità emergente dal dialogo continuo fra il sistema Ak ed il suo Doppio ∼Ak, in cui i processi bosonici dovuti alla rottura di simmetria ed alle transizioni di fase sono alla base della formazione ed evoluzione della memoria (sia a breve che a lungo termine), dell'apprendimento e in generale del ciclo percezione-azione.
E' importante ribadire che tali processi quantistici implementano, ma non sostituiscono quelli classici di tipo elettrochimico, costituendone per così dire "la matrice fisica informazionale profonda" su cui si fonda la coerenza del sistema.

Al livello classico, inoltre, dicono i  nostri autori che ci sono fenomeni di non linearità e di caos deterministico :"In recent years, the dissipative model has been developed also considering the available experimental observations and data analysis (Freeman & Vitiello, 2006-2010). The reader can find in the quoted literature a list of properties and predictions of the model, as compared to observations, which here for brevity we do not report. The data analysis shows that one can depict the brain non-linear dynamics in terms of attractor landscapes. Each attractor is based in a nerve cell assembly of cortical neurons that have been pair-wise co-activated in prior Hebbian association and sculpted by habituation and normalization (Kozma & Freeman, 2001). Its basin of attraction is determined by the total subset of receptors that has been accessed during learning. Convergence in the basin to the attractor gives the process of abstraction and generalization to the category of the stimulus. The memory store is based in a rich hierarchy of landscapes of increasingly abstract generalizations (Freeman, 2005; 2006). The continually expanding knowledge base is expressed in attractor landscapes in each of the cortices."

Pertanto, il dissipative quantum brain  abbina la teoria quantistica dei campi, la termodinamica, la complessità (caos deterministico e non linearità) e neurobiologia in un approccio interdisciplinare davvero pregevole, che dovrà essere perfezionato come dicono gli autori stessi per rendere conto meglio delle relazioni con i processi biochimici neuronali e delle funzioni mentali più elevate ("Moreover, the dissipative model describes the brain, not mental states. Also in this respect this model differs from those approaches where brain and mind are treated as if they were a priori identical (...) "There are many open questions which remain to be answered. For example, the analysis of the interaction between the boson condensate and the details of electrochemical neural activity, or the problems of extending the dissipative many-body model to account for higher cognitive functions of the brain need much further work"[2008]).

Ci tornerò nel prossimo post, dove cercherò di delineare alcune implicazioni filosofiche di questo modello quantistico del cervello.

domenica 17 aprile 2011

La coscienza del Quantum Brain (1ª Parte)

Abbiamo visto parlando di mente estesa come i processi della "embodied mind" di percezione-cognizione-azione possano essere interpretati in termini di emergenza derivante da uno stretto accoppiamento tra il corpo-mente con sé stesso e con l'ambiente-mondo.

Ne è conseguito che quella che noi chiamiamo "coscienza" risulti in realtà non una "cosa" che accade dentro di noi, ma un processo complesso, dinamico ed aperto che deriva dalla co-esistenza e dalla co-evoluzione del sistema corpo-cervello con l'ambiente-mondo e viceversa.

Dunque, non avremo a che fare solo con i "correlati neurali", ma anche con quelli ambientali e socio-culturali, che avranno pieno titolo nella definizione dei contenuti mentali e dei relativi processi.

Una conseguenza importante è quella della irriducibilità della mente estesa a fattori meramente bio-chimici, per quanto importantissimi come si é detto (compresi quelli genetici), così come l'esecuzione di una musica non dipende solo dalle note scritte sul pentagramma.
In sintesi, il paradigma della mente estesa pur non facendo riferimento a leggi non fisiche e quindi rientrando, a mio parere, all'interno del principio di chiusura causale del mondo fisico (che è un principio, ripeto, metafisico materialistico e non una legge della fisica in senso stretto come le leggi della termodinamica) considera la coscienza non "zippabile" all'interno dell'individuo e non comprimibile alle sue singole componenti bio-chimiche in quanto è un processo emergente, complesso ed aperto al mondo, senza il quale non potrebbe nemmeno esistere.

