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domenica 13 febbraio 2011

Il regresso all'infinito e la sua "naturalità" (1ª Parte)

Dopo aver parlato degli anelli ricorsivi di Hofstadter ci dovremmo essere abituati al fatto che è tipico dell'essere umano "proiettarsi" in processi logici che hanno alla base il "concetto" di infinito.
Un libro interessante che affronta questo tema da un punto di vista antropologico e logico-filosofico è quello di Paolo Virno "E così via all'infinito. Logica ed antropologia" (2010), in cui il filosofo del linguaggio considera il meccanismo di regresso all'infinito una delle tre categorie fondamentali che costituiscono la base logica della metafisica assieme alla negazione ed alla modalità del possibile. Mi preme subito sgomberare il termine "metafisica" da significati di tipo spiritualistico e precisare che parleremo di una metafisica squisitamente materialistica e naturalistica poiché, dicendola con le parole di Virno, "tutto lascia credere che la metafisica, con il suo caratteristico repertorio di problemi non empirici, sia una tendenza naturale della nostra specie".
Ma cosa è il regresso all'infinito e cosa lo rende così "naturale"? Un esempio ci fa capire subito di cosa stiamo parlando e lo lascio fare allo stesso Virno:
"Lungi dall'essere una eventualità bizzarra e marginale, o una faccenda che possa interessare soltanto i logici di professione, l'interminabile 'e così via' riguarda da vicino ogni genere di cognizioni, comportamenti pratici, affetti. Con esso ha dimestichezza già il bambino, che chiede la ragione di un certo avvenimento, e poi la ragione di questa ragione, e poi ancora la ragione della seconda e più fondamentale ragione ecc., dando luogo così ad una vertiginosa gerarchia ascendente di 'perché'.  Il regresso all'infinito è una sorta di refrain, familiare ed inquietante ad un tempo, che accompagna, ed in certa misura condiziona, qualsivoglia esperienza. Poco si capisce dei modi in cui la nostra specie si adatta (o non si adatta) al proprio contesto vitale, come pure dei conflitti sociali e politici che ne costellano la storia, se non si tiene nel debito conto la pervasività di questo fenomeno logico-linguistico". 
Inoltre, come vedremo, questa naturale tendenza iterativa, che si proietta sia a ritroso che in avanti, deve necessariamente essere interrotta per poter dare luogo a comportamenti e decisioni (strategie cognitive), che siano - anche solo provvisoriamente - adeguati alle circostanze.
E', inoltre, fondamentale intuire sin da subito che questo processo logico e linguistico-sintattico è peculiare del solo essere umano e che quindi lo distingue da ogni altro animale in quanto animale linguistico.
Uno dei primi esempi tratto dalla storia della filosofia che fa Virno ed in cui emerge la "metafisica del regresso" è quello del "terzo uomo" di Aristotele, una meta-idea che va a mediare in un processo ricorsivo, costituendone una momentanea unità di misura (l'idea e il dato sensibile si "conformano" al concetto di terzo uomo), la relazione fra l'uomo empirico e l'idea di Uomo (e qui si rimanda anche a Platone e alla sua relazione idealistica fra ente sensibile e idea universale).
Il regresso senza esito (cioè all'infinito) si origina in quanto il terzo uomo non è, ovviamente, l'ultimo: se ne genererà, cioè, sempre uno nuovo ed "intermedio" fra esso e l'uomo empirico e quindi il processo ricorsivo in questo caso è determinato da due poli di cui uno è sempre "ideale" e l'altro è "empirico".
Un altro esempio di spirale ricorsiva è quello tratto dal filosofo inglese Josiah Royce e riguarda il tentativo di rappresentare l'immagine mentale della propria mente, infatti "l'immagine che ci si fa della propria mente è, essa pure, uno stato mentale di cui bisogna dare conto e da ciò segue che l'immagine della propria mente, per risultare attendibile, deve essere anche l'immagine dell'immagine della propria mente e poiché la nuova e più comprensiva immagine è pur sempre uno stato mentale ecc.".
Da un punto di vista antropologico è interessante l'affermazione di Virno in base alla quale:
"il 'terzo uomo' adombra lo scarto fra individuo e specie, ovvero la parziale incommensurabilità di due termini, che pure sono complementari ed inscindibili. La serie ascendente delle condizioni che rendono possibile un determinato fenomeno indica, invece, un grado elevato di inadattamento all'ambiente; o anche, ma è lo stesso, la possibilità da parte dell'Homo Sapiens di avvertire e mettere a tema i limiti di ogni particolare configurazione ambientale in cui si trova di volta in volta ad operare. Dal canto suo, l'interminabile spirale suscitata dal tentativo di elaborare un'immagine mentale della propria mente illustra bene la struttura perennemente lacunosa dell' autoriflessione".
La cosa importante, dunque, da comprendere - lo ripeto - è che il regresso all'infinito è un fenomeno squisitamente linguistico (cito Virno) e pertanto di tipo simbolico. 
In quanto simbolico, si potrebbe ipotizzare una sua stretta dipendenza dalle pulsioni sub-simboliche e quindi tentare di ridurlo ad una coazione a ripetere (se si vuole utilizzare il lessico freudiano), ma Virno qui è molto chiaro nel distinguere le due cose: l'iterazione pulsionale è sempre uguale a sé stessa, mentre nel regresso all'infinito "ogni passo successivo costituisce uno sviluppo rispetto ai passi anteriori, ossia inaugura un livello (epistemico o operativo) più complesso e comprensivo, che subordina a sé i livelli fin lì delineatisi (...) Il regresso all'infinito esautora la congiunzione paratattica, essendo piuttosto contraddistinto da una ferrea stratificazione gerarchica. Soltanto nel regresso logico , non nella coazione a ripetere, ogni termine è generato da quello precedente in una sorta di concatenamento architettonico o di fuga prospettica; soltanto in esso il superamento del limite implica la riproduzione allargata (tale cioè da attingere un livello di maggiore generalità) del medesimo limite".
Nell'approccio di Virno è chiara una visione preminentemente sintattica del fenomeno del regresso all'infinito, determinato appunto dal linguaggio e dalla sua natura simbolica e non riducibile al sub-simbolico, come ho già detto poco sopra. In questo, Virno riprende la visione di Noam Chomsky e ne include, a mio parere, una visione computazionale di tipo Turing della sua grammatica generativa.
Attraverso l'iterazione ricorsiva si genererebbe la novità e quindi la capacità adattiva "di aderire con duttilità a situazioni impreviste".
Riprendendo una felice espressione di Humboldt ripresa dallo stesso Chomsky, che è quella di "fare un uso infinito di mezzi finiti", Virno ci introduce al processo della gerarchia ascendente dei metalinguaggi attraverso il quale si produce "qualcosa di nuovo" (la semantica in tal senso sarebbe "generata" dalla natura ricorsiva della sintattica; la metafora a cui dobbiamo pensare è sempre quella del "terzo uomo" aristotelico).
Molto in sintesi, quindi, possiamo dire che la ricorsività è creativa, ma come dice Virno "si tratta di una creatività non poco bizzarra, essendo imperniata sulla monotona riproposizione dell'identico nucleo di esperienza".
Per capire meglio il rapporto tra sintassi e semantica, riprendo le parole di Virno:
"Il dispositivo sintattico basato sull'applicazione iterativa della stessa procedura non consente, in tal caso (nel regresso l'innovazione si trasforma in tautologia e viceversa, la differenza si commuta in identità, e così via, nda) di elaborare nuovi contenuti semantici. La sintassi si divarica nella semantica: la prima esibisce a chiare lettere la sua potenza trasformativa, ma questa potenza gira a vuoto, manifestandosi soltanto nell'ineusaribile proliferazione dei livelli gerarchici; la seconda pare invece atrofizzarsi, costretta com'è a battere il passo. Il regresso all'infinito è un reperto antropologico di straordinaria importanza già solo per il fatto di documentare l'intreccio, tipico della nostra specie, tra irreversibilità dei processi di sviluppo ed eterno ritorno all'uguale, linea e circolo, innovazione e 'ancora una volta'. L'animale linguistico è definito dalla coesistenza, anzi dalla reciproca implicazione, di queste due possibilità".
Secondo Virno il fondamento naturalistico del regresso, oltre che nella ricorsività sintattica, risiede nel circolo logico su cui essa si innesta, che ha la propria origine nel "rapporto dell'animale umano con l'ambiente" e che si esplica attraverso tre prerogative tipicamente umane: l'iper-riflessività, la trascendenza e la duplicità di aspetto.
Mi soffermerò nel prossimo post soprattutto sulla duplicità di aspetto, ossia "la necessità biologica di una esistenza artificiale o storico culturale" e quindi sul rapporto fra biologia e cultura.
Come si vedrà l'essere umano è artificialmente biologico e biologicamente artificiale ed in questa bipolarità risiede, secondo Virno, l'essenza della sua antropologia caratterizzata dal regresso e dalla necessità della sua interruzione.

