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domenica 30 gennaio 2011

Hofstadter, il carambio e gli anelli nella mente (2ª Parte)

La farfalla di Hofstadter
Dovendo, come sempre, privilegiare la sintesi possiamo dire che il modello emergentista di Douglas Hofstadter si basa prevalentemente sui seguenti punti:

1. Distinzione fra microstati (livello sub-simbolico) dei singoli neuroni e macrostati di pattern complessi neuronali (livello simbolico), che emergono dai primi attraverso l'auto-organizzazione ed hanno un significato in genere linguistico-simbolico completamente innovativo rispetto al livello sottostante;
2. La metafora che esemplifica la distinzione fondamentale fra i due livelli di organizzazione è quella del carambio, un ingegnoso tavolo da biliardo che vi descriverò a breve;
3. Nel nostro cervello esistono molteplici livelli di causalità che sono relativi ai diversi livelli di osservazione "micro" e "macro";
4. La nostra mente funziona secondo loop a feedback ricorsivo, la cui metafora matematica è quella della funzione iterativa ricorsiva, come ad esempio il frattale di Mandelbrot. In tale metafora, occorre immaginare la potenzialità tipica della nostra mente di porre in essere un regresso all'infinito;
5. Il loop iterativo, che da' luogo a pattern emergenti, è garantito da un fenomeno che Hofstadter chiama locking in o "ingaggio permanente" e che possiamo metaforicamente assimilare alla dinamica dei feedback audio (immaginiamo quando l'audio ha il fenomeno del "ritorno") e video (una camera che filma attraverso uno "specchio" e da' luogo ad una immagine iterativa in uno schermo Tv) ;
6. In tale quadro, quello che noi chiamiamo coscienza ed auto-coscienza è un processo complesso di tali loop iterativi fino a che emerge un loop auto-osservativo;
7. Nel modello di Hofstadter, come vedremo, rivestono notevole importanza i teoremi di Godel di incompletezza di qualsiasi sistema matematico assiomatico in quanto essi stessi sono una metafora del funzionamento della nostra mente che procede ad attribuire nuovi significati a codici apparentemente definitivi;
8. Non esiste alcun libero arbitrio, in quanto tutti i processi mentali sono rigorosamente processi fisici;
9. Quelli che in filosofia della mente sono detti qualia, al pari di quanto asserisce Daniel Dennett, sono per Hofstadter delle mere illusioni da un punto di vista scientifico, ossia non hanno una influenza oggettiva nei nostri processi coscienti.
10. Hofstadter attribuisce, invece, fondamentale importanza per la nascita dell'Io ai rapporti emotivi ed affettivi.


Una grande dote di Douglas Hofstadter, che come tutte le doti non tutti apprezzano, è quella di creare metafore ed analogie davvero incredibili ed al tempo stesso illuminanti del suo pensiero e quella del carambio come metafora del sistema cervello-mente è una di queste, diciamo la principale.
La lascio descrivere a lui:
"Immaginate un elaborato tavolo da biliardo privo di attrito con sopra miriadi di minuscole sferette chiamate 'sim' (acronimo di sferette interagenti miniaturizzate). Queste sim sbattono l'una contro l'altra e rimbalzano sulle pareti, carambolando qui e là all'impazzata nel loro mondo perfettamente piatto - ed essendo questo privo di attrito, continuano appunto a carambolare e carambolare, senza mai fermarsi. Fin qui il nostro sistema ricorda molto da vicino un gas perfetto bidimensionale, ma ora  postuleremo un pò di complessità in più. Le sim sono anche magnetiche (passiamo dunque a 'simm' con la m in più per 'magnetiche') e, quando si scontrano a velocità relativamente basse, possono rimanere attaccate formando dei grossi grappoli o cluster che per brevità chiamerò 'simmbili', essendo un pò come grosse biglie fatte di simm. Un simmbilo consiste di un numero molto elevato di simm (mille, un milione, non importa) e sul suo strato esterno perde di frequente alcune simm acquistandone altre. Ci sono così due tipi estremamente diversi di oggetti residenti in questo sistema: minuscole, leggere, sfreccianti simm e giganteschi, pesanti, quasi immobili simmbili. Le dinamiche che si creano su questo tavolo da biliardo che d'ora in poi chiameremo 'carambio' coinvolgono dunque delle simm che urtano violentemente le une contro le altre e anche contro i simmbili. Senza dubbio, i dettagli della fisica comprendono trasferimenti di quantità di moto, momento angolare, energia cinetica ed energia rotazionale, proprio come in un gas standard, ma noi non ce ne occuperemo affatto, visto che questo è un esperimento solo con il pensiero (...) Perché lo scontato gioco di parole con 'simbolo'? Perché ora aggiungerò un pizzico di complessità in più al nostro sistema. Le pareti verticali che costituiscono i confini del sistema reagiscono in modo sensibile agli eventi esterni (per esempio, qualcuno che tocca l'esterno del tavolo o anche un soffio di vento) flettendosi per un attimo verso l'interno. Questa flessione, la cui natura conserva alcune tracce dell'evento causale esterno, influisce ovviamente sui movimenti delle simm che, all'interno, rimbalzano via da quel tratto di parete e indirettamente questo verrà registrato anche nei movimenti lenti dei simmbili più vicini, consentendo perciò ai simmbili di internalizzare l'evento. Possiamo presupporre che un particolare simmbilo reagisca sempre in una qualche maniera standard alla brezza, in un'altra ai colpi di vento improvvisi e così via. Senza entrare nei dettagli, possiamo anche presupporre che le configurazioni dei simmbili riflettano la storia degli eventi del mondo esterno che hanno impattato sul sistema. In breve, per qualcuno che guardasse i simmbili e sapesse come leggere la loro configurazione, i simmbili sarebbero simbolici, nel senso di codificanti eventi. Ecco il perché dello scontato gioco di parole. Senza dubbio questa immagine è improbabile e stravagante, ma tenete presente che il carambio è inteso soltanto come un'utile metafora per comprendere i nostri cervelli e il fatto è che i nostri cervelli sono anch'essi piuttosto improbabili e stravaganti, nel senso che anch'essi contengono eventi minuscoli (scariche neuronali) ed eventi più grandi (pattern di scariche neuronali) e questi ultimi hanno presumibilmente in qualche modo qualità rappresentazionali, permettendoci di registrare nonché tenere a mente cose che accadono all'esterno dei nostri crani."