In tale quadro, un modello molto interessante che mostra notevoli analogie con la mente estesa è quello del "dissipative quantum brain", elaborato dal fisico teorico italiano Giuseppe Vitiello ("My double unveiled", 2001) sulla base del modello di Ricciardi-Umezawa (1967; Stuart, Takahashi e Umezawa, 1978; 1979), e che proporrò nella versione affinata negli ultimi anni assieme al neurobiologo Walter J. Freeman, recentemente riproposta in forma sintetica e abbastanza comprensibile anche per "non addetti ai lavori" nel Journal of Cosmology con l'articolo "The Dissipative Brain and Non-Equilibrium Thermodynamics" , che fa riferimento anche al modello olonomico del cervello e della memoria (che, come vedremo, ha una funzione importante nel modello) frutto delle intuizioni e degli studi di Karl Pribram anche in collaborazione con David Bohm.

Prima di spiegare in sintesi ed in termini discorsivi il modello di Vitiello-Freeman, è necessario precisare che quando si parla di "quantum brain" lo si può fare essenzialmente in due modi, ossia considerando che nei modelli:
a.  i processi quantistici vengano considerati reali all'interno del cervello e siano descritti dal formalismo della meccanica quantistica (cd. "prima quantizzazione") o della teoria quantistica dei campi (cd. "seconda quantizzazione") (Licata, 2008);
b. i processi quantistici non vengano considerati reali, ma si utilizzi il formalismo quantistico per descrivere processi complessi caratterizzati da auto-organizzazione ed emergenza. In tal caso, si parla di  "Quantum like semantics", "in quanto i sistemi trattati non sono di natura quantistica ma seguono piuttosto una logica quantistica nelle relazioni tra sistema ed osservatore, cosa che modifica il significato del formalismo" (Licata, 2008).

Modelli del primo tipo sono ad esempio quello citato di Vitiello-Freeman e la teoria Orch-OR, tanto famosa quanto controversa, di Penrose-Hameroff, mentre modelli del secondo tipo sono quelli elaborati ad es. da Yuri Orlov o da Andrei Khrennikov (cfr. Licata cit.) o ancora gli studi connessionistici sulle "reti neurali quantistiche", come quelli di Avshalom C. Elitzur , con applicazioni ad esempio nella robotica evolutiva e nell'intelligenza artificiale post-classica basata in prevalenza sui sistemi sub-simbolici (connessionismo).


Quando si parla di "cervello quantistico" in senso reale ci riferiamo ad un sistema macroscopico quantistico a tutti gli effetti, come possono essere i fenomeni della superconduttività, superfluidità, i laser ed il quantum computing (che può essere digitale e quindi di tipo Turing o analogico, quindi super-Turing ma non universale).

Il concetto di sistema quantistico macroscopico ci riporta al famoso paradosso del gatto di Schrödinger (la sovrapposizione degli stati "gatto vivo" e "gatto morto") e quindi all'annoso problema della misura in fisica quantistica ed al collasso della funziona d'onda descritta dalla equazione di Schrödinger.
Il problema di fondo è capire "se e come" l'interazione fra strumenti di misura e "quanti" (e in generale fra realtà macro e realtà micro), di cui l'esempio tipico è l'esperimento delle due fenditure, determina la "scelta" di un valore tra le "infinite storie quantistiche" possibili o se invece la funzione d'onda "collassi" naturalmente indipendentemente dal ruolo dell'osservatore/misuratore come prevedono ad esempio l'ipotesi della decoerenza quantistica, in cui  "l'oggetto quantistico arriva all'apparato di misura già classico, dopo una sorta di decadimento legato a processi più o meno esotici oppure ad un opportuno gioco di interferenze distruttive tra le varie storie" (Licata, cit.), della riduzione dinamica della teoria GRW (Ghirardi-Rimini-Weber) o la stessa Orch-OR citata di Roger Penrose.

