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giovedì 6 gennaio 2011

La causalità mentale (1ª Parte)

Vi propongo un piccolo "rompicapo" di filosofia della mente relativo alla causalità mentale, che ho da poco proposto su Facebook. Vediamo cosa ne pensate e come cercate di risolverlo, nel senso di quale posizione preferite assumere, per cui sono graditi commenti.
Inoltre, proporrò sinteticamente nel prossimo post i possibili modi in cui in filosofia della mente si è cercato di rispondere a questo problema.
Il rompicapo è più o meno questo:
immaginiamo di voler dimostrare che esista una realtà mentale in grado di agire su una realtà fisica neurobiologica attraverso la volontà (chiamiamola in prima battuta libero arbitrio). Ciò significa ipotizzare che uno stato mentale debba poter avere una "causalità verso il basso" (top-down), dove il basso è rappresentato dal substrato fisico e biologico del cervello e l'alto dalla mente come proprietà superiore del cervello.
Intanto, occorre fare una prima serie di precisazioni:

1. Bisogna rispettare il principio di chiusura causale del mondo fisico (ossia che in un mondo materiale non possono esserci cause non materiali degli eventi fisici);

2. Se si rifiuta il predetto principio, bisogna postulare che la mente non soggiace alle leggi fisiche e spiegare perché.

Come strumenti concettuali che avete a disposizione, oltre a quelli che vorrete adottare, suggerisco:

I) Approccio emergentista: famiglia di teorie il cui denominatore comune può essere definito dalla tesi secondo la quale i sistemi fisici che hanno una certa complessità di organizzazione danno luogo a proprietà mentali (o in generale a proprietà di alto livello) che non possono tuttavia né essere previste né spiegate sulla base delle sole proprietà fisiche di basso livello. Le proprietà emergenti sono tipicamente considerate l'esito di processi di auto-organizzazione in sistemi complessi (Paternoster, 2010).

II) Approccio basato sul concetto di sopravvenienza: le proprietà mentali sopravvengono alle proprietà fisiche se e solo se una identità di tipo fisico implica una identità di tipo mentale, ovvero a qualche differenza mentale fa sempre riscontro una differenza fisica. La sopravvenienza del mentale sul fisico corrisponde alla congiunzione di tre tesi: dipendenza del primo dal secondo, covarianza (immaginate una co-evoluzione) del fisico con il mentale, non riducibilità del mentale al fisico (Paternoster, 2010).

Nell' immagine  è riportato l'argomento dell'esclusione causale sul quale si basa l'approccio neo-riduzionista proposto da Jaegwon Kim (che comunque non nega l'esistenza dei qualia pur non attribuendo loro un'efficacia causale), in cui nel caso a) si vede che la causalità mentale (M----> M*) sul comportamento è epifenomenica rispetto allo stesso, cioè è ininfluente rispetto a quella fisica.
Nel caso b) si verifica la sovradeterminazione causale, ossia che due cause - M, quella mentale, e P quella fisica - determinano la stessa proprietà fisica P*. Si supponga che m e m* siano le occorrenze mentali ("tokens", ossia le manifestazioni mentali concrete o contingenti) relative alle proprietà mentali M ("avere fame") e M* ("aprire il frigo e prendere un dolce") e p e p* siano i "realizzatori fisici" (processo bio-fisico, nel caso in esame di tipo neurobiologico) di m e m* e che quindi p -----> m e p*-----> m*. Ovviamente, P è la proprietà fisica di "avere fame" e P* quella di "aprire il frigo e prendere un dolce".

Come possiamo allora dimostrare che la mente può causare eventi fisici (immaginiamo l'azione causale da un livello più alto ad uno più basso), evitando di essere totalmente riduzionisti o eliminativisti (negando la realtà mentale, che si considera "zippabile" in leggi fisiche e biologiche) o di cadere in forme di dualismo? Ovviamente, si può dire di essere totalmente riduzionisti (la mente è identica al cervello o ancora che proprio non esiste una "mente") o assolutamente dualisti (mentale e fisico-cerebrale sono irriducibili e hanno leggi completamente diverse) e giustificare il perchè.

Aggiungo che m e m* possiamo approssimarli ai cosiddetti qualia, ossia gli stati soggettivi della coscienza fenomenica (le cui proprietà sono M e M*) che secondo alcuni filosofi della mente sono irriducibili ad una descrizione scientifica (ad es. lo stesso dato sensoriale - il rosso della rosa o l'aver fame dell'esempio - verrebbe percepito in maniera radicalmente diverso da ognuno di noi).
Per chi volesse leggere i commenti su FB il link è questo qui.

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