Hofstadter, poi, aggiunge l'evoluzione e la sua pressione attraverso la selezione naturale come ulteriore fattore determinante della struttura dei carambi. A questo punto, direi, che la metafora del carambio-cervello è alquanto chiara ed esemplificativa con tutti i suoi elementi, ambiente esterno compreso: sorge la domanda di come interpretare il funzionamento del carambio e delle sue simm e dei suoi simmbili.
Un riduzionista tenterà di interpretare il carambio in funzione delle sole simm (i neuroni) e considererà i simmbili (i pattern) dei meri epifenomeni senza alcun valore essenziale ai fini della spiegazione del carambio, ma tale approccio anzichè semplificare la spiegazione stessa si dimostra da subito generatore di un enorme ed incontrollata complessità rispetto ad un approccio emergentista, che invece allarga lo zoom dalle simm ai simmbili (dal livello micro/sub-simbolico a quello macro/simbolico) e tenta di spiegarne il funzionamento indipendentemente dalle singole simm.
A tal proposito Hofstadter scrive che:
"D'altronde, se considerando gli eventi al livello degli epifenomeni (il livello simbolico, nda) è possibile percepirne e comprenderne una 'logica', allora noi umani non desideriamo altro che balzare a quel livello. Di fatto, non abbiamo scelta. (...) Dopotutto noi stessi epifenomeni belli e grossi e, come ho già più volte osservato, questo fatto ci condanna a parlare del mondo in termini di altri epifenomeni che si collocano più o meno al nostro livello dimensionale."


Dunque, noi esseri umani viviamo in una precisa scala fisica dimensionale e per noi non ha alcun rilievo cosa fa il singolo neurone quando parliamo, ad esempio, dell'ultimo disco del nostro gruppo rock preferito con un amico. Per noi hanno importanza le parole e la musica (e non le frequenze dei suoni).
Pertanto, come dice Hofstadter, non abbiamo alcuna scelta circa la nostra dimensione esistenziale e quindi cercare la "logica dei simmbili" è una soluzione epistemologica che appare più conforme alle nostre esigenze oltre al fatto che ci "salva" da una iper-complessità ingestibile.
Ma quale è la logica dei simmbili, ossia la logica dei pattern neuronali? Secondo il nostro tale logica è quella del feedback ricorsivo che consente l'attivazione di loop iterativi che portano fino al simmbilo per eccellenza che è il loop auto-osservativo, ossia quello che noi chiamiamo Io o coscienza.
In sostanza, per Hofstadter la coscienza è un simbolo e tra i simboli è quello al quale siamo molto probabilmente più attaccati.

Infatti, Hofstadter afferma che:
"Tra le innumerevoli migliaia di simboli che fanno parte del repertorio di un normale essere umano, ce ne sono alcuni di gran lunga più frequenti e dominanti di altri e uno di essi prende, un pò arbitrariamente, il nome di 'Io' (almeno nella nostra lingua).  Quando parliamo di altre persone, lo facciamo in termini di cose quali le loro ambizioni, abitudini, avversioni, e quindi abbiamo bisogno di formulare per ognuno di loro l'analogo di un Io, che risiederà naturalmente nel loro cranio e non nel nostro. (...) Il processo di percezione del proprio sè nella sua interazione con il resto dell'universo (...) continua per tutta la vita. Ne segue che il simbolo dell'Io, come tutti i simboli del nostro cervello, parte piuttosto semplice e scarno, ma poi cresce e cresce e cresce, fino a diventare la struttura astratta più importante fra quelle che risiedono nei nostri cervelli. Ma dove esattamente? Non è localizzato in un piccolo punto: è sparso ovunque, perché deve contenere così tante cose su così tante cose."


Da questo passo, inoltre, deduciamo la funzione relazionale essenziale che ha il simbolo dell'Io, in quanto esso serve a distinguere il sé dagli altri ed a comunicare con i nostri simili. Il simbolo dell'Io, pertanto, ha una vera e propria funzione biologica di sopravvivenza e sociale di relazione.
Infine, il simbolo dell'Io (o lo strano anello emergente che noi chiamiamo Io) non è in uno specifico punto del nostro cervello, ma è distribuito al suo interno (quindi secondo Hofstadter non abbiamo alcun "elaboratore centrale" come invece asserisce Jerry Fodor e con lui i cognitivisti classici).
Ma come si risolve la causalità mentale con le simm e i simmbili del carambio?
Ne parleremo nel prossimo post.