Del resto, come diceva ironicamente lo stesso John Stuart Bell nel suo "Against Measurement":
"La funzione d'onda del mondo ha per caso atteso di 'saltare' per migliaia di anni fino a che non è apparsa la prima creatura vivente monocellulare? Oppure ha aspettato ancora un pò di più, per aspettare qualche sistema meglio qualificato... con un dottorato?".
Quindi, da un lato nella meccanica quantistica l'osservatore e il ruolo del soggetto sono recuperati rispetto alla fisica classica in quanto l'osservatore è sempre "accoppiato" al sistema osservato e lo descrive da una prospettiva particolare, ma dall'altro si dibatte sull' "oggettività" della realtà quantistica a prescindere dal fatto che ci sia un osservatore che misura.

Tutto questo è fondamentale quando si parla di "quantum brain reale" perché se consideriamo il cervello come un sistema quantistico macroscopico reale, occorre capire le relazioni che intercorrono fra la realtà quantistica sottostante (l' "implicate order" di Bohm) e quella classica di tipo termodinamico (l' "explicate order") e come sia possibile che la realtà classica emerga da quella quantistica conservando proprietà quantistiche.
Nel prossimo post cominceremo a vedere queste relazioni secondo la proposta di Vitiello-Freeman, che intanto potete, se volete, cominciare a leggere nei link proposti.

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domenica 10 aprile 2011

Miguel Nicolelis e il suo progetto di un cervello "senza corpo"

E' sempre utile leggere un articolo come quello apparso sul numero di aprile 2011 del mensile Le Scienze, a firma di Miguel A. L. Nicolelis, noto come un pioniere della neuroprostetica, che è stato adattato dal suo ultimo libro "Beyond boudaries: the new neuroscience of connecting brains with machines and how it will change our lives" (2011) ed il perché è presto detto.

Immagine di Ken Brown, Mondolithic Studios
Nell'articolo si parla delle interfacce cervello-computer e, come accade sovente da quando negli ultimi 30 anni si parla di rapporto fra essere umano, cervello e tecnologie, il nostro professore di neuroscienze alla Duke University si lascia andare alla previsione di un entusiastico futuro di tipo transumanista - del tipo alla Ray Kurzweil e il suo "La singolarità è vicina" (2008) per intenderci (di cui avevo già parlato qui, dove sono stato troppo "soft") - dicendo ad esempio che:
"Interagire con il computer sarà quasi un'esperienza di incarnazione, se la nostra attività cerebrale consentirà di afferrare oggetti virtuali, lanciare programmi, scrivere promemoria e, soprattutto, comunicare con altri membri della nostra rete, una versione notevolmente aggiornata dei social network attuali. Il fatto che Intel, Google e Microsoft abbiano già creato proprie divisioni per lo sviluppo di interfacce cervello-macchina dimostra che questa idea non è campata in aria. L'ostacolo principale è lo sviluppo di un metodo non invasivo per campionare l'attività cerebrale necessaria per fare diventare realtà l'interfaccia, ma confido nel fatto che entro vent'anni. In futuro, ciò che potrebbe sembrare inimmaginabile diventerà realtà, perché gli esseri umani integrati alle macchine potrebbero trovarsi in ambienti remoti, attraverso avatar e strumenti controllati solo con il pensiero. Dalle profondità degli oceani ai confini delle supernove a piccoli spazi intracellulari del corpo le capacità umane saranno all'altezza delle sfrenate ambizioni di esplorazione dell'ignoto tipiche della nostra specie. In questo contesto, immaginare che i nostri cervelli completeranno la loro liberazione dagli obsoleti corpi che abbiamo abitato per milioni di anni e inizieranno, con l'uso di interfacce bidirezionali comandate con il pensiero, a elaborare una miriade di nanostrumenti che saranno i nostri nuovi occhi, orecchie e mani nei tanti piccoli mondi creati dalla natura".
Dunque, in sintesi, si sta ipotizzando una rete di cervelli realizzata fisicamente (definita brain net da Nicolelis) attraverso le tecnologie cervello-macchina e successivamente la sostituzione/integrazione del nostro corpo - definito "obsoleto" - in nome di una sfrenata esplorazione dell'ignoto di cui ognuno di noi dovrebbe sentire il bisogno.
Se non fosse che di follie ne ho sentite in grande quantità nella mia vita, questo potrebbe essere dal punto di vista di una folk psycology l'ennesimo proclama del classico "scienziato pazzo".
In realtà, e un Ray Kurzweil e il suo Singularity Institute insegna - ma anche un Craig Venter nell'altro settore della vita artificiale -, ci sono sempre grandi interessi economici dietro queste apparenti farneticazioni futuristiche e di folle c'è solo la logica sottostante: si cerca, in buona sostanza, di convincere le persone, come si fa con dei bambini, che devono desiderare di avere dei poteri eccezionali al limite del magico e che dunque appena sarà possibile bisognerà gradualmente sbarazzarsi del proprio corpo e sostituirlo con una versione robotico-digitale "da favola".
Come sempre le applicazioni vengono innanzitutto presentate in campo medico, e quindi si giustifica la ricerca per motivi nobili, come dovrebbe essere il Walk again Project di cui è fondatore lo stesso Nicolelis, ma poi il vero ritorno dell'investimento si vorrebbe ottenerlo non dai malati, ma da quelli sani, ossia la stragrande maggioranza della popolazione tentando di convincerci che dobbiamo bio-tecno-potenziarci.


