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Scienza ed Arte sono spesso "percepite" lontane dal comune sentire delle persone e non di rado stentano ad entrare nella vita vissuta se non nelle forme che - come ricorda spesso l'amico Ignazio Licata - appartengono al "supermarket di Prometeo".
In sintesi, alla gente arriva un eco amplificato e spesso "distorto" dai media di singole attività scientifiche ed opere artistiche senza che queste possano essere interpretate e comprese realmente.
Nanoart 2007, opera di Renata Spiazzi
Un esempio recente è quello del DNA sintetico realizzato dall' equipe di Craig Venter e che, leggendo le varie recensioni dei media mainstream, sembrerebbe essere già ad un passo dalla realizzazione della prima "cellula sintetica" e quindi di organismi biologici "artificiali" realizzati interamente in laboratorio.
Ne emerge un'alimentazione, da parte dei media, di una mitologia della scienza (di cui lo "scientismo" è una manifestazione) e di quello che è stato definito il "gap prometeico" fra la conoscenza scientifica e la capacità di comprensione che ne ha l' "uomo comune", che a quel punto plasma il proprio immaginario con idee e simulacri completamente errati.
Proprio attorno al concetto di simulacro focalizzerei l'attenzione in quanto, come ben sappiamo, caratterizza a pieno titolo la nostra dimensione esistenziale cosiddetta "postmoderna".
Sia l'arte che la scienza sono delle narrazioni del mondo fatte con linguaggi diversi - la prima con un linguaggio di tipo formale che si basa su definizioni e metodi condivisi e accettati dalla maggioranza della comunità scientifica, la seconda invece con linguaggi molto più soggettivi e radicali - ma entrambe sono delle rappresentazioni e delle costruzioni del mondo che tentano di scoprirne il "mistero profondo" e di portare alla luce sempre nuove parti che d'altronde "resistono ad essere conosciute".
In questa continua rappresentazione del mondo, la scienza cerca di rendere il più "oggettiva" possibile la conoscenza, pur ammettendone ormai la irriducibile dimensione epistemologica soggettiva dovuta al fatto che l'osservatore non è né può essere al di fuori del sistema osservato, mentre l'arte cerca di creare con la sua radicale soggettività delle nuove forme estetiche di "sentimento del mondo" anche alla luce delle "scoperte" scientifiche.
Ecco che quindi le teorie della meccanica quantistica, i progressi delle biotecnologie, dell'informatica, delle nanotecnologie, della robotica, dell'intelligenza e della vita artificiale innescano nell'arte delle re-interpretazioni e spesso anche delle "fascinazioni ludiche" che, citando Licata, non sempre possiamo considerare arte per la mancanza di una coerenza con il corpus storico della produzione artistica stessa, ma che indiscutibilmente realizzano delle "connessioni analogiche" con il sapere scientifico.
E qui entra prepotentemente in gioco il concetto di simulacro a cui accennavo prima che, potremmo quasi dire "platonicamente", irrompe nella rappresentazione artistica che in qualche modo re-interpreta l'impatto che la scienza ha sull'immaginario collettivo.
Il simulacro artistico, da non intendere come "mera copia" del mondo, bensì come specchio e prisma radicalmente soggettivo della coscienza umana, rappresenta dunque in maniera creativa , "fantasiosa", "immaginifica" e "emozionale" ciò che il linguaggio formale della scienza in un certo senso rende "troppo arido" da un punto di vista estetico, pur senza disconoscere una eleganza e bellezza intrinseca del linguaggio della matematica o della fisica.
Quindi, in tal senso, l'arte e la sua intrinseca dimensione di "simulacro del mondo" diventa un nodo semantico importante per poter connettere la scienza alla vita vissuta, laddove la vita è pregna di immaginazione, di sensazioni, di sogni e di emozioni soggettive.
Ma se l'arte, però, resta confinata, come anche la scienza, a "nicchie di estimatori" e di "appassionati", questa sua grande potenzialità ci rendiamo conto che resta largamente inutilizzata e finisce, paradossalmente, per essere fraintesa dal "sentire comune" come un qualcosa di estremamente lontano, di incomprensibile se non di "astruso".
