Da quel momento, avvenuto circa 14 miliardi di anni fa, ha avuto origine la storia di questo universo in cui è apparsa la prima forma di Homo Sapiens appena 130.000 anni fa.
La dimensione storico-evolutiva è, dunque, estremamente importante in quanto è attraverso il tempo ed attraverso l'auto-organizzazione della materia e dell'energia e della relativa informazione prodotta e scambiata, avvenuta in condizioni talmente "precise" di "fine tuning" (nel modello standard della fisica delle particelle sono numerose le costanti alle quali i fisici hanno dovuto trovare un valore in maniera empirica e non previste a priori dal modello stesso) che qualcuno vi ha ravvisato i segnali evidenti di un principio antropico forte e tali altri di un "disegno intelligente", che da quell'origine "esplosivamente entropica" ci sono stati dei cambiamenti e delle evoluzioni così complesse che hanno portato fino a noi, ossia una specie particolare di essere vivente che consente all'universo di pensare e osservare sé stesso cercando di conoscersi. L'universo è dunque passato da uno stato di "caos" (uso questo termine per dare l'idea, ma è improprio) e di dinamica quantistica virtuale (particelle virtuali in continua trasformazione, creazione ed annichilazione ma non tali da "perforare" il vuoto primordiale) ad uno stato di esistenza reale con una freccia del tempo ed in espansione adiabatica, votato - per così dire - alla cosiddetta "morte termica" che lo riporterebbe, secondo questa cosmologia, allo stato primordiale per esplodere nuovamente e dare vita ad un nuovo universo con leggi probabilmente differenti.
Filosoficamente, come si è detto altrove, è un mix di semantica parmenidea (l'universo primordiale sarebbe un eterno) e di semantica eraclitea in cui tutto diviene e nulla è uguale nel tempo (i vari universi che verrebbero ad esistenza e le loro diverse leggi fisiche e chimiche).
In particolare, in questo universo che noi osserviamo è ravvisabile come dicevo una sorta di "principio di molteplicità" che si esplica molto chiaramente a livello biologico con la nascita della vita, ma che non di meno possiamo osservare sin dai primi istanti dell'universo in cui sono cominciati a comparire fotoni, protoni ed elettroni (materia ed antimateria, quest'ultima annichilita in massima parte), per poi arrivare fino alla attuale tavola periodica degli elementi che comprende circa 118 atomi (da dire che per alcuni sono 112) distinti in base al numero atomico, che si sarebbero formati dopo il periodo inflattivo dell'universo all'incirca 380.000 anni dopo il "big bang" (con il raffreddamento dell'universo sotto i 3000 gradi Kelvin) a cominciare da idrogeno ed elio.
Da una molteplicità inespressa ma "potenziale" del vuoto quantistico, che è tutt'altro che "vuoto", si è esplicata una molteplicità attraverso una forma di "unione" - più propriamente auto-organizzazione - di materia, energia ed informazione.
Il vuoto, dunque, che noi potremmo interpretare come un "Uno primordiale" è in realtà già molteplice per la sua continua attività di fluttuazione quantistica (immaginiamo la superficie dell'oceano prima che un'onda dia origine alla schiuma ed ogni onda è differente dall'altra) per cui tra vuoto e universo quello che cambia - in buona sostanza - è dovuto ad una transizione di fase (la rottura spontanea di simmetria) che dà origine ad una "nuova dinamica" di ciò che già esisteva in forma primordiale.
Cioè il vuoto, per quanto apparentemente "indistinto", è invece teatro di continua creazione, trasformazione ed annichilazione di particelle (chiamiamole così, potrebbero anche essere in futuro chiamate "modi del campo quantistico").
L'universo però, a differenza del vuoto, dà luogo a processi di auto-organizzazione (il tempo e quindi i processi e le leggi fisiche che conosciamo in realtà nascono con l'universo e non esistono "prima") e proprio grazie ad essi si può parlare di una evoluzione nel tempo che ha portato fino a noi ed alla nascita della coscienza umana.
Come dicevo, la molteplicità è oltremodo evidente quando fa la sua comparsa la vita.
Anche qui l'antenato è comune, come è stato recentemente dimostrato dal biochimico Douglas L. Theobald (cfr. Le Scienze n. 502, giugno 2010, pag. 29) che utilizzando un modello quantitativo ha dedotto che la struttura più probabile dell'evoluzione a partire dalla prima sintesi proteica è quella ad albero e sono invece da escludere "sviluppi iniziali indipendenti e multipli, protrattisi fino ad oggi".
Se riflettiamo sul fatto che da quell'antenato comune è "esplosa" la vita nelle molteplici forme che conosciamo l'analogia con la nascita dell'universo è abbastanza intuitiva anche se da fare "cum grano salis".
Di più, come asserisce il genetista Marcello Buiatti , alla domanda "perchè la vita dura da più di tre miliardi di anni, la risposta è semplice: la vita ci è riuscita perché si fonda sulla diversità, sulla continua variazione dei componenti e della loro organizzazione. La vita è ordine che si nutre di disordine", si può affermare quindi che la diversità è un principio fondamentale che consente alla vita di evolvere e di perpetuarsi.
Ancora Buiatti ci dice:
"Le strategie esplorative sono quindi alla base della vita, che ha inventato una serie di meccanismi per generare variabilità, dal DNA ai processi semicausali di generazione delle sinapsi nei cervelli animali e soprattutto in quelli umani. Di variabilità c'è bisogno a livello di DNA, delle altre molecole, delle cellule, degli organismi, delle popolazioni, delle specie e anche degli ecosistemi".