Foto di Ken Brown su Scientific American,
relativo all'articolo di Nicolelis,
Fonte: Mondolithic Studios
Il rapporto Uomo-Tecnica viene propagandato sempre più, nelle intenzioni forse anche in buona fede di Nicolelis (lascio il beneficio del dubbio allo studioso), come un progressivo ed inevitabile annullamento della differenza fra biologia e tecnologia: quella che si ottiene solo con la fusione uomo-macchina. Su Facebook, dove un articolo su Nicolelis era stato segnalato sul profilo di Luca Giudici, ho avuto modo di commentare così:
"Si, è probabilmente uno dei nuovi guru della filosofia transumanista. 
Nel suo modo di concepire le interfacce cervello-macchina c'è un aspetto che trovo utile, che è quello di aiutare i disabili (es. persone completamente paralizzate ma con cervello non danneggiato) attraverso l'uso di "abiti robotici" o esoscheletri a ritrovare una "nuova vita" e un nuovo rapporto con il mondo e un aspetto tipicamente "cartesiano" che considera il corpo solo una protesi robotica ai comandi del cervello-mente che ne dispone come vuole con l'uso del solo pensiero. 
Gli studi in atto, secondo quanto dice lui stesso, sono diretti verso protesi "bi-direzionali", ossia che comunicherebbero non solo dal cervello verso la protesi, ma anche viceversa consentendo di raggiungere un nuovo "schema corporeo" e una nuova "immagine corporea" a chi li usa e quindi una sorta di "naturalezza" e consapevolezza del movimento con le relative percezioni. 
Ovviamente, il prezzo da pagare è farsi impiantare dei microchip nella corteccia cerebrale in molteplici punti dove si ritiene che risiedano le varie aree funzionali cognitive e sensomotorie. E di qui il nostro si proietta in un futuro di reti sociali connesse "via pensiero" e "menti collettive" fino ai viaggi interstellari e microscopici guidati dalla mente e da dispositivi tecnologici guidati dal pensiero (vedi ultimo numero di Le Scienze per es.). 
In questo secondo tipo di sviluppo, che non è da escludere, è ravvisabile quella che potremmo definire come la "logica" conseguenza, a mio parere, dell'insuccesso dell'intelligenza artificiale classica, che pensava di poter creare un computer intelligente dotato di coscienza come un essere umano e che non essendoci riuscita adesso nella sua ala più "estrema" di seconda generazione (post-classica), rappresentata dalla robotica e dai sistemi di interfaccia cervello-macchina, si propone il percorso inverso: la "computerizzazione" del cervello, l'unico al momento a poter garantire l'esistenza di un pensiero ed una coscienza (oltre che prospettive di business interessanti). 
E' stato detto più volte e si sta verificando : l'uomo sta cercando di fondersi con la macchina perchè la trova più congeniale alla sua idea di tipo consumistico di continua sostituibilità, di rinnovamento e di "bellezza" tipico degli oggetti della tecnica. 
Ne consegue una visione sempre più dualistica e cartesiana in cui con il pensiero si dominerà il mondo delle cose e di quella "cosa" che è considerata il corpo, laddove - a me pare - che in realtà questo pensiero sarà sempre più reificato in queste "cose" e sempre più smarrito senza di esse. 
Dunque, materialismo cartesiano da un lato e "sentimento oceanico" di fusione con la tecnologia dall'altro per chiudere una volta per tutte quel "vuoto esistenziale" che da sempre, e chissà per quanto ancora, ci ha resi umani: il destino della tecnica forse è sempre stato questo, soddisfare il nostro innato istinto alla trascendenza fino alla sua saturazione che si può ottenere solo eliminando la differenza tra uomo e tecnologia. Non è un giudizio etico, ma una riflessione su un possibile molto possibile destino".
E' evidente, quindi, che si sta preparando per tempo il terreno a quello che potrebbe essere un profondo cambiamento "pilotato" del genere umano: questo dischiude in maniera sempre più evidente quello che asseriva lo stesso Heidegger riguardo alla tecnica, ossia che essa sarà il vero banco di prova dell'essere umano e del suo destino.
A noi la scelta dell'etica per decidere la relazione con l' ente-tecnico nel futuro prossimo o il potenziale sprofondamento in un "abisso" dove la fusione totale e "fisica" con la tecnologia potrebbe essere solo il capriccio finale di una specie intrinsecamente inadeguata a sé stessa o così convinta ad interpretarsi.
Rispetto alla mente estesa di cui parlavo nei post precedenti, qui siamo di fronte ad un processo apparentemente simile, ma in realtà inverso: è il "mondo tecnico" che entra in noi rappresentando quindi un ribaltamento profondo da mente estesa al mondo a tecnologia estesa al cervello: dunque, la mente che ne nasce sarà ontologicamente diversa in quanto trasformata nella struttura più intima e quindi nel suo stesso essere e pensare.




