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sabato 19 marzo 2011

Cosa è la mente estesa? (1ª Parte)

Fonte: Scientific American
Uno dei problemi fondamentali quando si parla del sistema cervello-mente è sempre correlato al principio di causalità di cui ho già accennato in questo post (ed in questo, che è quello successivo) dove parlavo della sovradeterminazione causale di Jaegwon Kim e delle sue conseguenze teoriche.
In sintesi, sia che ragioniamo in termini di "psicologia ingenua"ossia in termini della nostra esperienza comune e delle credenze socio-culturali consolidate - sia che osserviamo le svariate indagini che si svolgono nel settore delle scienze cognitive e delle neuroscienze, le domande "Cosa causa cosa" e "Chi causa cosa" sono quelle che sorgono immediatamente, oltre ovviamente a "Come funziona" e "Come è fatto", e che ad una attenta analisi finiscono per creare non pochi problemi concettuali. Esiste, cioè, una ipotesi sottostante che tutto ciò che accade dipende da una causa, per quanto complessa essa possa essere.
L'idea di una causalità è per esempio alla base della ricerca in fisica delle particelle del meccanismo di Higgs e del relativo bosone all'LHC di Ginevra: la domanda è da dove deriva la massa delle particelle elementari e sapendo dal Modello Standard che dovrebbe "nascere" dal meccanismo di Higgs lo si cerca utilizzando le collisioni ad alte energie. Se si trova il "bosone di Higgs" allora il Modello Standard è corretto, dunque se si trova sperimentalmente la "causa" ipotizzata allora il modello descrive bene la realtà fisica (è una buona mappa del territorio). Come detto altrove, è evidente che il meccanismo di Higgs in sè è una nostra costruzione fisico-matematica e quindi non "esiste" in quanto tale, esso piuttosto appartiene alla ontologia materiale (detta anche locale) della fisica nel senso che è un "ente" specifico di questa disciplina che è sottoponibile a verifica sperimentale secondo i suoi metodi di verifica specifici.
Questo modo di procedere, dunque, caratterizza il metodo scientifico e pertanto anche quando si studia il cervello si va alla ricerca delle risposte alle domande "Come funziona" e "Chi/Cosa causa cosa", dove la seconda domanda è senz'altro intrinsecamente legata alla prima perchè per dire come funziona un qualsiasi "ente scientifico" (utilizzo un termine generico, immaginiamo ad es. la cellula o il cervello stesso nel suo insieme), sia esso un processo fisico, chimico o biologico, occorre trovare le relazioni fra quelle che si ritengono le sue parti costituenti fondamentali e fra le relative proprietà da un lato e le eventuali relazioni con "il resto del mondo" - cioè con ciò che non è definibile come quell'ente specifico di cui stiamo parlando - e tutte queste relazioni inevitabilmente hanno a che fare, in linea teorica, anche con il concetto di causa-effetto.
E' inimmaginabile pensare che se aumenta la temperatura di un corpo essa lo possa fare senza una causa - endogena o esogena che sia - o che se una persona improvvisamente impazzisce ciò non sia dovuto ad una causa che sia individuabile nella sua biografia ma anche a livello neurobiologico.
Se è vero, però, che "nonostante la nozione di causalità non sia una nozione 'tecnica', dotata di una chiara ed univoca definizione codificata nei manuali di qualche teoria formalizzata, l'analisi causale dei fenomeni sembra parte integrante del ragionamento scientifico tout court e dunque della fisica" (F. Laudisa, 2007) è altresì vero che esiste una prospettiva anticausale (cit.) in cui viene data alla nozione di legge un posto centrale dell'indagine scientifica ed in cui il concetto di causa è di fatto sostituito da quello di spiegazione, mentre la causa in senso ristretto è assimilata a quella aristotelica di causa efficiente (cosa ha prodotto cosa).
D'altronde, anche se sposiamo la tesi nomologica (legge fisica) dell'indagine scientifica è evidente che il concetto di causa ha un proprio valore pratico ed euristico ed è inoltre legato ad una nostra intrinseca dimensione cognitiva connessa alla nostra peculiare scala di osservazione e quindi non può essere totalmente escluso (sappiamo che se tocchiamo il fuoco ci bruciamo, quindi c'è un rapporto causa-effetto fra il nostro atto e le sue conseguenze). In tal senso, la causalità può essere interpretata come una relazione emergente tipica dell'agente cognitivo umano e del suo accoppiamento con l'ambiente (cit.).
In questa ultima accezione, la nozione di causalità diventa un un nostro modo di conoscere e descrivere la realtà e di farne esperienza e pertanto resta a tutti gli effetti un tipo di relazione attraverso la quale possiamo spiegare gli eventi ed i processi che osserviamo, a prescindere dal fatto se essa esista "davvero" nel mondo fisico (immaginiamo ad esempio, vista l'attualità, la reazione a catena  di un reattore a fissione nucleare).
La causalità diventa in tal senso, come qualsiasi concetto scientifico, una nozione epistemologica e non ontologica (non pre-esiste cioè all'osservatore) e si può adattare ad una descrizione dei processi fisici, chimici, biologici, psicologici e socio-culturali anche se con non pochi problemi e non di rado con carenze di risultati fecondi o quanto meno univoci.
Per questo motivo, occorre utilizzare questo concetto chiarendone di volta in volta i limiti ed il significato (depotenziamento del concetto di causalità). In particolare, occorre chiarire il rapporto che c'è fra causalità, determinismo e predicibilità. L'esistenza di un processo deterministico non implica che tale processo sia predicibile come dimostrano i fenomeni di caos deterministico dei sistemi fisici dinamici non lineari che, pur essendo deterministici, sono estremamente sensibili alle condizioni iniziali e quindi non sono predicibili se non sotto specifiche condizioni/limitazioni (es. i fenomeni meteorologici) e mediante lo studio e la determinazione dei relativi attrattori.
Inoltre, come insegna la meccanica quantistica, la famosa equazione di Schrödinger è perfettamente deterministica (associa gli stati al tempo secondo una data evoluzione matematica) anche se poi è con la misurazione che si "sceglie" un suo valore di stato specifico (il cosiddetto "collasso della funzione d'onda"), che non è predicibile in partenza, ma il "mondo dei quanti" è anche descritto dal principio di indeterminazione di Heisenberg e da quello di non località - dimostrato da fenomeni come l'entanglement -, per cui in tale ambito occorre ridefinire il concetto stesso di causalità di cui un esempio può essere quello del filosofo della scienza Tim Maudlin per il quale "Una coppia di eventi A e B si implicano causalmente a vicenda quando l'evento B non si sarebbe verificato se l'evento A non si fosse verificato" (mutua implicazione causale), che presuppone una causa comune (ossia un evento) pre-esistente nel passato di A e B da cui discende ad esempio la predetta relazione di entanglement. Ne consegue che la causalità, anche nel mondo quantistico come in quello classico, non coincide con il determinismo (fra due stati s1 e s2 di un sistema quantistico c'è solo una legge deterministica e non una relazione causale del tipo che lo stato s1 causa quello s2) né tanto meno con la predicibilità, ma può comunque essere ridefinita in altri modi (cioè il mondo quantistico non è necessariamente a-casuale, come per altro la meccanica di Bohm evidenzia con le nozioni di causa formale, informazione attiva e di ordine implicito ed esplicito ) con riferimento a concetti probabilistici (come in termodinamica) come quello di rete causale ideato da Hans Reichenbach
Una rete causale sarà, molto in sintesi, la "direzione della maggioranza dei processi" che avvengono nella rete considerata (Laudisa, cit.).

