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sabato 22 dicembre 2012

Il mio contributo al XXIII° Carnevale della Chimica: “La Chimica del Futuro e il Futuro della Chimica”


Credit: Pollination, di Kareem Hamza

Ringrazio Paolo Gifh, il Chimico Impertinente, per l'invito che mi ha formulato anche quest'anno per il  XXIII° Carnevale della Chimica, al quale aderisco, come sempre ben volentieri ed a maggior ragione, visto che cade nel periodo natalizio e, quindi, può rappresentare una sorta di simpatico "diavolo e acqua santa".

Il tema di quest'anno è quello della Chimica del Futuro ed il Futuro della Chimica ed è, intuibilmente, come ogni tecno - futurologia, un argomento che si presta alle più varie e fantasiose speculazioni su un futuro sorprendente ed iper-tecnologico, che ci vedrà proiettati in una iper-realtà in cui la fusione sempre più spinta fra la tecnica (la technè come manipolazione fisica e biochimica della natura) e la biologia cambierà con ogni probabilità sempre più incisivamente la nostra vita e le relazioni sociali, politiche ed economiche nell'ambito di quella dimensione "post-umana" di cui la letteratura sociale, filosofica, scientifica e fantascientifica si sono forse già saturate.

La mia riflessione, pertanto, non verterà sulle "magnifiche sorti e progressive" della chimica del futuro, che certamente non mancheranno di stupirci e di migliorarci la vita, quanto un pò provocatoriamente sulla "chimica dell'esistenza" dell'Uomo del Futuro.

Cosa intendo per "chimica dell'esistenza" dell'Uomo del Futuro?

Credit: Le prisonnier, di Patrick Desmet 
Intendo, in breve, una riflessione sulla capacità che gli esseri umani hanno e potranno avere di "manipolare" (quindi, anche qui, una technè) non tanto e non solo gli elementi chimici, al fine di potenziare il proprio bios inteso come capacità psico-bio-chimica, quanto piuttosto il proprio bios come esistenza politica ed economica e con essa la propria esistenza di esseri singolari e sociali.

Dalla manipolazione degli elementi chimici e più in generale dalla tecnica ci aspettiamo, in genere e forse fatalisticamente, una riconfigurazione delle nostre esistenze e delle nostre relazioni grazie all'uso potenziante delle tecnologie.
Ne sono un esempio le tecnologie digitali della comunicazione, le bio e le nano tecnologie, e così via.

Qualcosa di meglio, insomma, siamo quasi tutti disposti a scommettere che accadrà a seguito dei progressi della tecnica e dalle pratiche sociali che conseguono dal suo uso, nonché siamo e saremo poi tutti pronti a discutere, anche veementemente, su "cosa" sia cambiato e "come".

Seguiamo, in definitiva, gli eventi così come sono determinati dalla Tecnica ed emergono tramite essa, dubitando magari sul suo "senso".

Credit: Talents, di Leszek Paradowski
Ci preoccupiamo forse molto meno, invece, di produrre noi stessi degli eventi in grado di modificare le nostre vite più in profondità, cioè quella che ho chiamato un pò provocatoriamente la "chimica dell'esistenza", facendo il verso all'espressione anglosassone "chemestry" nel senso di "intesa fra due persone", che qui estendo ad un concetto di intesa sociale, politica ed economica, in sintesi di cooperazione.
Quale potrebbe essere la "chimica dell'esistenza" dell'Uomo del Futuro? Come vogliamo che essa sia?

La "chimica dell'esistenza" già oggi, a ben vedere, si basa su processi di cooperazione in maniera molto più accentuata che in passato (dunque una "chemestry", una intesa di gruppo e fra gruppi, fra moltitudini e fra singolarità anche molto distanti fisicamente, culturalmente e geograficamente).

Tali processi cooperativi sono, per così dire, "impregnati" soprattutto dalle tecnologie digitali e della comunicazione e traggono origine da una accresciuta capacità cognitiva e da un moltiplicarsi delle conoscenze in possesso degli individui, che pertanto a loro volta producono sempre più conoscenza e la condividono in maniera sempre più libera e feconda.

Ad essere condivisi sono anche gli affetti ed i sentimenti, se non soprattutto, per cui i processi di cooperazione hanno un impatto immediatamente politico ed economico tanto che è più corretto definirli, come fanno non pochi studiosi, processi di produzione biopolitica.