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domenica 23 gennaio 2011

Hofstadter, il carambio e gli anelli nella mente (1ª Parte)

Eravamo arrivati alla descrizione delle principali correnti filosofiche rispetto al problema della sovradeterminazione causale della mente parlando di Douglas Hofstadter e del suo emergentismo.
Il libro a cui farò riferimento è "Anelli dell'Io. Cosa c'è al cuore della coscienza?" (2007) in cui Hofstadter ha espresso direi più che compiutamente la sua concezione del sistema cervello-mente con il ricorso originale e frequente alla metafora ed all'analogia, che consente anche ad un lettore non esperto di poter comprendere il suo modello della coscienza.

Copertina del libro "Anelli nell'Io" (2007) di Douglas Hofstadter
Una domanda cruciale che Hofstadter si pone all'inizio del libro e che si riallaccia al fondamentale problema della causalità mentale riprende l'interrogativo del neuroscienziato americano Roger Sperry (anche lui emergentista e del quale Hofstadter si dichiara da subito un grande estimatore) che nel saggio "Mind, Brain and Humanist Values" (1965) dice:
"Nel mio ipotetico modello di cervello, la consapevolezza cosciente stessa viene rappresentata come un agente causale molto reale e merita un posto importante nella sequenza causale e nella catena di controllo degli eventi cerebrali, nei quali si manifesta come una forza attiva, operante... Per dirla in modo molto più semplice, tutto si riduce alla questione di chi è che comanda chi di qua e di là nella popolazione di forze causali che occupano il cranio. Si tratta, in altre parole, di mettere in chiaro l'ordine gerarchico nel gruppo dei vari agenti di controllo intracraniali. Esiste all'interno del cranio un intero mondo di diverse forze causali; il fatto poi è che ci sono forze all'interno di forze all'interno di forze, come non si verifica in nessun altro decimetro cubico dell'universo che conosciamo...(...)
L'uomo, rispetto allo scimpanzé, ha più idee e più ideali. Nel modello qui proposto, il potere causale di un'idea, o di un ideale, diviene tanto reale quanto quello di una molecola, di una cellula o di un impulso nervoso. Le idee causano altre idee e promuovono l'evolversi di nuove idee. Esse interagiscono tra di loro e con altre forze mentali nel medesimo cervello, in cervelli vicini e, grazie alla comunicazione globale, in cervelli molto distanti di altri  Paesi. Ed esse interagiscono anche con l'ambiente esterno, sì da produrre, complessivamente, un avanzamento esplosivo nell'evoluzione che è molto al di là di tutto ciò che ha calcato finora la scena evolutiva, compreso l'emergere della prima cellula vivente".


In questo passo di Roger Sperry devo dire che c'è praticamente tutto ciò che è veramente rilevante per il nostro discorso:
1. Il problema della causalità del mentale;
2. La visione emergentista ed il suo approccio gerarchico dei livelli di auto-organizzazione;
3. La specificazione che la mente è "embodied" e che al tempo stesso interagisce con un ambiente esterno facendone al tempo stesso parte;
4. L'aspetto evolutivo e quindi neurobiologico;
5. La previsione di quella che poi sarà chiamata la "mente collettiva", una sorta di architettura emergente dall'utilizzo delle nuove tecnologie globali della comunicazione.

A tal proposito Hofstadter asserisce che:
"L'interrogativo di Sperry sull'ordine gerarchico all'interno del cervello identifica quello che vorremmo sapere di noi stessi - o, più miratamente, dei nostri sé. Che cosa stava davvero succedendo quel bel giorno in quel bel cervello quando, a quanto pare, qualcosa che chiama sé stesso 'io' ha fatto qualcosa che è chiamato 'decidere', dopo il quale un'appendice articolata si è mossa in maniera fluida e un libro si è ritrovato dove era stato solo pochi secondi prima? C'era davvero qualcosa a cui è possibile riferirsi come 'io' che stava 'mandando di qua e di là' qualcosa in diverse strutture fisiche del cervello, con il risultato di inviare lungo le fibre nervose messaggi accuratamente coordinati e di far muovere di conseguenza spalla, gomito, polso e dita in un certo pattern complesso che ha rimesso a posto il libro dov'era in origine - o, al contrario, c'erano soltanto miriadi di processi fisici microscopici (collisioni quantomeccaniche fra elettroni, fotoni, gluoni, quark, e così via) che stavano accadendo in quella circoscritta regione del continuum spazio-temporale che il poeta Edson ha chiamato un 'bulbo vacillante'? Possono sogni e sospiri, speranze e sofferenze, idee e convinzioni, interessi ed incertezze, infatuazioni ed invidie, ricordi ed ambizioni, attacchi di nostalgia e ondate di empatia, fitte di rimorso e scintille di genio avere un qualche ruolo nel mondo degli oggetti fisici? Hanno queste pure astrazioni dei poteri causali? Possono mandare di qua e di là cose che possiedono una massa, o sono soltanto finzioni senza potere? Può un indistinto, intangibile io dettar legge a oggetti fisici concreti come elettroni e muscoli?"


La domanda è cruciale perchè implica direttamente un'altra domanda, ossia "L'essere umano è un automa biologico completamente determinato da leggi fisiche?" da cui conseguirebbe che la coscienza e quello che chiamiamo "Io" non è altro che una illusione dovuta molto probabilmente a meccanismi di sopravvivenza evolutiva, ma senza alcuna realtà fisica e bio-chimica.
Faccio notare, intanto, che nella visione di Roger Sperry le "idee" hanno un vero e proprio potere causale all'interno del mondo mentale, ossia le idee causano altre idee ed interagiscono con altre idee di altre persone grazie alla comunicazione globale, e in questo processo si evolvono causando ulteriori processi causali (possiamo pensare ad esempio al concetto di meme di Richard Dawkins [1976] o di "carattere culturale" di Luigi Cavalli Sforza [2007]).