A questo punto, avendo introdotto e distinto le nozioni di determinismo (es. equazione di Schrödinger), causalità (relazione cognitiva emergente osservatore - mondo osservato, "mutua implicazione causale", "rete causale probabilistica", "ogni evento è l'effetto di qualche causa", "causalità circolare", "causalità non lineare" ecc.) e predicibilità (es. quella dei fenomeni meteorologici), possiamo farci la domanda che si è fatto Alva Noe nel suo "Perchè non siamo il nostro cervello. Una teoria radicale della coscienza", ossia da cosa deduciamo che la mente sia "causata" dal cervello, cioè che sia un processo assimilabile alla digestione per lo stomaco e che in quanto tale avvenga esclusivamente dentro il cervello e che pertanto sia solo quest'ultimo il luogo dove avvengono i fenomeni mentali.
Da quello che si legge in numerosi articoli e ricerche dei neuroscienziati sembrerebbe che la mente sia causata dai suoi stati neuronali e che quindi il cervello e la mente siano la stessa cosa: tra i due ci sarebbe totale identità e un presunto "rapporto di causalità esclusivo tra neuroni cerebrali e coscienza".
Secondo tale accezione, la coscienza è dentro il cervello e i suoi correlati sono solo (o quasi esclusivamente) quelli fisici e neurobiologici dentro il cervello.
Nel prossimo post cercheremo di vedere come Alva Noe smonti tale idea "ingenua" e come affronti il tema del confine fra il cervello, il corpo ed il mondo e proponga una teoria - se vogliamo "eretica" - di cosa sia e come si causi la mente, la nostra coscienza e, quindi, la nostra identità di esseri umani.

