Foto: Reuters, sito: Daylife |
Estrapolo, di seguito, alcuni commenti degli amici di Facebook.
Dice Giovanna: "In Cina hanno un corso di Laurea in "Scienze della Morte" (credo si possa tradurre cosi'). E' stato creato da un filosofo per tramandare tutti gli aspetti cerimoniali, culturali e filosofici della morte. Le richieste superano sempre i posti disponibili...
Le opere di Von Hagens le trovo comunque difficilmente sostenibili per un pubblico "profano" del corpo umano"; poi Laura: "Se la nostra società considera la morte come tabù, nel passato l'approccio con essa era di tutt'altra natura. A testimonianza di ciò i testi che ci sono stati tramandati: il libro dei morti egiziano e quello tibetano. Il primo precede di oltre tremila anni il Bardo Thodol (bardo= post morte e Thodol= liberazione mediante lo studio).
Per gli egiziani la morte non era l´ultima tappa , ma la continuazione dell´essere intelligente. La teogonia egizia ha fatto della morte il tema stesso della vita. Il libro tibetano prepara i vivi al dopo morte. Sempre gli egiziani credevano che l´uomo sarebbe vissuto eternamente nell´altro mondo se i suoi cari avessero fatto per il suo cadavere quello che gli Dei avevano fatto per il cadavere di Osiride. Noi, seppur inconsciamente, facciamo le stesse cose , con analoghi intenti.
Von Hagens faccia a faccia con una sua opera |
Ricomponiamo i nostri morti, celebriamo le esequie con un riguardo particolare,tenendo sempre ben presente le abitudini, i gusti, le preferenze di coloro che ci hanno lasciato. Da qualche parte, anche se celata negli angoli piu´profondi del nostro subcosciente, non c´e´forse la speranza che tutto cio´serva a facilitare il "passaggio", a favorire la "metamorfosi" di quel corpo che stiamo per seppelllire o affidare alle fiamme? E non ci siamo mai domandati , in quelle circostanze, se é mai possibile che finisca tutto li´sotto qualche metro di terra io in una manciata di cenere? In Africa ho assistito a diversi riti di iniziazione che consistevano nell´accettazione della morte come rito di passaggio.
Ancora nel suo racconto "Rivelazione magnetica" E.A. Poe chiede al suo immaginario interlocutore, il signor Vankirk: " L' uomo potrà mai ripudiare il corpo?" E Vankirk risponde: "Vi sono due corpi quello rudimentale e quello completo, corrispondenti alle due condizioni del bruco e della farfalla. Ciò che noi chiamiamo morte non é altro che la dolorosa metamorfosi."
Contrariamente agli spiritualisti, i seguaci della filosofia materialistica negano che qualunque aspetto della coscienza personale possa sopravvivere alla morte fisica. Secondo loro ogni attivita´mentale cesserebbe quando il cervello smette di esercitare la sua funzione. Ma quale cervello? Quello fisico-mentale o quello eterico?
Adriana dice che "Riguardo al corpo, al suo disfacimento fino al suo morire, non parlerei - per mia personale cognizione del corpo - di tabu, quanto di sacralità.
Il corpo gode della presenza dell'anima. L'unico modo che l'anima ha di vivere è di incarnarsi in un corpo, il quale acquisisce una valenza particolare che appartiene al sacro. Nell'avvicinarsi ad una persona, al suo corpo, ci si accosta con il rispetto che - per me - nasce da un'educazione all'inviolabilità e al riconoscimento che quel corpo è portatore di una unicità che non è legata tanto alla carne quanto allo spirito che le infonde vita.
E' questo soffio vitale, il riconoscerlo, che ci induce al rispetto del corpo proprio e dell'altro, è la devozione che ne scaturisce che ci spinge alla cura del corpo, alla pietà per la sua decadenza, al sacro terrore per la morte che ne consegue.