La questione dell' "automa biologico" è poi direttamente correlata al problema del riduzionismo e del determinismo, in particolare se il nostro sistema cervello-mente è interamente riducibile al comportamento delle sue componenti microscopiche attraverso la descrizione delle relative leggi e quindi ha un comportamento interamente determinato da tali processi.
Inoltre, il determinismo è direttamente correlato alla prevedibilità di un fenomeno nell'ipotesi che se un fenomeno è determinato da leggi note di tipo matematico allora esso è interamente prevedibile nel suo sviluppo temporale.
Un esempio frequente di cosa si intenda per determinismo è quello del cosiddetto "demone di Laplace" che vi ripropongo di seguito:
"Dobbiamo pertanto considerare lo stato attuale dell'universo come l'effetto del suo passato e la causa del suo futuro. Un' Intelligenza che ad un determinato istante dovesse conoscere tutte le forze che mettono in moto la natura, e tutte le posizioni di tutti gli oggetti di cui la natura è composta, se questo intelletto fosse inoltre sufficientemente ampio da sottoporre questi dati ad analisi, esso racchiuderebbe in un'unica formula i movimenti dei corpi più grandi dell'universo e quelli degli atomi più piccoli; per un tale intelletto nulla sarebbe incerto ed il futuro proprio come il passato sarebbe evidente davanti ai suoi occhi ." (Laplace, 1814)


In realtà, questa visione del determinismo è ampiamente, come vedremo, tramontata e secondo alcuni (Zanghì, 2007) traviserebbe la stessa visione di Laplace perché "secondo Laplace le nostre inferenze su ciò che accadrà o è accaduto, essendo la nostra informazione sullo stato del mondo scarsa e limitata, dovranno essere necessariamente di tipo probabilistico. In altre parole, Laplace, a differenza di molti suoi moderni detrattori, ha ben chiara la distinzione fra determinismo e predicibilità. La moderna teoria della complessità ha chiarificato la distinzione tra queste due nozioni, mostrando che un sistema fisico governato da leggi deterministiche può esibire un comportamento totalmente impredicibile e caotico. Secondo la moderna teoria dei sistemi dinamici il caos non è altro che dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali di un sistema deterministico. L'emergenza del caos e della complessità risultano quindi spiegati dal determinismo delle equazioni differenziali". (cit.)

Tornando ad Hofstadter, nel paragrafo "Termodinamica e meccanica statistica" (pag. 50, cit.), abbozza quella che sarà in sostanza la sua posizione di tipo emergentista:
"Sono cresciuto con un padre che era un fisico e per me era naturale vedere la fisica come fondamento di ogni singola cosa che accadeva nell'universo. (...) ... arrivai a vedere la biologia molecolare come risultato delle leggi della fisica in azione su molecole complesse. In breve, sono cresciuto con una visione delle cose che non lasciava alcuno spazio per 'altre' forze nell'universo, in aggiunta alle quattro forze fondamentali che i fisici avevano identificato (gravità, elettromagnetismo, forza nucleare debole e forza nucleare forte)".
Per conciliare questa visione "fisica" con quella che per il momento chiameremo "mentale", Hofstadter afferma che:
"Queste forze causali macroscopiche (quelle "mentali", nda) così ben comprensibili sembravano radicalmente differenti dalle quattro ineffabili forze della fisica che io ero sicuro causassero tutti gli eventi dell'universo. La risposta è semplice (per conciliare le "due realtà", nda): concepivo queste 'forze macroscopiche' come puri e semplici modi di descrivere dei pattern complessi che erano generati da forze fisiche fondamentali, proprio come i fisici erano arrivati a rendersi conto che fenomeni macroscopici quali attrito, viscosità, traslucidità, pressione e temperatura potevano essere intesi come regolarità altamente predicibili determinate dalla statistica di un numero astronomico di loro invisibili costituenti microscopici, carambolanti di qua e di là nello spazio-tempo, il tutto dettato dalle sole quattro forze fondamentali della fisica. Mi rendevo anche conto che questo tipo di passaggio fra livelli di descrizione risultava in qualcosa che era estremamente prezioso per gli esseri viventi : la comprensibilità".

In questo passo è dunque fondamentale il riferimento al fatto che noi esseri umani descriviamo per forza di cose e per renderci comprensibili diversi livelli di organizzazione del mondo fisico e che pertanto il mondo macroscopico nel quale viviamo ed interagiamo viene descritto ad un livello simbolico e linguistico che non necessita di specificare la realtà microscopica sottostante dalla quale emerge e dalla quale certamente ha, in prima approssimazione, una relazione di dipendenza ontologica.
L'analogia con la termodinamica e la meccanica statistica è alquanto pregnante: infatti per descrivere il comportamento di un gas non ci interessa sapere cosa fanno i miliardi di molecole al suo interno, ma solo il suo comportamento macroscopico, che viene descritto in termini statistico-probabilistici.
Come dice lo stesso Hofstadter, quando un ingegnere meccanico progetta un motore non pensa a cosa fanno al suo interno le singole molecole, ma al loro comportamento collettivo idoneo a generare energia e movimento.
La distinzione, dunque, fra livello microscopico e macroscopico emergente è fondamentale per poterci avventurare nel prossimo post negli strani anelli dell'Io di Hofstadter, in cui come vedremo sarà fondamentale anche il concetto di feedback ricorsivo.