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domenica 3 aprile 2011

Cosa è la mente estesa? (3ª Parte)

Quando Alva Noe asserisce che il cervello non pensa e che la coscienza non accade (solo) dentro il cervello è evidente che lo dice in maniera provocatoria e, come ammette lui stesso, in chiave "politica" rispetto alla visione neurobiologica dominante che ritiene di poter suddividere il cervello in tanti piccoli pezzi attribuendo a ciascuno di essi una funzione mentale (i cd. "correlati neurali della coscienza") in assenza, per lo più, di un ambiente in cui l'individuo nel suo insieme - e non soltanto il suo cervello - è immerso. 
E' il problema del cervello nella vasca di cui parlavo nel post precedente.
Se, invece, osserviamo con occhio critico tale paradigma ci dovremmo accorgere che esso rappresenta una visione eccessivamente "intellettualistica" della mente, dato che identifica nel cervello il suo elaboratore e "generatore" principale o addirittura unico. 

Il problema è che questo approccio non tiene sufficientemente conto del fatto che il cervello è solo una parte della nostra mente e che quest'ultima è molto più probabile che emerga come processo complesso attraverso l'interazione e lo scambio continuo con l'ambiente esterno ed interno dell'individuo.
In termini filosofici, potremmo dire che la visione della mente estesa si distacca con una certa forza dal "neokantismo" e dai suoi schemi a priori (che ha una certa influenza anche nelle scienze cognitive) attraverso cui l'individuo percepisce e costruisce la realtà in termini soggettivi ed in cui, come noto, il "noumeno" (l'ente in sè) è sempre inconoscibile (in Kant l'epistemologia assorbe l'ontologia), per abbracciare una fenomenologia che potremmo far risalire sotto certi aspetti ad Heidegger ed al suo esser-ci , essere-nel-mondo e essere-gettati nel mondo, di chiara natura anti-psicologista e in contrasto con la fenomenologia di Husserl invece basata sulla coscienza "pura" e la sua intenzionalità, ma ancora di più a Maurice Merleau Ponty e alla sua analisi della percezione che Alva Noe stesso cita con un suo noto aforisma: "Gli uomini sono teste vuote puntate su un unico mondo evidente". Ovviamente, il significato di quel "teste vuote" va esplicitato meglio in quanto, come giustamente osserva Steven Pinker nel suo "Tabula rasa", non possiamo negare che ci siano dei fattori genetici che strutturano il cervello e che possiamo considerare innati della specie Homo Sapiens. 
Occorre, pertanto, evitare di cadere in una facile e comoda "ideologia della testa vuota" e quindi propagandare una sorta di plasticità totale del cervello e della mente in modo da evitare questioni spinose legate alle differenze genetiche, che pur esistono ma che si cerca di azzerare anche alla luce degli orrori che l'umanità ha commesso in nome di un mal interpretato biologismo evoluzionista e "darwinista".
La "testa vuota", in realtà, dovrebbe essere interpretata come l'accesso fondamentale ed immediato che abbiamo al mondo e il modo principale in cui il mondo entra dentro di noi. Ci troviamo di fronte, in sintesi, ad un paradigma cognitivo che possiamo identificare come sensomotorio, in cui la mente emerge come attività e non come un "qualcosa che accade dentro di noi": anche le stesse percezioni, come la visione, non accadrebbero dentro il nostro cervello ma sarebbero piuttosto un'attività, "un modo di esplorazione dell'ambiente" (A. Noe, cit.) e contestualmente un "un modo in cui il mondo si dà all'esperienza" (cit.), facendolo in maniera sempre diversa attraverso i meccanismi sensomotori del nostro corpo e del nostro cervello.
Come scrive in maniera illuminante Paternoster (2010), con il paradigma sensomotorio si esce da una rigida schematizzazione di tipo funzionalista in cui si ipotizzano tre strati della mente, ossia percezione, cognizione e azione, in cui il cervello rappresenta il momento di elaborazione finalizzato alla "scelta del comportamento più appropriato", ma piuttosto - anche sulla scia degli studi sui neuroni specchio - "è andata delineandosi una visione in cui percezione ed azione vengono considerate un sistema unico e la cognizione stessa, anzichè essere considerata un'attività simbolica, è profondamente radicata nelle capacità sensomotorie".
Il problema cruciale è il concetto di confine: dove si trova il confine fra mente e mondo? Per quale motivo dobbiamo considerare la mente dentro il cervello e non anche fuori? Quali sono i dati "oggettivi" che ci consentono una tale inferenza?