Non credo che la "carne" sia fonte di imbarazzo, quanto piuttosto la presenza dello spirito che fa sentire un potere che supera la presenza fisica, oltrepassa e sovrasta ogni dimensione terrena, riporta ogni piano reale ad altri che "sentiamo" esistere in una realtà diversa, non misurabile, né quantificabile con i parametri fin qui conosciuti.
Talia afferma "devo dire che osservando dentro la teca di vetro Ramses II mummificato, rimasi scossa... a cosa guardavo in realtà? e poi ho recentemente letto "Io uccido" di Faletti, e lui scuoiava dopo la morte le sue vittime scelte (personaggi che la meritavano in fin dei conti questa morte...). Queste due esperienze se così posso dire, mi hanno fatto sempre pensare, che la pelle ci "sistema" nella nostra abitudine all'estetica e che il soffio vitale è dato da un gonfiore esteso in tutto il corpo, un gonfiore salutare come il respiro. Ho letto la biografia di quest'uomo che è stato l'unico (a ciò che mi consta) ad aver preso il cognome della moglie! Fatto straordinario al mio parere in un mondo dove noi dobbiamo rinunciare al nostro e nemmeno i figli possono portarlo senza provvedimenti particolari. Lui già in questo è fuori norma, ma in più ha un mito: eccellere oltre gli antichi egizi, anzi offrire a tutti la sua verità in modo quasi eterno. C'è anche un piacere a sconvolgere un pubblico, quasi a urlare: ma guardatevi per come siete realmente, senza quella pelle conformista, plasticosa e ben pensante...".
Antonia dice "Da sempre l'uomo si è interrogato sul corpo e sull'anima, in relazione alla geografia mentale di ciascuno si sviluppa un senso della vita e un senso della morte, il proprio senso dà il non senso degli altri!
Il corpo è l'espressione dell'anima individuale che senza quella sagoma resterebbe una forza quantica indifferenziata! Il corpo è così una possibilità della vita differenziata, offerta a più livelli di organizzazione spazio-temporale. Spesso crediamo che il corpo sia un solo spazio, il nostro spazio, mentre è la possibilità di una molteplicità di unità-organizzate a cui spesso non riconosciamo valore!
Il diritto di una cellula di esprimersi in noi o il diritto del fegato di esprimere la sua funzione o il diritto del cervello di organizzare le sue emozioni, il diritto della mano di afferrare... L'uomo è il grande egoista della storia che crede di essere padrone del sistema corpo e di farne uso e abuso a piacimento!"
Gianluigi afferma "Ogni piu' piccola particella e' parte del nostro mondo, e noi stessi ne siamo parte in maniera paritetica. E anche quando saremo morti ne continueremo a fare parte. E continueremo a interagire, non piu' come individui ma come parte del Tutto (di cui gia' facciamo parte). Fin qui non c'e' niente di nuovo. La domanda pero' resta: ci sara' una forma individuale che continuera' ad esistere dopo la morte ? Uno straccio di anima, o qualcosa del genere ?
Forse no. Ma per me si ! Però in questo modo siamo usciti dal campo del ragionamento razionale e scientifico e siamo entrati nel campo metafisico e religioso".
E' sempre più frequente, devo notare, l'utilizzo di termini scientifici come "entanglement, "quantistico", "energia", "informazione", "campo" ecc. per cercare di inquadrare concetti millenari come quello di "anima" all'interno di un paradigma (o semantica del mondo) supportato dalle recenti scoperte scientifiche. La metafisica si aggiorna utilizzando il lessico scientifico, ma occorre fare attenzione a non confondere i due piani.
In tal senso su Facebook ho osservato che "la morte è un processo termodinamico e biologico e l'entanglement non credo possa essere una speranza di immortalità di "qualche quid informativo" che potremmo chiamare "anima"(...) A mio parere, è l'ipotesi - anche solo inconscia - che dopo la morte ci possa essere una sorta di "transizione di fase" che ci porta da uno stato di fisicità ad uno di spiritualità che rende la manipolazione del corpo post mortem un disturbo osceno di tale processo sacro e in quanto tale da proscrivere.