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giovedì 20 gennaio 2011

Premi Solari

Quando si riceve un attestato di stima fa sempre piacere perché indica che qualcuno fra i tanti o pochi che ti leggono vuole manifestarti il suo apprezzamento mettendolo "nero su bianco" e ogni tanto non è poi tanto male dire chiaramente ad una  persona, anche se non la conosci dal vivo, che ti piace quello che scrive.


Per questo ringrazio Walter Fano che mi ha incluso nella sua "Top 12", ossia i 12 blog che legge con maggior piacere.
Mi piace anche il nome di questo attestato che adesso mi accingo a "rigirare", come è giusto, ad altri 12 blog e relativi bloggers : Sunshine Awards.

Mi piace ancor di più se pensate che adesso che scrivo sono praticamente immerso nella nebbia del Nord-Est.
Ripartendo da quanto ha scritto Walter, vi dico che quando si riceve il premio:

- oltre a ringraziare chi ci ha premiato (grazie Walter!!!);
- si scrive un post per il premio;
- si passa il Premio a 12 blog che riteniamo meritevoli;
- si inseriscono i link qui di seguito,
- si comunica ai loro rispettivi autori l'assegnazione del premio.

Ecco allora di seguito i 12 blog che seguo molto volentieri, ma che non esauriscono, ovviamente, i blog italiani che trovo stimolanti e ben fatti.

1. Apertamente, di Ignazio Licata;
2. Automi Ribelli, di Andrea Doria;
3. Vita digitale, di Cristian Contini;
4. I media mondo, di G. B. Artieri;
5. Innernet, di Ivo Quartiroli;
6. Ideasonair, di Chiara Passa;
7. Borborigmi di un fisico renitente, di Marco Delmastro;
8. Rangle, di Peppe Liberti;
9. My Genomix, di Moreno Colaiacovo;
10. Il chimico impertinente, di Gifh;
11. Samgha, i suicidati della società letteraria;
12. Oggi Scienza (questa è la redazione).


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sabato 15 gennaio 2011

La causalità mentale (2ª Parte)

Esaminiamo brevemente le soluzioni filosofiche alla sovradeterminazione causale che emerge dall'analisi di Jaegwon Kim e di cui si è parlato nel precedente post.
Il problema, lo ripetiamo, è quello di dimostrare (o meno) l'esistenza di una realtà mentale che può causare stati fisici rispettando il principio di chiusura causale del mondo fisico o dimostrare una dicotomia e, quindi, leggi diverse ed irriducibili per gli stati mentali rispetto a quelli fisici in cui esiste, però, una causalità del mondo mentale su quello fisico.


1. Monismo anomalo: è la posizione di Donald Davidson che non distingue fra stati mentali e stati fisici, ma che prevede che allo stesso evento possano corrispondere due diverse descrizioni. In tal senso, si parla di identità di occorrenza (i "tokens" di cui parlavamo nel post precedente) e la posizione metafisica che prevale è quella materialista, mentre è il linguaggio che da' luogo ad un dualismo che non è realmente tale. Per Davidson il mentale non è un mondo di fatti ma un mondo di norme (normatività del mentale) ed è intrinsecamente olistico (coesistenza di una moltitudine di stati mentali), per cui non è possibile ridurre tale struttura ad una spiegazione fisica. Fondamentale in Davidson è la distinzione fra relazione causale e spiegazione causale, che serve a difendere la sua posizione dalla critica di epifenomenismo del mentale. Pertanto, "un evento è quello che è e le sue proprietà causali non dipendono da come lo descriviamo, in un vocabolario mentale piuttosto che fisico. In questo senso non c'è mistero che un evento individuato mentalmente possa essere una causa" (Paternoster, 2010).
Il mondo mentale sarebbe, dunque, lo stesso mondo fisico osservato da un'altra prospettiva e non ci sarebbe un dualismo delle proprietà. Questa posizione è di tipo materialista e non riduzionista, ma si presta alla sostanziale critica del postulato di identità fra mentale e fisico e della contestuale irriducibilità (l' inspiegabile "anomalia del mentale").

2. Monismo nomologicoinnanzitutto gli stati mentali sopravvengono su quelli fisici e c'è identità di occorrenza fra i due. E' Jerry Fodor a sostenere questa posizione in cui ancora una volta è fondamentale il significato che si attribuisce al concetto di causalità. In particolare, secondo Fodor ci sono delle vere e proprie leggi psicologiche (cioè mentali) che non hanno nulla a che fare con il vocabolario delle scienze della natura (così come l'impetuosità di un fiume è una sua proprietà ma non é descrivibile in un vocabolario fisico) e pertanto è uno pseudo-problema cercare delle leggi ponte fra lo stato mentale e quello fisico, pur essendoci sopravvenienza e identità di occorrenza, come dicevamo poco sopra.
Fodor con la sua posizione difende la liceità di leggi causali nell'ambito delle cosiddette scienze speciali come la psicologia. Il modello di Fodor prevede una "causalità epistemologica" piuttosto che metafisica o nomologico-deduttiva: "l'enfasi è posta sulla spiegazione e sulla previsione, senza richiedere l'esistenza di una presunta relazione oggettiva fra oggetti o eventi" (Paternoster, cit.).
Anche Fodor, però, si è visto costretto a precisare meglio il concetto di causalità e lo ha fatto distinguendo fra efficacia causale, tipica del mondo fisico, e responsabilità causale che caratterizzerebbe il mondo mentale.
Si verrebbe, in tale quadro, a proporre una forma di sopravvenienza fra nessi causali, ossia la responsabilità causale sopravverrebbe sull'efficacia causale. E' evidente che tale posizione non risolve il problema della sovradeterminazione causale, ma si appella ad una non necessità di porre un problema di questo tipo così come non sarebbe evidente l'esistenza di leggi ponte fra fisica e chimica o tra biologia e chimica e quindi la loro stretta identità.