Credit: Alexandra Manukyan
La produzione biopolitica emerge, in tal senso, come la "vera innovazione" della nostra epoca cosiddetta postmoderna.
Quella che possiamo definire come la macchina sociale biopolitica tende pertanto ad eccedere sempre di più la macchina tecnica, con la quale è pur sempre in stretta simbiosi, e quello che comincia ad essere prodotto sono "nuove forme di vita"  ed un nuovo socius e non solo "nuovi prodotti da consumare".

Questa "bio-produzione" è una vera esplosione di creatività e di desiderio di cambiamento che possiamo riscontrare se osserviamo con attenzione i segnali che provengono sia da quella grande macchina bio-cognitivo-digitale che è la Rete, sia dalla società globale nel suo insieme, anche se con altrettanta evidenza i segnali sono spesso contrastanti e non sempre positivi.

Questo chiaroscuro (o, se vogliamo, caleidoscopio) è però, riflettendoci, un buon indizio in quanto è sintomo di una vitalità della bio-produzione cognitiva e, quindi, di una sua molteplicità intrinseca non riducibile ad un vettore etero-diretto.

Tornando alla "chimica dell'esistenza", abbinata per "destino" alla chimica degli elementi ed alla loro manipolazione tecnica (natura e tecnica sono sempre state in stretta simbiosi per l'essere umano, non è una condizione solo postmoderna), direi che il suo futuro è legato alla nostra capacità di sviluppare sempre più e sempre meglio i processi di cooperazione e di ridurre al minimo necessario, fino all'estinzione, quelli di tipo competitivo nella loro accezione vetero-economicista, in modo da contrastare dall'interno (quasi come un sistema immunitario) altrettanti fenomeni di tipo reazionario ed oligarchico che tentano di sfruttare egoisticamente la nuova capacità produttiva di singoli, gruppi e moltitudini, che d'altro canto non si lascia ridurre e resiste alle vecchie logiche economiche reagendo con un processo di "work in progress" teso alla costruzione di un' "altra economia" ed un' "altra politica".

L'augurio ideale per questo XXIII° Carnevale della Chimica, che cade a ridosso delle festività natalizie, è dunque quello di una Chimica del Futuro abbinata e funzionale ad una nuova "Chimica dell'Esistenza" da saper costruire e donare a chi ci seguirà con una massiccia dose di "atomi di amore" da far finalmente circolare beneficamente nella rete dei nostri desideri in modo da realizzare delle nuove democrazie davvero in grado di valorizzare l'essere umano lasciando al suo passato la violenza ed ogni forma di sfruttamento.

Buon Natale a tutti e Felice 2013!

1 commenti:

Francesco Pelillo ha detto...

Condivido con grande entusiasmo tutte le "illuminazioni" di questo articolo ma, poiché penso che il nostro precorso conoscitivo scientifico ci obblighi finalmente a invertire il nostro punto di vista, ho provato a leggerlo partendo dal basso per cercare di superare il concetto di "post-umano". Questo, perché sono convinto della necessità di dover utilizzare a fin di bene la scoperta della nostra condizione "post-chimica".
Infatti, oggi che sembra esaurita la discesa agli inferi del riduzionismo, iniziata più di quattro secoli fa con la separazione dei fatti dello spirito da quelli della materia, possiamo tentare la risalita verso l'uomo e la sua mente con un approccio inverso che io chiamo "ampliamentista", che non può che portare alla riunificazione e quindi, alla consapevolezza che il nostro concetto di "umano" è stato fondato su basi metafisiche giustificate solo dall'ignoranza dei processi che producono la nostra cosiddetta "umanità" — con i risultati disastrosi a cui assistiamo da millenni —.
Ora, se trasferiamo i dati oggettivi acquisiti sperimentalmente, che vedono il "motore" del divenire nella Ricerca Dell'Equilibrio energetico fra ogni stato locale e lo stato successivo che lo contiene, ai livelli superiori della complessità aggregativa degli stati che seguono, fino all'emergere della mente umana, potremmo individuare nell'etica "naturale" che governa tutti processi, il modello per la definizione di una nuova etica universale, non più disegnata da visioni umanistiche manipolabili a seconda degli interessi dominanti, che dovrebbe consentire quel passo evolutivo che tutti auspichiamo.

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