Il "problema" è sempre relativo all'ipotesi dualistica anima-corpo e riguarda in senso lato un rapporto consapevole con il nostro "essere biologici", che ancora non è stato culturalmente risolto (in Italia in particolar modo per motivi religiosi ben noti). Riflettiamo anche però sul nostro rapporto con come siamo fatti dentro, una rappresentazione che ci offre in maniera indubbiamente estrema Von Hagens.
La mia impressione è che ci siamo costruiti troppi paesaggi mentali e si conosca poco o niente del corpo. Eppure noi siamo corpo, la mente è "embodied", ma pensiamo in fin dei conti di "usarlo", anche attraverso l'anima che dovrebbe dargli vita e poi andarsene chissà dove quando il corpo muore.
Sono le stranezze del pensiero platonico di cui siamo permeati più di quanto sembri. (...) Personalmente rifuggo da forme di idealismo trascendentale in cui si ritiene che tutto sia una creazione della mente o un "gioco della mente" (vedi qui e qui) e cerco di essere più su posizioni epistemologiche di tipo costruttivista sulla scia di Humberto Maturana e Francisco Varela (accoppiamento strutturale tra soggetto ed ambiente, autopoiesi), ma non confondo epistemologia ed ontologia (Kant le fece coincidere per salvare la conoscenza dalla critiche empiriste), ossia ciò che conosciamo con ciò che esiste, che, per quanto in campo sociale esse tendono a coincidere, in ambito biologico, fisico, chimico ecc. non credo siano la stessa cosa.
L'epistemologia, ad esempio, riflette sulle scienze naturali (filosofia della scienza) e non credo si possa affermare senza una problematicità di fondo che il dna esista come ente "assoluto" della natura vivente o che esistano i quark come enti delle particelle subatomiche laddove questi enti li abbiamo "costruiti" noi e poi descritti e misurati.
Non dobbiamo mai dimenticare che le scienze naturali misurano e definiscono i loro enti, le loro proprietà e le reciproche relazioni su base sperimentale, ma che poi l'esistenza di questi enti sia del tutto subordinata alla specifica ontologia (diciamo anche catalogo o tassonomia) della singola disciplina che è soggetta spesso a cambiamenti e falsificazioni.
Pertanto, tentare di estrapolare da concetti come l'entanglement della meccanica quantistica (ontologia materiale specifica) l'esistenza dell'anima (metafisica assoluta) direi che è una procedura logicamente viziata ed è più una forma di suggestiva analogia, come dicevo prima.
In sintesi, non si può poggiare la metafisica dell'anima sull'ontologia di nessuna scienza perchè sono ambiti completamente diversi.
Come diceva Gianluigi credere nell'anima non può essere spiegato con la scienza o la logica e questo, dopotutto, "salva" tutti coloro che vogliono ancora credere in enti metafisici assoluti e non soggetti all'esperimento di tipo scientifico, ma piuttosto dipendenti da una propria fenomenologia estetica e da una visione metafisica soggettiva.
I ragionamenti sull'anima sono dunque congetture metafisiche e pertanto affermare che l'anima è informazione quantica è identico, da un punto di vista epistemologico, a dire che le interazioni subatomiche che tengono unita la materia siano fatte dall'amore divino (sono credenze per così dire "aggiornate" con concetti scientifici): non abbiamo alcuna possibilità di sperimentare queste ipotesi metafisiche e quindi... chi vuole ci creda".