3. Deflazionismo: rappresentanti autorevoli di questo approccio sono Lynne Ruder Baker e Tyler Burge per i quali la nozione di causa è di tipo puramente intenzionale e pertanto bisogna fare riferimento al concetto di scopo dei singoli soggetti. Ne consegue che la spiegazione del concetto di causa è strettamente correlata a quello di scopo e di contesto di un discorso e quindi è rilevante la sola domanda controfattuale in cui ci si chiede "se A non avesse avuto luogo, ceteris paribus B non avrebbe avuto luogo" (Paternoster, cit.). Il presente approccio è di tipo anti-funzionalista e anche di tipo anti-naturalistico sui generis, in quanto pur riconoscendo la causalità degli stati mentali non ravvede alcuna possibilità di spiegarla con un vocabolario fisico negando la stessa sopravvenienza del mentale sul fisico. Per gli appartenenti a questo tipo di approccio, il mentale non è in alcun modo uno stato computazionale né descrivibile come dicevamo con una teoria fisica essendo caratterizzato da una logica completamente diversa.  Anche per i deflazionisti, dunque, il problema della sovradeterminazione causale è mal posto e dunque non è un  problema.
Ci sarebbero, dunque, due diversi tipi di cause e pertanto "il senso in cui gli stati mentali sono causa degli stati fisici non è lo stesso di quello per cui un evento fisico ha una ed una sola causa sufficiente" (Paternoster, cit.). La strategia deflazionista consiste proprio nel depotenziamento della nozione di causa all'interno del principio di chiusura causale del mondo fisico.

4. Neo-riduzionismo: accetta l'idea della sovradeterminazione causale. E' quello proposto dal citato Jaegwon Kim, che identifica le proprietà mentali con quelle fisiche, fatta eccezione per l'ammissione dell'esistenza dei qualia che sono considerati come epifenomeni senza rilevanza causale. E' una forma di funzionalismo riduzionista che però si presta alla critica dell'identità fra M (proprietà mentale) e P (proprietà fisica), cioè alla difficile concepibilità dell'ipotesi che ogni volta che si verifica uno stato M esso abbia la stessa identica proprietà fisica P (Kim ammette la realizzabilità multipla, ossia che ci possano essere più realizzatori fisici P1, ..., Pn a parità di M, ma essi saranno sempre gli stessi relativamente a M).

Un'altra forma di neo-riduzionismo, anche se non tutti saranno d'accordo in quanto dipende da come vengono utilizzate nell'ambito di un modello, è quello delle reti neurali (modelli connessionisti e neo-connessionisti) di cui parlerò in futuro e di cui ho già accennato in altri post (vedi qui).

Come si può notare da quanto detto, nell'affrontare il problema della sovradeterminazione causale è fondamentale precisare il concetto di causa, quello di proprietà e quello di identità da cui dipende il modo di "risolvere" il problema mente-corpo. Se si da' al concetto di causa e di proprietà quello tipico del fisicalismo è quasi inevitabile approdare al neo-riduzionismo o all' eliminativismo, se si depotenzia il concetto di causa si può arrivare fino a forme di deflazionismo anti-naturalista o di vera e propria metafisica della coscienza basata su leggi completamente diverse da quelle fisiche.
Nel caso di leggi e quindi di proprietà diverse si parla di dualismo delle proprietà (ad es. quello di David Chalmers per la coscienza fenomenica), mentre invece nel caso di un approccio che considera il mentale irriducibile agli stati neurobiologici si parla di dualismo epistemologico che si accompagna ad un monismo ontologico (cioè esiste comunque alla base una dipendenza ontologica del mentale dal fisico, ma esiste altresì una descrizione diversa dovuta a modelli epistemologici differenti).
L'emergentismo, ad esempio quello di Douglas Richard Hofstadter e del suo "Anelli nell'Io" (2007), è un approccio che incorre in un dualismo epistemologico all'interno di un monismo ontologico in cui la coscienza diventa una proprietà emergente, che Hofstadter chiama (secondo me impropriamente) epifenomeno, anche se le conferisce un potere causale nell'ambito di un processo ricorsivo. Per Hofstadter quello che noi chiamiamo Io è infatti una "illusione", così come ciò che chiamiamo libero arbitrio assolutamente non esiste.
Ne parleremo nel prossimo post.

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giovedì 6 gennaio 2011

La causalità mentale (1ª Parte)

Vi propongo un piccolo "rompicapo" di filosofia della mente relativo alla causalità mentale, che ho da poco proposto su Facebook. Vediamo cosa ne pensate e come cercate di risolverlo, nel senso di quale posizione preferite assumere, per cui sono graditi commenti.
Inoltre, proporrò sinteticamente nel prossimo post i possibili modi in cui in filosofia della mente si è cercato di rispondere a questo problema.
Il rompicapo è più o meno questo:
immaginiamo di voler dimostrare che esista una realtà mentale in grado di agire su una realtà fisica neurobiologica attraverso la volontà (chiamiamola in prima battuta libero arbitrio). Ciò significa ipotizzare che uno stato mentale debba poter avere una "causalità verso il basso" (top-down), dove il basso è rappresentato dal substrato fisico e biologico del cervello e l'alto dalla mente come proprietà superiore del cervello.
Intanto, occorre fare una prima serie di precisazioni:

1. Bisogna rispettare il principio di chiusura causale del mondo fisico (ossia che in un mondo materiale non possono esserci cause non materiali degli eventi fisici);

2. Se si rifiuta il predetto principio, bisogna postulare che la mente non soggiace alle leggi fisiche e spiegare perché.