E', invece, evidente come lo studio del cervello delle neuroscienze postuli per "comodità sperimentale" che la mente sia ed accada nel cervello. La comodità è nel fatto che il metodo di studio, così come è impostato oggi e basato sulle tecniche di "brain imaging", parte da un vero e proprio postulato metafisico in cui si pone l'identità cervello-mente, che come ho spesso detto è una relazione di identità di tipo "ingenuo" e tipicamente riduzionista.
Perchè dobbiamo accettare un tale postulato quando è evidente che la mente, soprattutto attraverso le tecnologie della comunicazione (vere e proprie protesi del corpo-mente), è palesemente proiettata all'esterno (il mondo viene a noi in tempo reale e noi al tempo stesso siamo immersi nel mondo e comunichiamo istantaneamente con esso)? Da dove vengono i contenuti mentali? Siamo certi che accadono dentro di noi? E perchè?
Spesso non ci rendiamo conto che non di rado alla base del metodo scientifico ci sono precise scelte di tipo metafisico, che presuppongono una visione predefinita della realtà che poi si cerca di verificare sperimentalmente (quello che nel campo giornalistico è il "giornalismo a tesi").
Allora, in tale quadro, il concetto di mente estesa ci consente di "uscire fuori" da quello che potremmo definire, un pò sarcasticamente, un ingenuo "solipsismo neuro-qualcosa", con il quale ci cerca di spiegare ogni attività umana con l'attività di questo o quel gruppo neuronale, che, ben inteso, c'è, ma come potrebbe non esserci! (è evidente che se leggo, parlo ecc. nel mio cervello si verificheranno delle scariche neuronali sincronizzate), ma altresì si ammette che la mente sia un processo molto più complesso di come si cerca di descriverlo e soprattutto non è un processo esclusivo del cervello, ma chiama in causa tutto l'individuo e il suo costante accoppiamento dinamico con il mondo (che dobbiamo considerare nella duplice forma di biologia e cultura), che non è una dimensione statica ed ininfluente, ma anzi è spesso l'origine stessa dell'attività mentale e dei suoi contenuti (si parla in tal senso di esternismo attivo, di cui sono rappresentanti autorevoli David Chalmers e Andy Clark). 
In tale approccio, troviamo un recupero deciso del corpo nel suo insieme (un corpo "intelligente", detto "mindful body") e dell'ambiente come correlato esterno della mente.
Spesso si pensa all'auto-coscienza, tipica dell'essere umano, come una sorta di auto-interazione con sé stessi o - nei casi migliori - come l'interazione del sé con l'immagine di sé e della relativa rappresentazione del mondo, ma questo processo, che verosimilmente esiste, non basta nel contesto della mente estesa a spiegare l'auto-coscienza in quanto siamo ancora troppo ancorati e "sbilanciati" sul cervello del singolo individuo. 