Inoltre, a mio parere, se il concetto di "anima" è stato analizzato a partire dalle religioni e dalle varie filosofie, quello di corpo è rimasto sostanzialmente sacrificato e subordinato platonicamente a quello di mente e di spirito. Se ci riflettiamo, noi non "sentiamo" cosa accade dentro il nostro corpo, non abbiamo alcuna percezione specifica di come i nostri stili di vita incidano sulla funzionalità dei nostri organi interni e siamo poco propensi a parlarne se non in chiave teorica: la vista dell'interno del corpo (e dello stesso cervello) è quasi un tabù, è alle soglie dell' oscenità (infatti l'interno del corpo è fuori della scena delle nostre vite e fuori della consapevolezza percettiva se non per stimoli che comunque sono interpretati dal cervello).
La nostra cultura - e in questo Platone ci ha condizionato in maniera sostanziale - ha sempre privilegiato il "pensiero astratto" della mente all'esperienza sensibile del corpo (preciso che le due cose non dovrebbero considerarsi cartesianamente divise, ma intrinsecamente unite: la mente è "embodied"!) ritenuta a vario titolo contingente, fallace, soggettiva e comunque di tipo "inferiore" a quella mentale.
Ne è conseguita da un lato una sottovalutazione conoscitiva del corpo, mentre dall'altro una sua progressiva enfatizzazione prima come "oggetto estetico" (quindi in prevalenza mentale) e poi come "merce di scambio" all'interno del sistema economico capitalistico dai contenuti sempre più immateriali.
Il corpo è dunque ancora oggi - anzi forse oggi più che mai - un'idea anziché un' esperienza ed una conoscenza. Inoltre, la sua dimensione appartiene sempre più al simulacro che al sacro.
Da qui, il rifiuto di vedere davvero e in prima persona che cosa c'è dentro quel corpo esteriore e l'oscenità di cui parlavo prima con la quale si percepisce l'opera di Von Hagens.
Noi non ci sentiamo corpo se non nei momenti in cui lo utilizziamo davvero, ad esempio per correre, per mangiare, per fare sesso ecc., ma è un sentire di tipo meramente percettivo e quindi in definitiva mediato dal pensiero della mente. Diverso è vedere l'interno, impattare con quello che c'è sotto la carne.
La carne stessa, a mio parere, è nella sua "espressività ancestrale" e nel suo essere un messaggio immediato di vita un qualcosa di osceno, tanto che cerchiamo di coprirla e l'atto di scoprirla è interpretato come atto di seduzione o - a seconda dei casi - di volgarità.
Ancora una volta il problema sembra essere nel rapporto dicotomico con il corpo, sia come è "fuori" sia come è "dentro". Non sembriamo essere propensi ad accettarlo, ma piuttosto ad "inventarlo" a nostro uso e consumo.
Infine, il nostro rapporto problematico con il corpo è ancora più enfatizzato dal progressivo ed esponenziale sviluppo delle cyber-relazioni, che riducono sempre più il contatto diretto visivo e percettivo nei rapporti tra esseri umani (ormai siamo abituati agli "emoticon") a vantaggio di una amplificazione dell'immaginazione (e spesso delle illusioni...) e dell'uso seduttivo del proprio alter ego digitale all'interno di quelli che potremmo definire in tal senso i "social-supermarket digitali delle emozioni"(l'utilizzo di SN come Facebook o Badoo mi sembra che sia sostanzialmente di questo tipo).
Si vogliono vivere (facili) emozioni svincolate dal rapporto diretto (il successo del sesso virtuale direi che è innegabile) e soprattutto si vuole scegliere negli immensi scaffali dei social networks fatti da esseri umani.
Dunque, si perpetua con il digitale una nostra sostanziale idiosincrasia per il corpo fisico in quanto tale, che continua così ad essere quell'involucro - a volte ingombrante altre volte seducente a seconda di come ci pare - che vogliamo a tutti i costi dominare con la mente, magari fingendo che non ci sia da un lato e agognandone il possesso dall'altro. Tutto questo forse è più "osceno" delle opere di Von Hagens (anche perchè è messo in scena in maniera plateale), che dite?