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domenica 3 aprile 2011

Cosa è la mente estesa? (3ª Parte)

Quando Alva Noe asserisce che il cervello non pensa e che la coscienza non accade (solo) dentro il cervello è evidente che lo dice in maniera provocatoria e, come ammette lui stesso, in chiave "politica" rispetto alla visione neurobiologica dominante che ritiene di poter suddividere il cervello in tanti piccoli pezzi attribuendo a ciascuno di essi una funzione mentale (i cd. "correlati neurali della coscienza") in assenza, per lo più, di un ambiente in cui l'individuo nel suo insieme - e non soltanto il suo cervello - è immerso. 
E' il problema del cervello nella vasca di cui parlavo nel post precedente.
Se, invece, osserviamo con occhio critico tale paradigma ci dovremmo accorgere che esso rappresenta una visione eccessivamente "intellettualistica" della mente, dato che identifica nel cervello il suo elaboratore e "generatore" principale o addirittura unico. 

Il problema è che questo approccio non tiene sufficientemente conto del fatto che il cervello è solo una parte della nostra mente e che quest'ultima è molto più probabile che emerga come processo complesso attraverso l'interazione e lo scambio continuo con l'ambiente esterno ed interno dell'individuo.
In termini filosofici, potremmo dire che la visione della mente estesa si distacca con una certa forza dal "neokantismo" e dai suoi schemi a priori (che ha una certa influenza anche nelle scienze cognitive) attraverso cui l'individuo percepisce e costruisce la realtà in termini soggettivi ed in cui, come noto, il "noumeno" (l'ente in sè) è sempre inconoscibile (in Kant l'epistemologia assorbe l'ontologia), per abbracciare una fenomenologia che potremmo far risalire sotto certi aspetti ad Heidegger ed al suo esser-ci , essere-nel-mondo e essere-gettati nel mondo, di chiara natura anti-psicologista e in contrasto con la fenomenologia di Husserl invece basata sulla coscienza "pura" e la sua intenzionalità, ma ancora di più a Maurice Merleau Ponty e alla sua analisi della percezione che Alva Noe stesso cita con un suo noto aforisma: "Gli uomini sono teste vuote puntate su un unico mondo evidente". Ovviamente, il significato di quel "teste vuote" va esplicitato meglio in quanto, come giustamente osserva Steven Pinker nel suo "Tabula rasa", non possiamo negare che ci siano dei fattori genetici che strutturano il cervello e che possiamo considerare innati della specie Homo Sapiens. 
Occorre, pertanto, evitare di cadere in una facile e comoda "ideologia della testa vuota" e quindi propagandare una sorta di plasticità totale del cervello e della mente in modo da evitare questioni spinose legate alle differenze genetiche, che pur esistono ma che si cerca di azzerare anche alla luce degli orrori che l'umanità ha commesso in nome di un mal interpretato biologismo evoluzionista e "darwinista".
La "testa vuota", in realtà, dovrebbe essere interpretata come l'accesso fondamentale ed immediato che abbiamo al mondo e il modo principale in cui il mondo entra dentro di noi. Ci troviamo di fronte, in sintesi, ad un paradigma cognitivo che possiamo identificare come sensomotorio, in cui la mente emerge come attività e non come un "qualcosa che accade dentro di noi": anche le stesse percezioni, come la visione, non accadrebbero dentro il nostro cervello ma sarebbero piuttosto un'attività, "un modo di esplorazione dell'ambiente" (A. Noe, cit.) e contestualmente un "un modo in cui il mondo si dà all'esperienza" (cit.), facendolo in maniera sempre diversa attraverso i meccanismi sensomotori del nostro corpo e del nostro cervello.
Come scrive in maniera illuminante Paternoster (2010), con il paradigma sensomotorio si esce da una rigida schematizzazione di tipo funzionalista in cui si ipotizzano tre strati della mente, ossia percezione, cognizione e azione, in cui il cervello rappresenta il momento di elaborazione finalizzato alla "scelta del comportamento più appropriato", ma piuttosto - anche sulla scia degli studi sui neuroni specchio - "è andata delineandosi una visione in cui percezione ed azione vengono considerate un sistema unico e la cognizione stessa, anzichè essere considerata un'attività simbolica, è profondamente radicata nelle capacità sensomotorie".
Il problema cruciale è il concetto di confine: dove si trova il confine fra mente e mondo? Per quale motivo dobbiamo considerare la mente dentro il cervello e non anche fuori? Quali sono i dati "oggettivi" che ci consentono una tale inferenza?