Come strumenti concettuali che avete a disposizione, oltre a quelli che vorrete adottare, suggerisco:

I) Approccio emergentista: famiglia di teorie il cui denominatore comune può essere definito dalla tesi secondo la quale i sistemi fisici che hanno una certa complessità di organizzazione danno luogo a proprietà mentali (o in generale a proprietà di alto livello) che non possono tuttavia né essere previste né spiegate sulla base delle sole proprietà fisiche di basso livello. Le proprietà emergenti sono tipicamente considerate l'esito di processi di auto-organizzazione in sistemi complessi (Paternoster, 2010).

II) Approccio basato sul concetto di sopravvenienza: le proprietà mentali sopravvengono alle proprietà fisiche se e solo se una identità di tipo fisico implica una identità di tipo mentale, ovvero a qualche differenza mentale fa sempre riscontro una differenza fisica. La sopravvenienza del mentale sul fisico corrisponde alla congiunzione di tre tesi: dipendenza del primo dal secondo, covarianza (immaginate una co-evoluzione) del fisico con il mentale, non riducibilità del mentale al fisico (Paternoster, 2010).

Nell' immagine  è riportato l'argomento dell'esclusione causale sul quale si basa l'approccio neo-riduzionista proposto da Jaegwon Kim (che comunque non nega l'esistenza dei qualia pur non attribuendo loro un'efficacia causale), in cui nel caso a) si vede che la causalità mentale (M----> M*) sul comportamento è epifenomenica rispetto allo stesso, cioè è ininfluente rispetto a quella fisica.
Nel caso b) si verifica la sovradeterminazione causale, ossia che due cause - M, quella mentale, e P quella fisica - determinano la stessa proprietà fisica P*. Si supponga che m e m* siano le occorrenze mentali ("tokens", ossia le manifestazioni mentali concrete o contingenti) relative alle proprietà mentali M ("avere fame") e M* ("aprire il frigo e prendere un dolce") e p e p* siano i "realizzatori fisici" (processo bio-fisico, nel caso in esame di tipo neurobiologico) di m e m* e che quindi p -----> m e p*-----> m*. Ovviamente, P è la proprietà fisica di "avere fame" e P* quella di "aprire il frigo e prendere un dolce".

Come possiamo allora dimostrare che la mente può causare eventi fisici (immaginiamo l'azione causale da un livello più alto ad uno più basso), evitando di essere totalmente riduzionisti o eliminativisti (negando la realtà mentale, che si considera "zippabile" in leggi fisiche e biologiche) o di cadere in forme di dualismo? Ovviamente, si può dire di essere totalmente riduzionisti (la mente è identica al cervello o ancora che proprio non esiste una "mente") o assolutamente dualisti (mentale e fisico-cerebrale sono irriducibili e hanno leggi completamente diverse) e giustificare il perchè.

Aggiungo che m e m* possiamo approssimarli ai cosiddetti qualia, ossia gli stati soggettivi della coscienza fenomenica (le cui proprietà sono M e M*) che secondo alcuni filosofi della mente sono irriducibili ad una descrizione scientifica (ad es. lo stesso dato sensoriale - il rosso della rosa o l'aver fame dell'esempio - verrebbe percepito in maniera radicalmente diverso da ognuno di noi).
Per chi volesse leggere i commenti su FB il link è questo qui.

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sabato 1 gennaio 2011

Perché parlare di coscienza anche quest'anno

Intanto Buon 2011 a tutti!
Vorrei iniziare questo nuovo anno con una domanda che mi faccio da un pò e che magari qualche lettore di questo blog si sarà fatto: "Perchè parlare di coscienza?", "A cosa serve parlare di coscienza con termini che spesso sono lontani dalla nostra sensazione e dalla nostra idea di quello che la coscienza è o possa essere?", e soprattutto "Se non c'è una risposta chiara e convincente per tutti non sarà poi un discorso poco fecondo?".
In fin dei conti, siamo creature "condannate" a vivere - o forse "premiate" a seconda dei punti di vista - in una dimensione fisica e biologica ben precisa che è quella macroscopica in cui non abbiamo la benché minima percezione di quello che accade dentro il nostro corpo e che pertanto hanno "inventato" un mondo, anzi infiniti mondi, grazie alle capacità evolute ed alla complessità di quello "strano organo" chiamato cervello.
Escher, Specchio Magico (1946)

Non credo che molti si focalizzino più di tanto sul fatto che siamo costituiti da cellule, da un sistema nervoso, da un sistema sanguigno, da atomi, da particelle "elementari" e via dicendo o su quale sia la relazione fra i numeri o gli enti geometrici e la struttura del nostro cervello, mentre é sicuramente vero che viviamo la nostra vita all'interno di un mondo fatto di "cose" (oggetti vari, tecnologie, ecc.), di persone, di esseri viventi, di emozioni, di affetti, di pensieri, di poesia, di arte, di musica, di problemi pratici come il lavoro, i soldi, dove qualcuno si interessa di politica, qualcun altro di finanza ed economia, altri di cose molto più "materiali" ma sempre utili e comunque ben inserite in un ecosistema che è saldamente antropomorfo.