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domenica 23 gennaio 2011

Hofstadter, il carambio e gli anelli nella mente (1ª Parte)

Eravamo arrivati alla descrizione delle principali correnti filosofiche rispetto al problema della sovradeterminazione causale della mente parlando di Douglas Hofstadter e del suo emergentismo.
Il libro a cui farò riferimento è "Anelli dell'Io. Cosa c'è al cuore della coscienza?" (2007) in cui Hofstadter ha espresso direi più che compiutamente la sua concezione del sistema cervello-mente con il ricorso originale e frequente alla metafora ed all'analogia, che consente anche ad un lettore non esperto di poter comprendere il suo modello della coscienza.

Copertina del libro "Anelli nell'Io" (2007) di Douglas Hofstadter
Una domanda cruciale che Hofstadter si pone all'inizio del libro e che si riallaccia al fondamentale problema della causalità mentale riprende l'interrogativo del neuroscienziato americano Roger Sperry (anche lui emergentista e del quale Hofstadter si dichiara da subito un grande estimatore) che nel saggio "Mind, Brain and Humanist Values" (1965) dice:
"Nel mio ipotetico modello di cervello, la consapevolezza cosciente stessa viene rappresentata come un agente causale molto reale e merita un posto importante nella sequenza causale e nella catena di controllo degli eventi cerebrali, nei quali si manifesta come una forza attiva, operante... Per dirla in modo molto più semplice, tutto si riduce alla questione di chi è che comanda chi di qua e di là nella popolazione di forze causali che occupano il cranio. Si tratta, in altre parole, di mettere in chiaro l'ordine gerarchico nel gruppo dei vari agenti di controllo intracraniali. Esiste all'interno del cranio un intero mondo di diverse forze causali; il fatto poi è che ci sono forze all'interno di forze all'interno di forze, come non si verifica in nessun altro decimetro cubico dell'universo che conosciamo...(...)
L'uomo, rispetto allo scimpanzé, ha più idee e più ideali. Nel modello qui proposto, il potere causale di un'idea, o di un ideale, diviene tanto reale quanto quello di una molecola, di una cellula o di un impulso nervoso. Le idee causano altre idee e promuovono l'evolversi di nuove idee. Esse interagiscono tra di loro e con altre forze mentali nel medesimo cervello, in cervelli vicini e, grazie alla comunicazione globale, in cervelli molto distanti di altri  Paesi. Ed esse interagiscono anche con l'ambiente esterno, sì da produrre, complessivamente, un avanzamento esplosivo nell'evoluzione che è molto al di là di tutto ciò che ha calcato finora la scena evolutiva, compreso l'emergere della prima cellula vivente".


In questo passo di Roger Sperry devo dire che c'è praticamente tutto ciò che è veramente rilevante per il nostro discorso:
1. Il problema della causalità del mentale;
2. La visione emergentista ed il suo approccio gerarchico dei livelli di auto-organizzazione;
3. La specificazione che la mente è "embodied" e che al tempo stesso interagisce con un ambiente esterno facendone al tempo stesso parte;
4. L'aspetto evolutivo e quindi neurobiologico;
5. La previsione di quella che poi sarà chiamata la "mente collettiva", una sorta di architettura emergente dall'utilizzo delle nuove tecnologie globali della comunicazione.