Il concetto di ecosistema, poi, ci introduce ad un'altra riflessione fondamentale, ossia che la vita è profondamente interconnessa e che non esiste nulla di singolo in sé, ma tutti gli esseri viventi sono intimamente connessi tra loro (immaginiamo, ad esempio, le catene alimentari) e all'ambiente naturale.
Gregory Bateson, con un'idea pioneristica, addirittura immaginò nel suo "Mente e Natura" che il concetto di mente non fosse prettamente legato al cervello umano, ma che fosse da collegare alla "circolazione dell'informazione in un sistema che consenta a quel sistema di coordinare le azioni che le sue parti devono compiere per assicurare la sopravvivenza del tutto".
Ne consegue che:
"Una mente isolata non può sopravvivere. Condizione necessaria (ma non sufficiente) per la circolazione dell'informazione fra le sue parti è che essa sia attraversata da un flusso di energia ed eventualmente anche di materia che la tenga lontano dall'equilibrio termodinamico (...) Quando cessa questo flusso, cessa la circolazione d'informazione coerente e la mente muore".
E' evidente che in tale accezione semantica un ecosistema è una mente e che "la concezione della biosfera come una struttura gerarchica a molti livelli di menti coglie un aspetto ecologico del processo evolutivo" che non è solo genetico, ma appunto genealogico/ecologico (perchè le specie tendono ad essere stabili) e legato alla interazione non lineare del genoma con l'ambiente (il DNA da solo non produce alcunché se non è "attivato" dall'interazione con l'ambiente).
Un altro aspetto importante del pensiero di Bateson è quello di processo stocastico.
Come dice lui stesso nel citato "Mente e Natura":
"L'assunzione di base di questo libro è che tanto il cambiamento genetico quanto il processo chiamato 'apprendimento'
Questi due processi stocastici per Bateson hanno "logiche diverse" ma dalla loro interazione dipende la sopravvivenza della biosfera.
Il concetto di processo stocastico è molto interessante perchè abbina sia la casualità che il determinismo, ossia potremmo considerare un processo stocastico qualcosa di più "ordinato" rispetto alla casualità più "sfrenata" (immaginiamo il caos, ad esempio quello del "moto browniano" che ha proprio una trattazione matematico-statistica con l'equazione di diffusione).
Come dice Ignazio Licata nel suo "Osservando la Sfinge" (pag. 202, ed. 2009):
"Il vocabolo stocastico è dunque quasi un sinonimo di aleatorio e casuale, ma se ne differenzia perchè il processo in questione ha comunque delle regole che permettono, se non una certa predizione, almeno fondate congetture" (Licata ne parla con riferimento all'approccio stocastico alla meccanica quantistica).
Sempre Licata aggiunge che:
"Nei processi stocastici l'aleatorietà dei processi in gioco ed il conseguente ricorso alla probabilità hanno un carattere assai meno radicale che nell'ordinaria accezione della meccanica quantistica e l'incertezza relativa ai risultati non è dovuta a qualche misteriosa casualità intrinseca dei processi naturali, ma ha piuttosto un carattere epistemico (dipende cioè dal nostro modo di costruire la conoscenza, nda)".
Tornando a Bateson, la componente aleatoria è quella digitale (ossia discreta) e riguarda le mutazioni casuali genetiche, mentre quella deterministica è quella analogica (ossia continua) e corrisponde "ad una fase epigenetica deterministica di selezione delle mutazioni compatibili con la struttura complessiva dell'organismo" (l'epigenesi, introdotta da Conrad Waddington, studia "le interazioni causali tra i geni e i loro prodotti che accompagnano il divenire del fenotipo"; il fenotipo è la materiale manifestazione fisica di un organismo), ossia molto in sintesi le relazioni causali fra geni ed ambiente che sono alla base della vita e del divenire degli organismi.
Inoltre, si aggiunge a questi due processi quello analogico e stavolta aleatorio della reazione imprevedibile dell'individuo all'ambiente.
Ci rendiamo conto che, come poi hanno fatto altri biologi come Stephen Gould e Niles Eldredge, in Bateson siamo lontani da un "ultra-dawinismo" come quello di Richard Dawkins basato su una sorta di dittatura del "gene egoista" che "vuole sopravvivere", ma siamo di fronte ad una molteplicità di livelli selettivi interconnessi la cui dinamica è stocastica (con Gould nella "La struttura della teoria dell'evoluzione" si arriverà anche a parlare oltre che di selezione degli individui anche della "selezione di specie", ossia di macroevoluzione in cui si studia la specie e non il singolo individuo; Gould, ideatore con Eldredge della "teoria degli equilibri punteggiati", ha introdotto anche il concetto di "exaptation" in base al quale ci possono essere mutazioni che danno luogo a "funzioni non previste", ossia effetti "secondari" che non dipendono dalla selezione naturale).
In questa semantica, che mi sento di condividere, non c'è più un genoma deterministico ma piuttosto una co-evoluzione tra genotipo, fenotipo e ambiente secondo processi stocastici interconnessi e non lineari.
Gli stessi neuroni del cervello sono a quanto pare, in base a quello che asseriscono le neuroscienze e taluni modelli basati sulle reti neurali, in uno stato stocastico che è fondamentale per i fenomeni di emergenza radicale (es. la creatività) che distinguono la computazione naturale e la coscienza umana da una macchina (digitale) di Turing.
Fine 2^ Parte
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Bibliografia:
M. Cini, Il Supermarket di Prometeo, Codice, 2006
I. Licata, Osservando la Sfinge, Di Renzo, 2009
Ilya Prigogine, Tra il tempo e l'eternità, Bollati Boringhieri, 2003
Gregory Bateson, Mente e Natura, Adelphi, 1984
Stephen Gould, La struttura della teoria dell'evoluzione, Codice, 2003