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4 commenti:

Unknown ha detto...

..Mario,attento a non cadere nel pragmatismo cognitivo basato sulla mera assunzione testuale senza prendere posizioni intellettuali.Lungi da me l'intenzionalità critica alle tue ricerche che,in quanto tali,hanno pur sempre valore scientifico,ma quando queste vengono svolte in assenza di termini comparativi,allora si rischia di perdere il filo dell'oggetto della ricerca:l'attività cognitiva della mente.
Credo che la speculazione di Hofstadter sia abbastanza esaustiva anche dal punto di vista del regresso infinito,appunto richiamato dal medesimo di rimando alle teorie di Goedels(il paradosso dell'infinito)ed integrato dalla teoria del loop.
Non vorrei sembrarti ripetitivo,ma è la semplicità a farla da padrona nelle teorie scientifiche poichè le stesse vanno sempre testate con gli esempi chiaritori.
Non mi sembra che gli autori da te citati si riportino a tale modello.
Ti voglio bene guagliò.
Nicola

Unknown ha detto...

Nicola,
Virno è un filosofo e il libro che ho citato è un libro che affronta il regresso su un piano antropologico e culturale.
Non è una teoria della mente né un'opera di divulgazione scientifica, ma un validissimo saggio di filosofia e anche di sperimentazione teorica politica. Occorre, pertanto, valutarlo (dopo averlo eventualmente letto) in tale ambito.
Il pragmatismo cognitivo che paventi, dal mio punto di vista, non c'entra nulla :-)
Un saluto affettuoso,
Mario

Anonimo ha detto...

ciao mario, e grazie....
mi colpisce il riferimento alla coazione a ripetere che vorrei approfondire e 'iper-riflessività, la trascendenza e la duplicità di aspetto' concetti molto vicini alla tecniche dell'antropologia teatrale.
:)

leobloom

Unknown ha detto...

ciao Leo,
nel prossimo post cercherò di chiarire questi aspetti, anche se non avevo previsto di ritornare sulla coazione a ripetere. Visto che ti interessa cercherò di sintetizzare come posso anche questo aspetto, assieme a iper-riflessività e trascendenza. Ti consiglio, comunque, di leggere il libro vista la voglia di approfondimento e credo che non ti deluderebbe.
Un abbraccio :-)

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