E', invece, evidente come lo studio del cervello delle neuroscienze postuli per "comodità sperimentale" che la mente sia ed accada nel cervello. La comodità è nel fatto che il metodo di studio, così come è impostato oggi e basato sulle tecniche di "brain imaging", parte da un vero e proprio postulato metafisico in cui si pone l'identità cervello-mente, che come ho spesso detto è una relazione di identità di tipo "ingenuo" e tipicamente riduzionista.
Perchè dobbiamo accettare un tale postulato quando è evidente che la mente, soprattutto attraverso le tecnologie della comunicazione (vere e proprie protesi del corpo-mente), è palesemente proiettata all'esterno (il mondo viene a noi in tempo reale e noi al tempo stesso siamo immersi nel mondo e comunichiamo istantaneamente con esso)? Da dove vengono i contenuti mentali? Siamo certi che accadono dentro di noi? E perchè?
Spesso non ci rendiamo conto che non di rado alla base del metodo scientifico ci sono precise scelte di tipo metafisico, che presuppongono una visione predefinita della realtà che poi si cerca di verificare sperimentalmente (quello che nel campo giornalistico è il "giornalismo a tesi").
Allora, in tale quadro, il concetto di mente estesa ci consente di "uscire fuori" da quello che potremmo definire, un pò sarcasticamente, un ingenuo "solipsismo neuro-qualcosa", con il quale ci cerca di spiegare ogni attività umana con l'attività di questo o quel gruppo neuronale, che, ben inteso, c'è, ma come potrebbe non esserci! (è evidente che se leggo, parlo ecc. nel mio cervello si verificheranno delle scariche neuronali sincronizzate), ma altresì si ammette che la mente sia un processo molto più complesso di come si cerca di descriverlo e soprattutto non è un processo esclusivo del cervello, ma chiama in causa tutto l'individuo e il suo costante accoppiamento dinamico con il mondo (che dobbiamo considerare nella duplice forma di biologia e cultura), che non è una dimensione statica ed ininfluente, ma anzi è spesso l'origine stessa dell'attività mentale e dei suoi contenuti (si parla in tal senso di esternismo attivo, di cui sono rappresentanti autorevoli David Chalmers e Andy Clark). 
In tale approccio, troviamo un recupero deciso del corpo nel suo insieme (un corpo "intelligente", detto "mindful body") e dell'ambiente come correlato esterno della mente.
Spesso si pensa all'auto-coscienza, tipica dell'essere umano, come una sorta di auto-interazione con sé stessi o - nei casi migliori - come l'interazione del sé con l'immagine di sé e della relativa rappresentazione del mondo, ma questo processo, che verosimilmente esiste, non basta nel contesto della mente estesa a spiegare l'auto-coscienza in quanto siamo ancora troppo ancorati e "sbilanciati" sul cervello del singolo individuo. 
L'auto-coscienza sarebbe, invece, un processo esteso molto più ampio e molto più "corporeo" in cui è l'immediato accesso sensomotorio al mondo e del mondo a noi che innesca le semantiche che poi noi chiamiamo coscienza e auto-coscienza.
Una obiezione al concetto di mente estesa può essere espressa con le parole di Diego Marconi e del suo "Contro la mente estesa" (Sistemi intelligenti, n. 3, dicembre 2005): "non esiste un codice genetico del sistema organismo-ambiente; il codice genetico è una proprietà dell'organismo ed è per questo fondamentalmente che anche la mente è una proprietà dell'organismo; anche se il codice genetico è quello che è anche a causa delle proprietà dell'ambiente".
Si nota subito l'irrigidimento sul fattore genetico, ossia l'elemento biologico, ma è altresì evidente la "lieve dimenticanza" dell'elemento culturale in base al quale, ripetendo le parole di Paolo Virno, "l'uomo è un animale naturalmente artificiale, ovvero un organismo il cui tratto biologico distintivo è la cultura" (Virno, 2010) e ancora "per un'antropologia materialista è irragionevole negare l'identità di biologia e cultura, ma non lo è meno disconoscere la differenza che sussiste fra esse: quel che davvero conta è l'inseparabilità di unità e divaricazione" (cit.).
Dunque, lo stimolo provocatorio di Alva Noe è, a mio parere, da accogliere anche se con una inevitabile soggettiva "metabolizzazione critica", che dipenderà necessariamente da come si è disposti a collocare l'ambiente e il mondo nel processo di generazione della mente e dei relativi processi.
Concludo questa esposizione, inevitabilmente non esaustiva, con le parole del nostro autore:
"In questo libro ho attaccato l'ortodossia, cercando allo stesso tempo di delineare una concezione alternativa. Non sono l'unico a fare questo. Le neuroscienze e le scienze cognitive sono un mosaico formato da posizioni diverse. Per quanto l'ortodossia sia diffusa in modo capillare, le posizioni più eterodosse cercano di uscire dall'ombra. Gli ultimi venticinque anni testimoniano il graduale sviluppo di un approccio incarnato, situato, alla mente. Questo approccio è fiorito in alcuni settori delle scienze cognitive come la filosofia e la robotica, ma è stato pressocché ignorato nelle neuroscienze, nella concezione dominante della linguistica e, più in generale, nella sfera degli studi della coscienza. Se intendiamo comprendere la coscienza - il fatto che pensiamo, proviamo sensazioni e che un mondo si mostri davanti a noi -, dobbiamo voltare le spalle alla concezione ortodossa secondo la quale la coscienza è qualcosa che avviene dentro di noi, come la digestione. E' ora chiaro, ammesso che non lo fosse anche prima, che la coscienza, al pari dell'improvvisazione musicale, è realizzata nell'azione, da noi, grazie alla nostra situazione nel mondo e al nostro accesso al mondo che conosciamo intorno a noi. Siamo nel mondo e siamo parte di esso. Questa è la nostra 'casa, dolce casa'.



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1 commenti:

David Benny ha detto...

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