In definitiva, non "serve" a molto sapere cosa c'è "dentro di noi" e cosa c'è "là fuori" se non in termini direttamente correlati alle nostre finalità macroscopiche.
Per questo motivo, i nostri interessi sono essenzialmente interessi macroscopici e tendiamo a trascurare i dettagli, almeno che per qualche motivo non li riteniamo importanti in base a nostre valutazioni soggettive.
Se poi aggiungiamo che ogni volta che la scienza ci da' una spiegazione finisce spesso per "castrare" il mondo (anzi, i mondi) che noi abbiamo costruito e nel quale ci siamo collocati in secoli di evoluzione sociale e culturale, ci rendiamo conto che entrare nei dettagli può essere non solo poco chiaro, ma anche poco conveniente se ci può costringere a dover mettere in discussione la nostra visione complessiva del mondo che abitiamo e di noi stessi.
Dopotutto la nostra esistenza è più o meno saldamente incanalata su binari alquanto "rigidi": lavoro, famiglia, denaro, salute, qualche svago, relazioni sociali e cyber-sociali più o meno intense. E' in e da questo mondo che siamo  "presi", il resto non ci sembra "davvero importante" o comunque immediatamente tale.
Che esistano i quanti, i neuroni o i buchi neri fa poca differenza al fine della nostra vita quotidiana, che sembra proprio essere fatta di tutt'altro, di cose che chiamiamo emozioni, amore, sogni, desideri, piacere, giustizia... Ce lo dicono poi gli stessi scienziati più "illuminati": la scienza non è una tuttologia che può spiegarci ogni cosa, anzi quello che spesso resta fuori della sua portata, stranamente, sono proprio quelle emozioni, quei desideri e quel senso di giustizia di cui è fatta la nostra vita interiore.
In qualche modo, la nostra visione del mondo si (af)ferma ad un "livello di zoom" che è in massima parte a grana molto grossa, anche quando parliamo di sensazioni che ci sembrano esprimere il nostro più profondo sentire e quindi ci sembrano rivestire un grado di verità quasi incontestabile.
Se parliamo in termini fisici, tutto ciò che accade è fatto di una infinità di "particelle" che si combinano ed interagiscono fra di loro, ma ci viene proprio innaturale pensare che quando usciamo la mattina per andare al lavoro in "realtà" siamo "nient'altro" che sciami di particelle che hanno "deciso" di andare a lavorare: ma perché dovrebbero lavorare delle particelle per quanto aggregate complessamente?
Pertanto, la controintuitività della rappresentazione scientifica di ciò che siamo è tale che siamo interessati a ciò che la scienza ci dice nella misura in cui ci può essere utile, ma tendiamo a distaccarcene quando ci parla di quello che c'è nella nostra "scatola nera", ossia il cervello.
Mi spiego meglio: ormai siamo quasi tutti convinti che esistono i geni, che le malattie in qualche modo "misterioso" dipendono da loro, che magari il nostro stesso carattere dipende dai geni, insomma siamo ben disposti a concepire un mondo in cui una buona parte del nostro essere sia dipendente da questo "fantomatico" DNA (semplifico molto, perché in materia ci sono diverse scuole di pensiero e l'epigenetica è una branca in costante progresso), ma se qualcuno ci dice che non abbiamo alcun libero arbitrio e che ogni nostro pensiero è determinato da processi fisici sottostanti, per quanto complessi, allora cominciamo a non essere così convinti e anzi tendiamo a ribellarci all'idea stessa che quella "scatola nera" ci condanni ad essere "ai suoi ordini", per altro la cui natura profonda ci è ignota.

La coscienza diventa, in tal senso, il nostro ultimo baluardo di libertà rispetto ad un mondo materiale che è rigidamente regolato da leggi fisiche. Anzi di più: la coscienza diventa una sorta di patrimonio e rifugio individuale in un mondo regolato non solo da leggi fisiche, ma anche e soprattutto da rigide regole economiche, sociali e politiche.
Ma ne siamo certi? Siamo convinti che la coscienza sia al di fuori delle leggi fisiche? Siamo certi di poter credere nel libero arbitrio? O non si tratta, piuttosto, di una mera illusione del nostro cervello per sopravvivere in quella realtà macroscopica di cui parlavamo?
E se è un'illusione, allora potrebbe significare che le illusioni sono una realtà biologica e quindi fisica? Dopotutto, un'illusione sarà fatta di atomi o di cosa?
La coscienza ci sembra essere la casa della nostra vita morale e quindi delle nostre decisioni esistenziali più profonde (quindi della volontà), ma se è in fin dei conti un'aggregazione complessa di atomi nella nostra testa che si muovono e si combinano "all'impazzata" o con regole la cui dinamica non ha un senso particolare avvertiamo inevitabilmente l'imbarazzo di trovare un qualche punto di contatto fra "quegli atomi" e i "nostri pensieri".
In palio c'è poi ancora di più: la nostra stessa immagine di noi stessi e fino a che punto possiamo averne una che trascenda in toto o solo parzialmente i dati fisici, dicendoci che la scienza e le leggi fisiche non possono spiegarci la natura profonda del nostro io (anche la stessa immagine della scienza è in gioco, se ci riflettiamo, dal problema della co-scienza).
Siamo degli esseri "metafisici" o "fisici" ? O la metafisica è nient'altro che una fisica particolare all'interno dei nostri pensieri meramente fisici, diciamo un insieme molto complesso di pattern di atomi all'interno della "scatola nera"?
Come vedete le domande sono tante e per chi vuole impiegare un pò di atomi all'interno del proprio cervello, direi che abbiamo un altro anno per parlarne e per approfondire!

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