La connessione con la vita allora diventa uno strumento importante per poter davvero far emergere delle connessioni "inattese" innescate da scienza ed arte e molto probabilmente tale connessione deve ancora essere davvero realizzata.
In una conferenza che ascoltavo ieri di Derrick de Kerckhove a Meet the Media Guru, l' "erede" di Mc Luhan ha accennato a due concetti, a mio avviso, molto interessanti, ossia quello di "cultura del quantum" e di "informazione omeopatica".
La cultura del quantum, in analogia al concetto fisico di campo quantistico, è quella che grazie all'impulso delle tecnologie digitali ci rende tutti interconnessi "a tempo zero" a prescindere dalla distanza (una connessione "non lineare" e "non locale") e che, quindi, delinea anche una percezione diversa dei problemi del mondo e della responsabilità del singolo nella loro risoluzione, mentre l'informazione omeopatica è quella che deriva dalla propagazione dei "memi culturali" che inseriti in piccole dosi nel sistema finiscono per "curarne" le grandi patologie.
Tutta questa interconnessione è però "contrastata" da un enorme "rumore di fondo" - l' "overload informativo" - che caratterizza le comunicazioni dell'era tecno-digitale e che tende a distorcere l'informazione e la conoscenza stessa, oltre che ad amplificare una dimensione "ludica", "narcisistica" e "solipsistica" delle cyber relazioni che tende ad isolarle anziché connetterle al mondo ed ai suoi problemi reali.
Ne consegue una tassonomia delle connessioni che tende a fare da eco a infiniti simulacri del mondo in cui scienza ed arte sono spesso solo delle immagini sbiadite ed "adulterate".
La vita, insomma, ne resta ampiamente esclusa o piuttosto influenzata nel momento in cui la tecnologia irrompe su di lei con le sue applicazioni.
Ancora una volta è il consumo a determinare i comportamenti e le relazioni sociali.
La tendenza di fondo di questa cultura del quantum sarebbe quella di promuovere una unità nel sapere e nella vita laddove invece sembrano emergere sempre più tendenze alla divisione, al particolarismo ed al cosiddetto "neo-tribalismo".
Se da un lato, dunque, siamo tutti più "vicini" in quanto connessi e "networked persons", dall'altro sembra che questa connessione unisca davvero i "simili ai propri simili" lasciando fuori i "diversi" e quindi tenda ad amplificare le divisioni anzichè ricomporle.
Continuiamo ad essere preda di linguaggi di tipo metaforico e simbolico che tendono soprattutto a sedurre ed a influenzare i comportamenti di consumo e a manipolare quelli politici e siamo poco propensi, invece, a tentare di comprendere davvero il mondo che ci circonda se non per esprimere generici sentimenti di sfiducia e di impotenza.
Tutto questo è il vero paradosso dell'era tecno-digitale, in cui a fronte dell'enorme ed esponenziale sviluppo delle connessioni non sta seguendo un vero mutamento di consapevolezza.
Un fenomeno osservabile di queste connessioni è quello di una generalizzata "tendenza entropica" del senso di responsabilità e di una focalizzazione su un "life streaming" non di rado vuoto e narcisistico.
Tornando a scienza ed arte, dunque, il vero problema da dipanare è la loro relazione con la vita che urge ma che è ancora ampiamente "disattesa".
La vita, nelle sue manifestazioni quotidiane, è invece influenzata molto di più dalla pubblicità e dai modelli di rappresentazione del mondo di tipo consumistico e questo, purtroppo, si riflette a "larghe mani" sulla rete.
Facendo un' analogia nei rapporti tra mente e cervello, laddove noi non abbiamo coscienza dei meccanismi neurocognitivi "automatici" del nostro cervello, potremmo dire che la "mente collettiva" al momento non è cosciente più di tanto dei meccanismi profondi della sua architettura neurale che è saldamente in mano a paradigmi e paradogmi (memi, ideologie ecc.) ancora poco "quantistici" e molto invece "classici" e, parafrasando la visione del cervello triunico di Mac Lean, dominati dalla componente cerebrale "rettiliana".
Quanto poi questi meccanismi possano permeare anche l'arte e la scienza lo lascio immaginare e, anzi, invito chi vuole a parlarne con i propri commenti.
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