L'auto-coscienza sarebbe, invece, un processo esteso molto più ampio e molto più "corporeo" in cui è l'immediato accesso sensomotorio al mondo e del mondo a noi che innesca le semantiche che poi noi chiamiamo coscienza e auto-coscienza.
Una obiezione al concetto di mente estesa può essere espressa con le parole di Diego Marconi e del suo "Contro la mente estesa" (Sistemi intelligenti, n. 3, dicembre 2005): "non esiste un codice genetico del sistema organismo-ambiente; il codice genetico è una proprietà dell'organismo ed è per questo fondamentalmente che anche la mente è una proprietà dell'organismo; anche se il codice genetico è quello che è anche a causa delle proprietà dell'ambiente".
Si nota subito l'irrigidimento sul fattore genetico, ossia l'elemento biologico, ma è altresì evidente la "lieve dimenticanza" dell'elemento culturale in base al quale, ripetendo le parole di Paolo Virno, "l'uomo è un animale naturalmente artificiale, ovvero un organismo il cui tratto biologico distintivo è la cultura" (Virno, 2010) e ancora "per un'antropologia materialista è irragionevole negare l'identità di biologia e cultura, ma non lo è meno disconoscere la differenza che sussiste fra esse: quel che davvero conta è l'inseparabilità di unità e divaricazione" (cit.).
Dunque, lo stimolo provocatorio di Alva Noe è, a mio parere, da accogliere anche se con una inevitabile soggettiva "metabolizzazione critica", che dipenderà necessariamente da come si è disposti a collocare l'ambiente e il mondo nel processo di generazione della mente e dei relativi processi.
Concludo questa esposizione, inevitabilmente non esaustiva, con le parole del nostro autore:
"In questo libro ho attaccato l'ortodossia, cercando allo stesso tempo di delineare una concezione alternativa. Non sono l'unico a fare questo. Le neuroscienze e le scienze cognitive sono un mosaico formato da posizioni diverse. Per quanto l'ortodossia sia diffusa in modo capillare, le posizioni più eterodosse cercano di uscire dall'ombra. Gli ultimi venticinque anni testimoniano il graduale sviluppo di un approccio incarnato, situato, alla mente. Questo approccio è fiorito in alcuni settori delle scienze cognitive come la filosofia e la robotica, ma è stato pressocché ignorato nelle neuroscienze, nella concezione dominante della linguistica e, più in generale, nella sfera degli studi della coscienza. Se intendiamo comprendere la coscienza - il fatto che pensiamo, proviamo sensazioni e che un mondo si mostri davanti a noi -, dobbiamo voltare le spalle alla concezione ortodossa secondo la quale la coscienza è qualcosa che avviene dentro di noi, come la digestione. E' ora chiaro, ammesso che non lo fosse anche prima, che la coscienza, al pari dell'improvvisazione musicale, è realizzata nell'azione, da noi, grazie alla nostra situazione nel mondo e al nostro accesso al mondo che conosciamo intorno a noi. Siamo nel mondo e siamo parte di esso. Questa è la nostra 'casa, dolce casa'.



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