Non è un argomento "nuovo" e quindi non affronterò il tema inflazionato, ma mai abbastanza, della privacy. Invece, vorrei soffermarmi sul fenomeno imperante della "messa in scena" del privato sui social network e, in generale, sulle varie applicazioni del Web 2.0 dove ciascuno di noi non esita a raccontare storie e informazioni spesso strettamente personali e ad esporre la parte migliore di sé, non di rado "buonista" e "benpensante".
Lawrence Peter "Yogi" Berra |
Per tornare al titolo del presente post, il digitale ha operato - amplificando un fenomeno già in atto con la televisione - la rappresentazione "oscena" del privato fino al dilagante fenomeno del "porno 2.0" e dei social network erotici e contestualmente una rappresentazione che definirei "teorica" di questo privato in quanto mediata e quindi rielaborata "ad hoc" per un uso "ludico" e "narcisistico".
Il privato, dunque, irrompe in rete, ma lo fa spesso in maniera "adulterata" e quindi in forma o troppo "sdolcinata" o troppo "hard", laddove la vita - quella fatta di carne e sangue - è invece molto diversa in pratica. La rete sembrerebbe, in tal senso, favorire quindi una rappresentazione "teorica" e "stigmatizzata" della realtà sociale ed individuale rispetto a come è "in pratica", facendo emergere "pentimenti", "peccati" e "moralismi" in una forma poco o non del tutto aderente a quello che è ormai il sentire ed il vivere pratico della cosiddetta post-modernità.
E quindi tutti si stupiscono del "bunga bunga" e imprecano contro questo o quel politico che fa festini a luci rosse, senza però rendersi conto che in realtà anche i politici - come noi tutti - stanno "mettendo in scena" il privato, che è però quel privato "teorico" e "adulterato" di cui parlavo prima, funzionale né più né meno ad un uso di "marketing individuale".
Ancora una volta, dunque, il simulacro si confonde con l'originale tanto da non farci più comprendere quale sia l'uno e quale l'altro e tale scenario è sostanzialmente perfetto per tutto ciò che è comunicazione mediatica, sia essa televisiva che digitale sulla rete.
Si delinea, pertanto, una sorta di "schizofrenia da medium" in cui da un lato ci stupiamo di quello che vediamo e ci viene raccontato e dall'altro siamo noi stessi ad essere attori di questo processo "osceno".
Teoria e pratica sembrano coincidere quando la narrazione è mediata, ma nella pratica è tutto molto diverso e sfumato. E probabilmente per molti anche "inconfessabile".
Forse sarebbe il caso di focalizzarsi sulle azioni concrete che singolarmente poniamo in essere, ma qui poi si apre un altro "vaso di Pandora" oltre al problema delle reali possibilità di agire (le azioni che potremmo e dovremmo porre in essere) in maniera efficace.
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