A tal proposito Hofstadter asserisce che:
"L'interrogativo di Sperry sull'ordine gerarchico all'interno del cervello identifica quello che vorremmo sapere di noi stessi - o, più miratamente, dei nostri sé. Che cosa stava davvero succedendo quel bel giorno in quel bel cervello quando, a quanto pare, qualcosa che chiama sé stesso 'io' ha fatto qualcosa che è chiamato 'decidere', dopo il quale un'appendice articolata si è mossa in maniera fluida e un libro si è ritrovato dove era stato solo pochi secondi prima? C'era davvero qualcosa a cui è possibile riferirsi come 'io' che stava 'mandando di qua e di là' qualcosa in diverse strutture fisiche del cervello, con il risultato di inviare lungo le fibre nervose messaggi accuratamente coordinati e di far muovere di conseguenza spalla, gomito, polso e dita in un certo pattern complesso che ha rimesso a posto il libro dov'era in origine - o, al contrario, c'erano soltanto miriadi di processi fisici microscopici (collisioni quantomeccaniche fra elettroni, fotoni, gluoni, quark, e così via) che stavano accadendo in quella circoscritta regione del continuum spazio-temporale che il poeta Edson ha chiamato un 'bulbo vacillante'? Possono sogni e sospiri, speranze e sofferenze, idee e convinzioni, interessi ed incertezze, infatuazioni ed invidie, ricordi ed ambizioni, attacchi di nostalgia e ondate di empatia, fitte di rimorso e scintille di genio avere un qualche ruolo nel mondo degli oggetti fisici? Hanno queste pure astrazioni dei poteri causali? Possono mandare di qua e di là cose che possiedono una massa, o sono soltanto finzioni senza potere? Può un indistinto, intangibile io dettar legge a oggetti fisici concreti come elettroni e muscoli?"


La domanda è cruciale perchè implica direttamente un'altra domanda, ossia "L'essere umano è un automa biologico completamente determinato da leggi fisiche?" da cui conseguirebbe che la coscienza e quello che chiamiamo "Io" non è altro che una illusione dovuta molto probabilmente a meccanismi di sopravvivenza evolutiva, ma senza alcuna realtà fisica e bio-chimica.
Faccio notare, intanto, che nella visione di Roger Sperry le "idee" hanno un vero e proprio potere causale all'interno del mondo mentale, ossia le idee causano altre idee ed interagiscono con altre idee di altre persone grazie alla comunicazione globale, e in questo processo si evolvono causando ulteriori processi causali (possiamo pensare ad esempio al concetto di meme di Richard Dawkins [1976] o di "carattere culturale" di Luigi Cavalli Sforza [2007]).


La questione dell' "automa biologico" è poi direttamente correlata al problema del riduzionismo e del determinismo, in particolare se il nostro sistema cervello-mente è interamente riducibile al comportamento delle sue componenti microscopiche attraverso la descrizione delle relative leggi e quindi ha un comportamento interamente determinato da tali processi.
Inoltre, il determinismo è direttamente correlato alla prevedibilità di un fenomeno nell'ipotesi che se un fenomeno è determinato da leggi note di tipo matematico allora esso è interamente prevedibile nel suo sviluppo temporale.
Un esempio frequente di cosa si intenda per determinismo è quello del cosiddetto "demone di Laplace" che vi ripropongo di seguito:
"Dobbiamo pertanto considerare lo stato attuale dell'universo come l'effetto del suo passato e la causa del suo futuro. Un' Intelligenza che ad un determinato istante dovesse conoscere tutte le forze che mettono in moto la natura, e tutte le posizioni di tutti gli oggetti di cui la natura è composta, se questo intelletto fosse inoltre sufficientemente ampio da sottoporre questi dati ad analisi, esso racchiuderebbe in un'unica formula i movimenti dei corpi più grandi dell'universo e quelli degli atomi più piccoli; per un tale intelletto nulla sarebbe incerto ed il futuro proprio come il passato sarebbe evidente davanti ai suoi occhi ." (Laplace, 1814)


