Immagine di Ken Brown, Mondolithic Studios |
"Interagire con il computer sarà quasi un'esperienza di incarnazione, se la nostra attività cerebrale consentirà di afferrare oggetti virtuali, lanciare programmi, scrivere promemoria e, soprattutto, comunicare con altri membri della nostra rete, una versione notevolmente aggiornata dei social network attuali. Il fatto che Intel, Google e Microsoft abbiano già creato proprie divisioni per lo sviluppo di interfacce cervello-macchina dimostra che questa idea non è campata in aria. L'ostacolo principale è lo sviluppo di un metodo non invasivo per campionare l'attività cerebrale necessaria per fare diventare realtà l'interfaccia, ma confido nel fatto che entro vent'anni. In futuro, ciò che potrebbe sembrare inimmaginabile diventerà realtà, perché gli esseri umani integrati alle macchine potrebbero trovarsi in ambienti remoti, attraverso avatar e strumenti controllati solo con il pensiero. Dalle profondità degli oceani ai confini delle supernove a piccoli spazi intracellulari del corpo le capacità umane saranno all'altezza delle sfrenate ambizioni di esplorazione dell'ignoto tipiche della nostra specie. In questo contesto, immaginare che i nostri cervelli completeranno la loro liberazione dagli obsoleti corpi che abbiamo abitato per milioni di anni e inizieranno, con l'uso di interfacce bidirezionali comandate con il pensiero, a elaborare una miriade di nanostrumenti che saranno i nostri nuovi occhi, orecchie e mani nei tanti piccoli mondi creati dalla natura".
Dunque, in sintesi, si sta ipotizzando una rete di cervelli realizzata fisicamente (definita brain net da Nicolelis) attraverso le tecnologie cervello-macchina e successivamente la sostituzione/integrazione del nostro corpo - definito "obsoleto" - in nome di una sfrenata esplorazione dell'ignoto di cui ognuno di noi dovrebbe sentire il bisogno.
Se non fosse che di follie ne ho sentite in grande quantità nella mia vita, questo potrebbe essere dal punto di vista di una folk psycology l'ennesimo proclama del classico "scienziato pazzo".
In realtà, e un Ray Kurzweil e il suo Singularity Institute insegna - ma anche un Craig Venter nell'altro settore della vita artificiale -, ci sono sempre grandi interessi economici dietro queste apparenti farneticazioni futuristiche e di folle c'è solo la logica sottostante: si cerca, in buona sostanza, di convincere le persone, come si fa con dei bambini, che devono desiderare di avere dei poteri eccezionali al limite del magico e che dunque appena sarà possibile bisognerà gradualmente sbarazzarsi del proprio corpo e sostituirlo con una versione robotico-digitale "da favola".
Come sempre le applicazioni vengono innanzitutto presentate in campo medico, e quindi si giustifica la ricerca per motivi nobili, come dovrebbe essere il Walk again Project di cui è fondatore lo stesso Nicolelis, ma poi il vero ritorno dell'investimento si vorrebbe ottenerlo non dai malati, ma da quelli sani, ossia la stragrande maggioranza della popolazione tentando di convincerci che dobbiamo bio-tecno-potenziarci.
Foto di Ken Brown su Scientific American, relativo all'articolo di Nicolelis, Fonte: Mondolithic Studios |
"Si, è probabilmente uno dei nuovi guru della filosofia transumanista.
Nel suo modo di concepire le interfacce cervello-macchina c'è un aspetto che trovo utile, che è quello di aiutare i disabili (es. persone completamente paralizzate ma con cervello non danneggiato) attraverso l'uso di "abiti robotici" o esoscheletri a ritrovare una "nuova vita" e un nuovo rapporto con il mondo e un aspetto tipicamente "cartesiano" che considera il corpo solo una protesi robotica ai comandi del cervello-mente che ne dispone come vuole con l'uso del solo pensiero.
Gli studi in atto, secondo quanto dice lui stesso, sono diretti verso protesi "bi-direzionali", ossia che comunicherebbero non solo dal cervello verso la protesi, ma anche viceversa consentendo di raggiungere un nuovo "schema corporeo" e una nuova "immagine corporea" a chi li usa e quindi una sorta di "naturalezza" e consapevolezza del movimento con le relative percezioni.
Ovviamente, il prezzo da pagare è farsi impiantare dei microchip nella corteccia cerebrale in molteplici punti dove si ritiene che risiedano le varie aree funzionali cognitive e sensomotorie. E di qui il nostro si proietta in un futuro di reti sociali connesse "via pensiero" e "menti collettive" fino ai viaggi interstellari e microscopici guidati dalla mente e da dispositivi tecnologici guidati dal pensiero (vedi ultimo numero di Le Scienze per es.).
In questo secondo tipo di sviluppo, che non è da escludere, è ravvisabile quella che potremmo definire come la "logica" conseguenza, a mio parere, dell'insuccesso dell'intelligenza artificiale classica, che pensava di poter creare un computer intelligente dotato di coscienza come un essere umano e che non essendoci riuscita adesso nella sua ala più "estrema" di seconda generazione (post-classica), rappresentata dalla robotica e dai sistemi di interfaccia cervello-macchina, si propone il percorso inverso: la "computerizzazione" del cervello, l'unico al momento a poter garantire l'esistenza di un pensiero ed una coscienza (oltre che prospettive di business interessanti).
E' stato detto più volte e si sta verificando : l'uomo sta cercando di fondersi con la macchina perchè la trova più congeniale alla sua idea di tipo consumistico di continua sostituibilità, di rinnovamento e di "bellezza" tipico degli oggetti della tecnica.
Ne consegue una visione sempre più dualistica e cartesiana in cui con il pensiero si dominerà il mondo delle cose e di quella "cosa" che è considerata il corpo, laddove - a me pare - che in realtà questo pensiero sarà sempre più reificato in queste "cose" e sempre più smarrito senza di esse.
Dunque, materialismo cartesiano da un lato e "sentimento oceanico" di fusione con la tecnologia dall'altro per chiudere una volta per tutte quel "vuoto esistenziale" che da sempre, e chissà per quanto ancora, ci ha resi umani: il destino della tecnica forse è sempre stato questo, soddisfare il nostro innato istinto alla trascendenza fino alla sua saturazione che si può ottenere solo eliminando la differenza tra uomo e tecnologia. Non è un giudizio etico, ma una riflessione su un possibile molto possibile destino".
E' evidente, quindi, che si sta preparando per tempo il terreno a quello che potrebbe essere un profondo cambiamento "pilotato" del genere umano: questo dischiude in maniera sempre più evidente quello che asseriva lo stesso Heidegger riguardo alla tecnica, ossia che essa sarà il vero banco di prova dell'essere umano e del suo destino.
A noi la scelta dell'etica per decidere la relazione con l' ente-tecnico nel futuro prossimo o il potenziale sprofondamento in un "abisso" dove la fusione totale e "fisica" con la tecnologia potrebbe essere solo il capriccio finale di una specie intrinsecamente inadeguata a sé stessa o così convinta ad interpretarsi.
Rispetto alla mente estesa di cui parlavo nei post precedenti, qui siamo di fronte ad un processo apparentemente simile, ma in realtà inverso: è il "mondo tecnico" che entra in noi rappresentando quindi un ribaltamento profondo da mente estesa al mondo a tecnologia estesa al cervello: dunque, la mente che ne nasce sarà ontologicamente diversa in quanto trasformata nella struttura più intima e quindi nel suo stesso essere e pensare.
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