In realtà, questa visione del determinismo è ampiamente, come vedremo, tramontata e secondo alcuni (Zanghì, 2007) traviserebbe la stessa visione di Laplace perché "secondo Laplace le nostre inferenze su ciò che accadrà o è accaduto, essendo la nostra informazione sullo stato del mondo scarsa e limitata, dovranno essere necessariamente di tipo probabilistico. In altre parole, Laplace, a differenza di molti suoi moderni detrattori, ha ben chiara la distinzione fra determinismo e predicibilità. La moderna teoria della complessità ha chiarificato la distinzione tra queste due nozioni, mostrando che un sistema fisico governato da leggi deterministiche può esibire un comportamento totalmente impredicibile e caotico. Secondo la moderna teoria dei sistemi dinamici il caos non è altro che dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali di un sistema deterministico. L'emergenza del caos e della complessità risultano quindi spiegati dal determinismo delle equazioni differenziali". (cit.)

Tornando ad Hofstadter, nel paragrafo "Termodinamica e meccanica statistica" (pag. 50, cit.), abbozza quella che sarà in sostanza la sua posizione di tipo emergentista:
"Sono cresciuto con un padre che era un fisico e per me era naturale vedere la fisica come fondamento di ogni singola cosa che accadeva nell'universo. (...) ... arrivai a vedere la biologia molecolare come risultato delle leggi della fisica in azione su molecole complesse. In breve, sono cresciuto con una visione delle cose che non lasciava alcuno spazio per 'altre' forze nell'universo, in aggiunta alle quattro forze fondamentali che i fisici avevano identificato (gravità, elettromagnetismo, forza nucleare debole e forza nucleare forte)".
Per conciliare questa visione "fisica" con quella che per il momento chiameremo "mentale", Hofstadter afferma che:
"Queste forze causali macroscopiche (quelle "mentali", nda) così ben comprensibili sembravano radicalmente differenti dalle quattro ineffabili forze della fisica che io ero sicuro causassero tutti gli eventi dell'universo. La risposta è semplice (per conciliare le "due realtà", nda): concepivo queste 'forze macroscopiche' come puri e semplici modi di descrivere dei pattern complessi che erano generati da forze fisiche fondamentali, proprio come i fisici erano arrivati a rendersi conto che fenomeni macroscopici quali attrito, viscosità, traslucidità, pressione e temperatura potevano essere intesi come regolarità altamente predicibili determinate dalla statistica di un numero astronomico di loro invisibili costituenti microscopici, carambolanti di qua e di là nello spazio-tempo, il tutto dettato dalle sole quattro forze fondamentali della fisica. Mi rendevo anche conto che questo tipo di passaggio fra livelli di descrizione risultava in qualcosa che era estremamente prezioso per gli esseri viventi : la comprensibilità".

In questo passo è dunque fondamentale il riferimento al fatto che noi esseri umani descriviamo per forza di cose e per renderci comprensibili diversi livelli di organizzazione del mondo fisico e che pertanto il mondo macroscopico nel quale viviamo ed interagiamo viene descritto ad un livello simbolico e linguistico che non necessita di specificare la realtà microscopica sottostante dalla quale emerge e dalla quale certamente ha, in prima approssimazione, una relazione di dipendenza ontologica.
L'analogia con la termodinamica e la meccanica statistica è alquanto pregnante: infatti per descrivere il comportamento di un gas non ci interessa sapere cosa fanno i miliardi di molecole al suo interno, ma solo il suo comportamento macroscopico, che viene descritto in termini statistico-probabilistici.
Come dice lo stesso Hofstadter, quando un ingegnere meccanico progetta un motore non pensa a cosa fanno al suo interno le singole molecole, ma al loro comportamento collettivo idoneo a generare energia e movimento.
La distinzione, dunque, fra livello microscopico e macroscopico emergente è fondamentale per poterci avventurare nel prossimo post negli strani anelli dell'Io di Hofstadter, in cui come vedremo sarà fondamentale anche il concetto di feedback ricorsivo.

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